il dilemma della sostenibilità in un paese sempre più vecchio

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Da che mondo è mondo, ogni bambino ha quattro nonni. Magari non riuscirà a conoscerli tutti, ma sempre quattro sono: due genitori per ogni genitore. La matematica non è un’opinione. Ora invece sono diventati sei! Non parliamo dei nonni “biologici”, ma degli over 65 che “spettano” per ogni bambino fino a 5 anni d’età. Lo ha comunicato pochi giorni fa l’Istat: per ogni bimbo si contano 5,8 anziani a livello nazionale (erano 5,6 nel 2022, 3,8 nel 2011).

L’inverno demografico

L’inverno demografico produce numeri da brivido. L’età media della popolazione è pari a 46,6 anni (48 anni per le donne e 45,2 anni per gli uomini), in ulteriore crescita rispetto al 2022 (+0,2), portando così ancora avanti il processo di invecchiamento. La Campania, con un’età media di 44,2 anni, continua a essere la Regione più giovane. Dai dati dell’Istat risulta che – rispetto all’anno precedente – la quota relativa all’età 0-14 anni scende dal 12,4% al 12,2%. Stabile al 63,5% invece la quota di persone 15-64enni, mentre gli ultra 65enni salgono dal 24% al 24,3%.

Il problema pensioni

L’invecchiamento della popolazione accomuna tutte le realtà del territorio, sebbene si osservi una certa variabilità nei livelli e nella velocità del processo. Ma non si tratta solo di cifre per esperti di statistica o per studiosi di sociologia; non si tratta solo di ottenere l’ennesima conferma di un dato incontrovertibile: l’Italia invecchia e di ricambio generazionale non se ne vede. La questione diventa un’urgenza nazionale per tutto il sistema del welfare. A partire dal pilastro della protezione sociale: le pensioni. Meno nati vuol dire meno lavoratori nel medio lungo termine. Meno lavoratori vuol dire meno contributi previdenziali; meno contributi vuol dire meno pensioni, o meglio: pensioni più magre per tutti. Il sillogismo è perfetto. E gli effetti della crisi demografica implacabili.

Conto e carta

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Intendiamoci: lo spopolamento (e l’invecchiamento) del paese produce conseguenze su tutto lo stile di vita dell’Italia. In qualche caso ci potrebbero persino essere dei vantaggi: la “silver economy potrebbe anche generare nuovi produttori di servizi (dalla cura alla persona alla gestione del tempo libero), per un target nuovo anche se poco giovane. I meno giovani quindi potrebbero generare nuove opportunità di lavoro per i più giovani. Ma resta sempre la legge dei grandi numeri: se il totale dei lavoratori diminuisce inesorabilmente diminuirà anche il monte contributivo a disposizione dei prossimi pensionati. Il sistema a ripartizione funziona così: la pensione dei pensionati di oggi viene pagata dai contributi generati dai lavoratori di oggi. E la pensione dei pensionati di domani dovrà essere garantita dai lavoratori in attività domani. Di certo il numero dei pensionati è destinato a crescere, mentre quello dei lavoratori calerà.

Non ci vuole un genio per capire che il problema è serio. E urgente. Per la società italiana, nel suo complesso, e per il sistema previdenziale nello specifico. Anche per questo motivo sembra surreale il carsico dibattito sulle pensioni. Carsico poiché si anima per poi scomparire temporaneamente ogni volta che ci si avvicina a un appuntamento elettorale, ogni volta che si cerca il consenso. Chi – come me – ha avuto la ventura di occuparsi di pensioni, ha toccato con mano quanto il tema sia capace di catturare l’attenzione di tutti. Se ne parli alla radio o in tv sei sicuro di fare il massimo di ascolti; se ne parli a un convegno sei sicuro di essere persino travisato, tanto è spasmodica l’attenzione sull’argomento. E non c’è da stupirsi: la pensione riguarda almeno un quarto della vita delle persone, in termini temporali. E si tratta di quel periodo dove la fragilità di manifesta e dove i bisogni cambiano, ma non si attutiscono.

Tuttavia l’abitudine dei nostri politici è stata quella di usare le pensioni come arma di distrazione di massa. Senza rendersi conto che potrebbe diventare un’arma di distruzione di massa, o almeno di distruzione dei conti pubblici. La riforma Fornero – le cui varianti, prima in termini di salvaguardie prima, poi quote o scalini, continuano a riempire i dibattiti nevrotici sul tema – aveva assicurato sostenibilità al sistema, ma aveva avuto il torto di non fidarsi dei conti dell’Inps e di non inserire i conti del sistema previdenziale nel complesso dei conti del sistema lavoro in Italia. La pensione non può essere una variabile indipendente delle logiche retributive e occupazionali. Lo abbiamo detto: senza lavoro non c’è pensione. Oggi più di ieri, complice proprio la crisi demografica.

“Licenziare” i politici che programmano pensioni anticipate

Nella letterina a Babbo Natale avremmo voluto scrivere che la prossima volta che si parlerà di pensioni solo per programmare uscite anticipate, sarebbe opportuno “licenziare” i politici che lo fanno. O sono irresponsabili o sono insipienti, cioè non sanno quello che dicono e quello che fanno. Difficile fare una scelta tra queste due ipotesi di ignoranza: è come scegliere tra la padella e la brace. Ci si scotta comunque. E dovremmo avere il buon gusto e la dignità di non scherzare sulla pelle dei cittadini. I progetti dell’età senza lavoro, dopo il raggiungimento del diritto alla pensione, sono pezzi di vita. Non si può cambiare lo scenario ogni anno, o giù di lì. Per essere progettato, il futuro deve essere programmato; cambiare le regole in corsa (per le pensioni e non solo) vuol dire sacrificare l’interesse di qualcuno, sempre. Occuparsi solo delle uscite anticipate per la pensione vuol dire caricare il debito sui giovani di oggi, sottraendo risorse e dimagrendo le prestazioni per loro.

La pensione è un tema delicato. Non si può fare fumo per non farsi “trovare”, bisognerebbe affrontare la questione con qualche consapevolezza: le grandi nazioni sono fatte di grandi numeri della popolazione; l’immigrazione – che a torto o a ragione – viene indicata come la panacea, dovrebbe essere vissuta come una leva da gestire (bisogna fare incrociare necessità e opportunità: non c’è nulla di automatico), non come la soluzione a un problema complesso. Nel triangolo demografia, lavoro e pensioni ci sta tutto il futuro del paese. Occupiamocene, ma seriamente.

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