Cattiva gestione della fase post partum e decesso della paziente

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Confermata la condanna dell’anestesista per omicidio colposo della paziente a causa di una cattiva gestione della fase post partum (Cassazione Penale, sez. IV, 14/03/2024, n.10662).

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La vicenda

La Corte d’Appello di Catania ha dichiarato inammissibile la richiesta di revisione proposta dall’anestesista alla sentenza irrevocabile emessa nei suoi confronti il 16/6/2017, con la quale la Corte d’Appello di Caltanissetta confermava la sentenza di condanna per omicidio

La donna era deceduta a seguito di un parto cesareo e successivo intervento di isterectomia. Decesso in relazione al quale le indagini avevano condotto alla imputazione a carico di sei medici, quattro tra chirurghi e ginecologici e di altri due medici anestesisti. Secondo quanto emerge dalle sentenze susseguitesi nella complessa vicenda giudiziaria, suddivisa nei due filoni, l’originaria imputazione addebitava ai sanitari una cattiva gestione della fase post partum, con specifico riferimento alla intempestività dell’iniziativa terapeutica (emotrasfusione) e carenze nella gestione complessiva della paziente che non era stata trasferita con la dovuta urgenza presso un centro più attrezzato.

All’anestesista imputato veniva addebitata la gestione imperita e negligente della paziente nel post operatorio, avendo egli valutato in maniera non corretta le condizioni della donna, ritardandone la terapia trasfusionale e non essendosi prontamente attivato, dopo l’intervento, nella “ricerca di altre unità per la trasfusione e per trasferire la donna in ospedale con terapia intensiva, la stessa versando in situazione emodinamica precaria, trattandosi di soggetto politrasfuso e con coagulopatia in atto”.

La cattiva gestione della fase post partum

Quanto, invece, al filone ordinario, gli imputati ginecologi erano stati condannati in primo grado, sempre in relazione all’accusa di avere in maniera assolutamente intempestiva dato corso all’iniziativa terapeutica e per le vistose carenze nella gestione della paziente.
Nel corso del giudizio d’appello, tuttavia, veniva disposta nuova perizia e, all’esito, veniva condannato solo uno di essi. In particolare, il ginecologo veniva ritenuto responsabile di una negligente, mancata diagnosi di placenta previa, condotta che aveva impedito di avviare tempestivamente la gestante presso altra struttura più idonea, ritenendo che, nella specie, non venisse in rilievo la tempistica dell’intervento di isterectomia, quanto l’inadeguata programmazione del parto e la mancata selezione di una struttura diversa e più attrezzata.

Ad ogni modo, per il Giudice della revisione, quello di merito aveva valutato la posizione dell’anestesista anche alla luce dell’errore primigenio compiuto dai ginecologi (mancata diagnosi, per l’appunto, di placenta previa), ritenendo ciononostante la responsabilità per negligenza allo stesso attribuibile e concorrente nella realizzazione del fatto di reato. Nell’immediato post partum, infatti, il trattamento della emorragia verificatasi era compito precipuo dell’anestesista, al pari della decisione di trasferire immediatamente la donna presso un centro più attrezzato, gli elementi a conoscenza dell’imputato essendo stati tali da evidenziare il pericolo di una coagulazione intravascolare disseminata acuta che portava con sé anche il rischio concreto dell’aggravamento del quadro emorragico. Pertanto, quel giudice ha ritenuto che ogni ulteriore indugio aveva costituito inescusabile negligenza dell’anestesista.

L’intervento della Suprema Corte

In conclusione, per il Giudice della revisione, non vi era contrasto tra giudicati, poiché dal confronto delle due pronunce non erano emersi fatti nuovi, entrambi i giudici avendo valutato la patologia pregressa della placenta previa e poi accreta quale causa della morte, siccome non previamente attenzionata, valorizzato in maniera differente la condotta dei ginecologi e dei chirurghi, nel primo caso dando rilievo alla responsabilità della équipe medica nel corso dell’intervento, nel secondo anticipando temporalmente la colpa alla mancata diagnosi ante partum, laddove, quanto al ruolo degli anestesisti, le due sentenze sono state ritenute concordi nel valutare la concorrente incidenza causale della condotta di uno solo di essi, il dottor. G.M. (odierno ricorrente).

L’anestesista ha rilevato che nella sentenza di condanna della Corte d’appello di Caltanissetta del 26/1/2017 si era affermato erroneamente che una diagnosi di placenta previa era stata effettuata dai ginecologi, laddove nel parallelo giudizio ordinario era emerso proprio il contrario, cioè l’omissione di tale diagnosi, il che costituirebbe proprio quel fatto nuovo, reale causa della morte della paziente, dato emerso solo a seguito della nuova perizia disposta in appello nel giudizio ordinario.

Quanto, invece, alla ritenuta diversificazione della posizione dei due anestesisti, il ricorrente ha evidenziato che la Corte d’appello, nella pronuncia assolutoria dell’altro anestesista, dottor. P., effettivamente aveva riconosciuto che costui era intervenuto solo successivamente, allorquando le prime scelte anestesiologiche erano già state prese, ma aveva anche dato atto della vera causa del decesso della donna, negando certezza quanto all’effetto salvifico della diversa terapia trasfusionale.

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Il ricorso è totalmente infondato

La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi della materia, procedendo alla necessaria, preliminare verifica della inconciliabilità ed escludendola sulla scorta della corretta considerazione che il fatto storico, diversamente accertato nei due distinti processi, non era una novità nella valutazione complessiva delle vicenda operata dal Giudice dell’abbreviato, posto che l’addebito di responsabilità all’anestesista aveva avuto ad oggetto la concorrente condotta negligente e imperita posta in essere nella fase post partum, inserendosi con efficacia condizionante nel decorso causale già avviato dalla altrettanto negligente e imperita gestione della fase ante partum.

Inoltre, il Giudice della condanna, nel distinguere la posizione dell’anestesista, da quella di dei due ginecologici, aveva effettivamente riconosciuto che l’originaria negligenza era addebitabile ai ginecologi e che, a fronte di una diagnosi corretta, costoro avrebbero dovuto predisporre ben altri presidi, il che vale quanto affermare che la diagnosi corretta non era stata effettuata, fatto storico, dunque, riversato nella valutazione complessiva di quel Giudice e da quegli non ritenuto idoneo a interrompere il nesso causale tra l’evento e la condotta concorrente e successiva dell’anestesista.

Avv. Emanuela Foligno

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