Giovani all’estero, il report: «Gli under 35 espatriati sono più ottimisti sul loro futuro»

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di
Federico Nicoletti

L’analisi di Fondazione Nordest, questionari a 1.500 persone: «Lavorano e hanno tenori di vita più alti»

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I giovani under 35 espatriati sono più ottimisti sulla loro condizione, sul loro futuro, hanno un’occupazione e solo il 7,4% ritiene di avere un tenore di vita inferiore alla media dei coetanei, mentre più di uno su due lo dichiara elevato, contro meno di uno su quattro tra i giovani residenti nel Nord Italia. È quanto emerge dall’ultima Nota del 2024 della Fondazione Nord Est, il centro studi delle Confindustrie del Triveneto, sulle condizioni di vita dei giovani emigrati all’estero.

Zaia: «L’erba del vicino sembra sempre più verde»

Tema sul quale la Fondazione ritorna con alcuni numeri essenziali, per rispondere a un refrain che torna spesso dalla politica, secondo cui la scelta di andarsene altrove è compiuta più sull’onda di una convinzione di maniera che all’estero le condizioni siano migliori, mentre le occasioni non mancano anche qui. E che della condizione di questi giovani in realtà ben poco si sa. Concetto questo, per esempio, espresso dal presidente della Regione, Luca Zaia, alla recente assemblea dei Giovani di Confindustria Veneto Est, il 5 dicembre, dove ha suggerito la necessità di un «cambio di narrazione» sulla fuga all’estero: «L’erba del vicino sembra sempre più verde. Dove trovano un territorio come il nostro dove qualsiasi idea può germinare?».




















































Questionari a 1.500 emigrati

Fondazione Nordest propone per contrasto i dati del sondaggio realizzato quest’anno con 1.500 questionari di espatriati tra i 18 e i 34 anni, di cui 900 dal Nord. Fanno parte della ricerca pubblicata quest’anno nel libro «I giovani e la scelta di trasferirsi all’estero», acquistabile su Amazon (tra l’altro, come si legge in copertina, realizzato con il contributo della Regione Veneto).
Rispetto ai coetanei, secondo l’indagine di Fondazione Nord Est, il 56% degli espatriati definisce il proprio tenore di vita alto, il 7,1% basso, il 36,7% nella media. Riguardo alla sistemazione, il 33,5% vive con altri tra studenti, colleghi, coinquilini; in Italia quasi il 50% dei residenti vive coi genitori.

Cosa fanno gli espatriati

Rispetto ai motivi per risiedere all’estero, un giovane su cinque lo fa per studiare, tre su quattro lavorano mentre solo circa il 3% degli intervistati dichiara di essere senza un impiego e il 4% ha un’occupazione saltuaria. Tra gli occupati, poi, specifica la Fondazione, più di nove su dieci sono dipendenti mentre solo nel 5% dei casi sono autonomi o imprenditori. Tra i lavoratori dipendenti quasi la metà è impiegata in attività (operaio specializzato e semi-specializzato, impiego senza qualifica, tecnici, impiegati qualificati nei servizi) per le quali le imprese italiane non trovano candidati.

«I dati sulla condizione dei giovani emigrati all’estero non mancano. E verrebbe da dire che hanno scoperto come l’erba fosse in realtà più verde del previsto», commenta Paolazzi. Ma non sarà che la lettura che spesso si sente qui come di un tradimento nell’uscire non tiene conto che il mercato per attrarre i giovani, sempre più scarsi, è ormai su scala europea, e che per le aziende estere è normale cercare anche qui talenti? «Certo, c’è anche questo replica Paolazzi – Ma c’è anche che il Veneto, come le altre regioni del Nord, non sono attrattive per i giovani esteri».

«Pagare i giovani per quel che valgono»

Mettersi in competizione farebbe emergere differenze di capacità d’offerta, a partire dagli stipendi. «Certo, qui non si possono offrire gli stessi soldi dell’estero – dice il direttore -, ma nemmeno fermarsi ai minimi contrattuali: si tratta di pagare i giovani per quel che valgono. E di avere organizzazioni aziendali che permettano di valorizzarli». Con una valutazione finale: «Sono questioni decisive su cui organizzare gli Stati generali per discutere come uscirne, senza limitarsi a infilare la polvere sotto il tappeto».


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