Nell’Isola, non esiste uno storico che consenta di rilevare il dato dell’evasione fiscale presente nel comparto ricettivo
Camerieri e fornitori pagati in nero. Soggiorni saldati cash e senza alcuna tracciabilità. Evasione fiscale di ogni genere possibile grazie anche all’assenza di controlli. In Sicilia non esiste infatti uno storico che consenta di rilevare il dato dell’evasione fiscale presente nel comparto della ricettività. E non esiste neppure la possibilità di effettuare una analisi economica dettagliata del segmento di mercato per mancanza di dati sufficienti.
A rivelarlo ai microfoni del Quotidiano di Sicilia è la CGIA di Mestre, il sindacato che ogni anno stila con il ministero dell’Economia e delle Finanze il report nazionale sui dati dell’evasione fiscale per singola regione. Una conferma che trova riscontro anche nei rilevamenti della CGIL Sicilia.
Tradotto: non è possibile comprendere in maniera precisa, su base statistica, a quanto ammonti il giro di “nero” presente nelle attività ricettive delle città siciliane. Lo conferma la Regione, che nel rapporto “Il turismo in Sicilia” del 2020 si limita ad assegnare un generico 16,5% di evasione tanto a alla provincia di Messina (quella che presenta il numero più elevato di strutture ricettive) quanto a Caltanissetta (il numero minore).
Strutture ricettive e lavoro il nero, la conferma di CGIA
“Si tratta di un argomento troppo dettagliato e del quale al momento non esistono delle statistiche, nei nostri report si tratta di un fenomeno ascrivibile alla sezione generica “Altri servizi””. Ma non è così per tutte le regioni italiane: ci arriveremo.
La conferma della CGIA avviene in una Regione che in tema di evasione fiscale non ha purtroppo nulla da insegnare al resto del Paese. La Sicilia è tristemente al quarto posto su base nazionale alle spalle solo di Calabria, Campania e Puglia in termini percentuali. Una economia sommersa che vale oltre 6 miliardi di euro rispondenti a una evasione del 16,5% rispetto al gettito tributario: il numero che torna.
L’evasione fiscale a livello nazionale
A livello nazionale, l’evasione fiscale complessiva ammonta a circa 84 miliardi di euro, con una media dell’11,2% di evasione: oltre cinque punti in meno dell’Isola. In generale, le regioni del Mezzogiorno mostrano tutte tassi di evasione significativamente più elevati rispetto al resto d’Italia.
Numeri diffusi dal ministero dell’Economia ed elaborati proprio dall’Ufficio studi della CGIA di Mestre. L’evasione fiscale è spesso associata a un’economia non osservata, che in Sicilia è stimato rappresenti circa il 17,3% del valore aggiunto regionale. Un fenomeno poi aggravato da una forte presenza di attività economiche non formalizzate e da un’alta incidenza di lavoro irregolare.
Il quadro sulla Sicilia
Nel quadro generale, Palermo è la provincia siciliana che si trova più in alto nella classifica, al dodicesimo posto, con 693.290 contribuenti totali Irpef. A seguire Catania al ventesimo posto (613.793) e Messina alla trentatreesima posizione (389.451). E poi ancora Trapani al 56esimo posto (262.135 mila contribuenti), Agrigento al 60esimo (251.241), Siracusa e Ragusa rispettivamente al 65esimo (235.461) e 76esimo posto (206.912). A chiudere Caltanissetta 91esima ed Enna 103esima.
Stando ai dati elaborati dal Mef, tra le categorie più a rischio evasione ci sono proprio quelle presenti nel comparto della ricettività. Al primo posto ci sono i ristoranti con il 72,8%, poi bar e pasticcerie (68,6%). Ma anche alberghi in top ten. Tra gli altri, i negozi di alimentari con il 63,3%, di abbigliamento con il 62,8% per proseguire con meccanici, elettricisti, software house, ditte edili e impiegate nel settore della logistica.
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Rilevamenti basati sulle funzioni di un algoritmo fondato su diversi parametri che tengono conto del settore economico di riferimento, dell’area geografica nella quale ci si trova e delle dinamiche vissute dai principali costi: da quello dell’energia a quello del lavoro dipendente.
Un quadro che, in considerazione del boom delle attività ricettive presenti nell’Isola nel corso degli anni, avrebbe dovuto far quantomeno suonare un campanello d’allarme di primo piano per il fisco. Ma così non è stato. E la scarsa attenzione al fenomeno è rilegata proprio a quella sottosezione “Altri servizi” del report della CGIA che non ha possibilità di entrare nello specifico per l’assenza di dati. “Sul sito dell’Istat è possibile rintracciare qualche dato a proposito dell’economia sommersa in un apposito rapporto, ma non c’è nient’altro che possa al momento aiutarla nella sua ricerca”, spiegano gentilmente dalla CGIA di Mestre.
L’economia nascosta e in forte crescita
Una economia nascosta che, come sottolinea Istat, è in forte crescita nel Paese con una stima di crescita di 17,6 miliardi e un aumento del 9,6% rispetto al 2021 (+8,4% la crescita del Pil corrente). “L’economia sommersa (ovvero al netto delle attività illegali) si attesta a poco meno di 182 miliardi di euro, in crescita di 16,3 miliardi rispetto all’anno precedente, mentre le attività illegali sfiorano i 20 miliardi”, conferma l’analisi a corredo del rilevamento storico relativo all’”Economia non osservata nei conti nazionali – Anni 2019-2022”, diffuso dall’Istituto lo scorso 18 ottobre.
Dai circa 195 miliardi di economia sommersa del 2019, tralasciando il periodo Covid, si arriva ai circa 202 miliardi del 2022: una vera e propria impennata in un arco temporale relativamente breve. “Nel complesso – aggiunge Istat – i settori dove il peso del sommerso economico è maggiore sono gli Altri servizi alle persone, dove esso costituisce il 30,5% del valore aggiunto del comparto, il Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (18,5%)”, confermando i dati dell’algoritmo del Mef.
Il problema dell’aver inglobato quattro settori nell’analisi
Altro problema di non poco conto: aver inglobato nell’analisi quattro settori tra loro certamente dialoganti, ma che presenterebbero tassi di evasione differenti. Non è infatti possibile pensare che un ristoratore possa evadere quanto un autotrasportatore. Lo spiega nel dettaglio l’incrocio dei prossimi dati. Nonostante regole più stringenti e un significativo aumento con pagamenti elettronici, chi lavorava sfruttando l’economia sommersa anche nella ricettività – tra dipendenti in nero e tasse nascoste all’erario – in qualche modo continua a farlo.
“Il contributo del valore aggiunto sotto-dichiarato all’attività produttiva ha un ruolo significativo per il Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (11,2% del totale del valore aggiunto del settore), gli Altri servizi alle persone ed i Servizi professionali (11,1% in entrambi i comparti). Nel 2022, sono 2 milioni e 986mila le unità di lavoro a tempo pieno (Ula) in condizione di non regolarità, occupate in prevalenza come dipendenti (circa 2 milioni e 168mila unità). Rispetto al 2021, il lavoro irregolare è rimasto sostanzialmente stabile, segnando un incremento pari a +0,1% (poco meno di 3mila Ula)”, aggiunge ancora Istat.
Eppure, rispetto al 2011, ovvero all’inizio dei rilevamenti di Istat, sono proprio i settori del commercio, alloggio e ristorazione a mostrare un tasso di irregolarità in calo di 0,3 punti percentuali (dal 14,8% del 2021 al 14,5% del 2022). Questo non perché mutino le abitudini né perché le maglie del fisco siano più stringenti, ma perché si registra invece una flessione dei dipendenti rispondente a -0,4 punti percentuali.
Istat, irregolarità in aumento
In più Istat evidenzia anche “un aumento di 0,1 punti del tasso di irregolarità in controtendenza rispetto a tutti gli altri settori”. Tradotto: in proporzione, in questi settori si evade ancora di più che in passato. “Significativa risulta la presenza di lavoratori irregolari in Agricoltura (17,4%), nelle Costruzioni (12,4%) e nel commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (14,5%)”, spiega il rapporto.
La contromossa della Regione
La Regione ha provato a non restare con le mani diffondendo il rapporto “Turismo in Sicilia”, firmato dalla Dirigente Responsabile dell’Osservatorio Turistico e dello Sport, Lia Giambrone e possibile da rintracciare fino al 2021. I dati successivi è possibile reperirli nella sezione “Osservatorio Turistico della Regione Sicilia”. All’interno è possibile risalire al numero di strutture ricettive registrare in regione e la suddivisione provinciale che premia Messina e penalizza Caltanissetta, rispettivamente prima e ultima provincia dell’Isola per presenza di strutture.
Una analisi ancora più aggiornata è quella diffusa da Confesercenti Sicilia e commissionata all’Osservatorio sul turismo per le Isole Europee (Otie), presentata a Palermo lo scorso anno. In Sicilia l’offerta alberghiera è di 215.420 posti letto al giorno, per un totale di 84.261 camere. Le strutture alberghiere forniscono 123.618 posti letto, mentre si stima che le strutture extra-alberghiere offrano 91.802 posti letto.
In Sicilia, negli ultimi 10 anni (2013-2022), il numero delle strutture extra-alberghiere è aumentato in modo significativo, passando da 2.363 nel 2013 a 6.869 nel 2022, con un notevole incremento soprattutto nel 2016 e nel 2017. L’aumento delle strutture extra-alberghiere si è verificato in tutte le province. in alcune ci sono stati picchi significativi di crescita in determinati anni, come Trapani nel 2016 e 2017, Palermo nel 2018 e 2021, Messina nel 2019 e 2022 e Catania nel 2017.
E la crescita prosegue. Nel primo semestre del 2024, la Sicilia ha infatti registrato oltre 8 milioni di presenze turistiche (+11,4% sul 2023). Boom per gli affitti brevi, un settore in forte espansione, che ha visto un incremento del 50,7% con 1,83 milioni di presenze. Tutto senza un reale sistema di controllo.
Per tentare di contrastare il fenomeno dell’evasione fiscale in un settore dalle maglie molto larghe come quello della ricettività, lo scorso 10 luglio la Sicilia ha aderito alla Banca Dati Nazionale delle Strutture Ricettive (BDSR) e ha introdotto il Codice Identificativo Nazionale (CIN), istituito con il decreto-legge n.145/2023, per migliorare la trasparenza e il monitoraggio delle attività ricettive. Questa iniziativa mira a combattere l’evasione fiscale nel settore turistico attraverso una gestione più rigorosa delle strutture.
Si tratta di un codice univoco assegnato a ogni struttura ricettiva registrata nella BDSR. Questo identificativo deve essere obbligatoriamente utilizzato negli annunci di affitto e apposto all’esterno delle strutture. La sua funzione è duplice: da un lato, facilita il monitoraggio delle attività ricettive; dall’altro, garantisce maggiore trasparenza e tracciabilità nel settore turistico.
Per ottenere il CIN, i proprietari delle strutture devono accedere alla piattaforma digitale del Ministero del Turismo utilizzando un’identità digitale come SPID o CIE. Attraverso questo sistema, è possibile visualizzare e aggiornare i dati delle strutture in modo semplice e intuitivo, riducendo gli oneri burocratici e migliorando la gestione delle attività.
La Sicilia è divenuta così la settima regione ad aderire al sistema dopo Puglia, Veneto, Abruzzo, Calabria, Lombardia e Marche. Prima di stilare un report completo che consenta un incrocio con le altre statistiche disponibili a proposito dell’economia sommersa nel settore, sarà necessario attendere almeno un anno. “È quantomeno incredibile come fino a questo momento non sia stato possibile tracciare una mappatura del genere. Neppure noi in CGIL abbiamo mai potuto avere a disposizione i dati relativi all’economia sommersa nel settore della ricettività”, ha spiegato al QdS il componente della cabina di regia del sindacato, Francesco Lucchesi.
L’investimento da oltre 135 milioni di euro
In questo stesso arco temporale, la Regione è chiamata a investire oltre 135 milioni di euro provenienti dal Fondo Sviluppo e Coesione della programmazione 2021-2027 proprio nel settore della ricettività. “Un provvedimento atteso dal 2016”, ha spiegato l’assessore al Turismo Elvira Amata.
Uno stanziamento approvato dalla giunta regionale lo scorso 13 dicembre. I contributi andranno ai gestori di hotel, villaggi, case vacanze e B&B dell’Isola. Presto saranno disponibili tutti i requisiti e i dettagli che verranno inseriti nel bando in corso di pubblicazione.
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