Dietro le quinte di “Champions League Show” (Sky Sport)

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Conto e carta

difficile da pignorare

 


Tutte le volte che sono passato in treno dalla stazione di Milano Rogoredo, l’occhio è sempre rimasto agganciato a quell’enorme edificio a vetri, sulle cui facciate sono impressi il logo dell’emittente e quello di due dei principali canali di riferimento: la sede di Sky Italia.

Mi domandavo cosa ci fosse al di là di quel muretto, guardando quelle grandi antenne satellitari presenti sul tetto, che permettono ai segnali di arrivare nelle nostre televisioni.

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E, a dire il vero, fantasticavo di poterlo varcare, un giorno, quel muretto, ma mai mi sarei immaginato che quel momento sarebbe per davvero potuto arrivare.

Un altro giorno, il 26 novembre 2024, da cerchiare in rosso nel mio personalissimo calendario, perché è stato quello in cui ho avuto la possibilità non solo di entrare nella sede di Sky Italia, ma anche di vedere il dietro le quinte di uno dei programmi di punta di Sky Sport, ossia “Champions League Show”.

Un giorno reso possibile grazie all’invito ricevuto dall’Amico Roberto Carlo (all’anagrafe) Montoli (da tutti chiamato Popi), regista di professione, attualmente a capo della squadra dei registi di Sky Sport, che curava la regia del programma il 26 di novembre.

Una trasmissione che viene realizzata nello studio 6 di Sky, che fino a un’ora prima dell’inizio è occupato dal telegiornale di Sky Sport 24, e che viene allestito in poco più di mezz’ora da una squadra di alacri macchinisti e tirato a lucido in poche decine di minuti per esaltare la realtà aumentata che rappresenta il fiore all’occhiello della trasmissione.

Ho la fortuna e la possibilità di vedere coi miei occhi quello che un telepcsportdipendente non può nemmeno lontanamente immaginare, dal momento che tutta questa indispensabile attività di allestimento e di preparazione non viene raccontata (né tantomeno vista da) a nessuno di noi, un’attività che vede coinvolti donne e uomini, i quali contribuiscono alla realizzazione del programma, lavorando nel più totale anonimato.

Oltre ai macchinisti (pronti a montare e a risolvere in tempo reale eventuali problemi), c’è il direttore delle luci, che controlla che tutto ciò che gravita intorno all’illuminazione dello studio sia in ordine, l’assistente di studio, che rappresenta l’occhio del regista sul campo, gli operatori di ripresa che controllano il corretto settaggio delle camere con cui dovranno lavorare nelle ore successive.

L’ora X, quella della prima diretta della serata (per intenderci la diretta che precede il calcio d’inizio delle due partite programmate per le 18:45) si avvicina ed è il momento di entrare in regia, nella specie la regia video studio 6, all’interno della quale siedono un bel po’ di persone.

Oltre a Popi Montoli, c’è un operatore morst (cioè colui che fa ciò che un tempo faceva il mixer video) un paio di giornalisti addetti al coordinamento (uno si interfaccia con la regia per coordinare le varie clip da mandare in onda o i collegamenti pronti a essere staccati, mentre la seconda è collegata con i presentatori al fine di coadiuvarli nella condizione di una trasmissione, il cui copione viene modificato da un momento all’altro, senza il benché minimo preavviso, perché può essere necessario staccare all’improvviso su di un collegamento in esterna, perché c’è un allenatore da ascoltare in diretta, oppure mostrare alcune immagini dagli spalti e via discorrendo), un paio di operatori EVS (che registrano i segnali che arrivano dai campi dell’intera Europa, da proporre al regista a seconda dei temi trattati) e un paio di tecnici, oltre, ovviamente, a coloro che lavorano nella finitima stanza dedicata all’audio.

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Cinque, quattro, tre, due, uno, siamo in onda”: un conteggio che sentirò scandire tante volte nel corso della serata, quel conteggio che precede il momento da cui non si può più sbagliare, perché si è in diretta, perché viene realizzato quel programma che entra nei salotti e nei locali pubblici per essere visto da centinaia di migliaia di persone, tra le quali, per una sera, non ci sono io.

Io sono lì, a pochi centimetri da quella pulsantiera che viene spinta (con la grazia di chi suona i tasti di un pianoforte) per mandare in onda un’immagine piuttosto che un’altra, proveniente dallo studio che è al piano inferiore in cui operano 8 telecamere (4 delle quali vengono utilizzate anche per quei segmenti del programma – relativi al prepartita, al post partita dei match delle 18,45 e all’intervallo tra il primo e il secondo tempo degli incontri delle 21 – in cui ci sono meno ospiti e il tutto si svolge in una parte più piccola del medesimo studio).

La padrona di casa è la camera 5 (una camera aerea che si muove grazie a quattro cavi ancorati ai quattro lati dello studio) sulla quale viene sovraimpressa la realtà aumentata: in pratica, nel corso del programma vengono costantemente inseriti oggetti, loghi, immagini tridimensionali di giocatori, allenatori, classifiche, ricostruzione delle formazioni in campo, che nella realtà non esistono, perché gli unici che li vedono (oltre, ovviamente, a noi telepcsportdipendenti) sono gli operatori di ripresa, i quali muovono (con notevole sensibilità e altrettanta abilità) la camera intorno o attraverso queste immagini virtuali, come se le stesse esistessero per davvero all’interno dello studio.

E poi ci sono anche le altre telecamere, tra cui un gimbal (utilizzato per avvicinarsi ai conduttori e ai vari talent, nonché per qualche inquadratura che gioca con le telecamere) e un paio di camere remotate.

Il tutto, come si può immaginare, sotto la direzione di Popi Montoli, il quale non si occupa soltanto dello stacco delle camere da mandare in onda (fornendo nel contempo le indicazioni agli operatori), ma, sempre coadiuvato e supportato da coloro che sono in studio, sceglie quando “far entrare” le immagini da una camera esterna (un inviato a bordo campo, ad esempio), riproporre un qualcosa che è stato registrato dall’EVS perché pertinente con le tematiche trattate in quel momento, scegliere le grafiche virtuali da mandare in onda e decidere quando proiettarle sulla camera 5.

Dopo di che, se questo non bastasse, gestisce anche le immagini o i video da proiettare sui vidiwall che rappresentano lo sfondo dello studio oltre al layout da adottare, nonché la musica da far ascoltare in sottofondo, che lancia direttamente da una propria playlist.

Il significato della parola multitasking lo conosce molto bene, insomma.

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Sono incantato nel vedere tutto questo e mi sento, lo confesso, un po’ come il Grande Fratello, che ha la possibilità di sbirciare immagini che provengono da ogni dove.

Quel che mi affascina di più è (ca va sans dire) la realtà aumentata, ossia quella grafica che permette infinite personalizzazioni, specie se si considera che le stesse possono essere abbinate a infinite foto o riflessi filmati, che vengono proiettati alle spalle dei giornalisti e dei talent presenti in studio, con il fine di accompagnare il racconto con il supporto delle immagini.

E’ la realtà aumentata che permette di creare un cielo stellato all’interno dello studio, andando a coprire i tubi o le luci, ad esempio, con la sagoma di un ben preciso stadio, quello della squadra di cui nel programma, in quel momento, si sta parlando.

Non è semplice da scrivere, o almeno, non è facile per me, ma è bello da vedere.

Così come è bello vedere al lavoro persone che remano tutte in un’unica direzione, finalizzata alla buona riuscita del programma per soddisfare i (nella specie) tanti abbonati che lo guardano ogni volta che si giocano le partite della Champions League.

Oltre alle grafiche, sono un paio le altre cose che mi colpiscono:

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  • la prima, vale a dire la capacità di tutta la squadra di mantenere un elevato livello di concentrazione, nonostante l’impegno lavorativo presenti alcuni tempi morti, coincidenti con quelli in cui si giocano le partite. Di fatto si lavora per una quarantina di minuti, poi si stacca per un’altra quarantina di minuti, poi si lavora per un’ora e mezza, poi si stacca nuovamente per un tempo coincidente a quello delle prime frazioni di gioco per poi riprendere a lavorare per un quarto d’ora, dopo di che l’ultima pausa (coincidente con il secondo tempo) per poi tuffarsi in un altro paio d’ore di diretta. Un impegno intermittente durante il quale, tuttavia, occorre subito trovare la giusta concentrazione;
  • la seconda, invece, l’abilità di mandare avanti il programma nonostante, ogni tanto, possa esserci qualche piccolo imprevisto di natura tecnica, ovvero possa succedere un qualcosa di imprevedibile legato a un episodio sul campo, ovvero a uno scambio di battute con un allenatore o un giocatore durante un’intervista al termine della gara.

Quando si sta bene, il tempo, purtroppo, passa in fretta.

Fuori è già notte fonda, quando rientriamo in redazione, i presenti si contano sul dito di una mano, lavorano anche la notte per garantire quella continuità richiesta da un’emittente che racconta lo sport in diretta, perché lo sport, in televisione, non va mai a dormire.

E’ (già) tempo di uscire dal luna park, saluto Popi, lo ringrazio per l’esperienza emozionante che mi ha fatto vivere, per avermi guidato (assieme a Daniela e a Fofo) dentro i vari studi di Sky, e, soprattutto per chiacchierare assieme a lui, mentre l’attenzione dei tifosi era rivolta ai secondi tempi delle squadre per cui stavano tifando, di prove di innovazione e della volontà di creare qualcosa di nuovo da raccontare per emozionare le persone a casa.

E’ tempo di riconsegnare il badge in guardiania.

Ma, mentre sto per uscire, pur strisciando il badge non si apre il tornello.

Un segno del destino, penso tra me e me, che non vuole che finisca il sogno che sto vivendo

Il sogno, in realtà, lo interrompe un addetto della guardiania, che mi fa gentilmente notare che stavo cercando di uscire da tornelli non più attivi dopo la mezzanotte…

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Quando il mattino seguente risalgo sul treno, quell’edificio a vetri lo guardo ancora un’altra volta, in un modo diverso, però: con l’occhio di colui che, per un giorno, ha visto ciò che per anni ha cercato di immaginare, con un pizzico di nostalgia, in ricordo di quelle domeniche in cui, sul divano di casa, insieme a chi adesso non c’è più, guardava una trasmissione chiamata “Diretta Gol”, il cui studio ha avuto la possibilità di vedere nell’ambito di un’esperienza che, tuttavia, non gli potrà mai raccontare, e che sono sicuro gli avrebbe illuminato gli occhi.

Ma questa è un’altra storia.

Grazie Popi e grazie a tutti coloro che mi hanno accolto con ospitalità durante un loro normale giorno di lavoro, un giorno, per me, davvero speciale.

Stay tuned!

TRANSLATION | N.B. per la versione desktop del sito è attiva la traduzione multilingua

Multilingual translation available in desktop version

Wenner Gatta | Avvocato e appassionato dal 1978 di ogni tipo di sport, visto, si badi bene, dalla privilegiata posizione del proprio divano di casa. Dal 2020 socio dell’associazione Nicolodiana e Salvadoriana telepcsportdipendenti. Il suo motto è: “Perché seguire solo un evento sportivo, quando se ne possono vedere tanti contemporaneamente?”. Da marzo 2021 cura settimanalmente sulle pagine di Sport In Media la rubrica “Ultra Slow Mo” dove cerca di raccontare ciò che non si vede dello sport in TV. Durante i giochi olimpici invernali di Pechino 2022 ha invece pubblicato quotidianamente sempre sulle pagine di Sport in Media la rubrica #undòujiāngdaPechino.
Da giugno 2024 ha lanciato Breaking News Ultra Slow-Mo uno spazio per parlare in tempo reale e in modo telegrafico di telecamere particolari, di grafiche innovative, di novità delle produzioni televisive.

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