di Cesare Zapperi
La telefonata del leader della Lega con Pier Silvio Berlusconi: finiremo ciò che iniziò tuo padre
Incassata, non senza un pizzico di sorpresa, la piena assoluzione, Matteo Salvini passa subito al contrattacco. Il vicepremier cerca il bagno di folla in largo Argentina a Roma, dove gli portano uno striscione che sbandiera la sentenza di Palermo («Il fatto non sussiste»), stringe mani, fa collezione di pacche sulle spalle e si fa forte dei messaggi che gli arrivano da ogni dove, compresa una telefonata di Pier Silvio Berlusconi nel nome dell’antica battaglia garantista del padre Silvio, che Salvini promette «sarà portata a termine», basandola su due cardini: separazione delle carriere e responsabilità civile dei magistrati.
Lo fa a modo suo, cogliendo in ciò che è successo venerdì una lezione per il futuro. «La riforma della giustizia è urgente. In tribunale a Palermo ho visto una corretta, giusta, sana separazione di chi giudica rispetto a chi indaga. La separazione delle carriere porterebbe quello che si è visto in aula a essere la normalità in tutta Italia». Salvini sottolinea che a lui è andata bene perché è stato assolto («anche se il processo è costato milioni»), «ma ci sono decine di migliaia di italiani che sono ingiustamente sotto processo, e quindi penso a chi è in carcere o ai domiciliari».
Il leader leghista, arrivato in piazza con la compagna Francesca e con uno stuolo di fedelissimi guidati dal vicesegretario Claudio Durigon, è talmente sollevato che una volta tanto, pur agitando i suoi cavalli di battaglia, usa toni distesi. «Mi ha fatto piacere ricevere anche tanti messaggi di politici di sinistra: sindaci, governatori, parlamentari ed ex ministri, perché un conto è la battaglia politica, un conto è volere il male degli altri. Non riesco ad augurarmi di vedere Conte, Renzi o Schlein in galera. Neanche se mi sforzo…». Giuseppe Conte interviene a «In Onda» su La7 e mostra una lettera: «Come presidente del Consiglio ho scritto a Salvini, ministro dell’Interno, quell’estate in cui lo mettevo in guardia dal fatto che stava gestendo questa vicenda e stava rischiando di violare le convenzioni internazionali».
Giorgia Meloni, impegnata in Lapponia, è stata tra le prime a telefonargli. E tra i messaggi è spiccato quello di Elon Musk («mi ha fatto piacere, è una persona illuminata») mentre, malgrado la vicinanza più volte ostentata, non risulta pervenuto alcun cenno da Donald Trump. «Non penso abbia il tempo di mandare un messaggio» chiosa Salvini per tacitare letture maliziose. Ha invece chiamato Pier Silvio Berlusconi, e il ministro non se lo aspettava perché da Cologno Monzese più volte nelle scorse settimane sono filtrati umori non favorevoli ai toni più che alle posizioni leghiste.
Nel quartier generale leghista c’è soddisfazione per il sostegno che arriva dall’estero: dalla Francia, con Marine Le Pen e Jordan Bardella del Rassemblement National, dal premier ungherese Viktor Orbán, dalla Spagna con il leader di Vox Santiago Abascal, dai Paesi Bassi con il leader del PVV Geert Wilders, dal Portogallo con il leader di Chega, André Ventura. Messaggi di alleati europei della Lega, comunque, non apprezzamenti che arrivano da fronti opposti.
E se anche il «day after» è all’insegna della leggerezza, Salvini sente di non potersi esimere dal lanciare una stoccata a «quegli intellettualoni di sinistra che per tre anni hanno scritto sui giornali o raccontato in televisione solo sciocchezze». E dal mandare un avviso a chi trama da oltre confine. «La sentenza di Palermo è una prova nei confronti di associazioni straniere finanziate da persone all’estero che vogliono il male dell’Italia, perché Soros e c. finanziano la distruzione della nostra cultura, della nostra civiltà e della nostra identità».
A chiudere, una rassicurazione: Salvini non tornerà al Viminale. «Per me Piantedosi è un fratello, non corro per sostituirlo». Con l’aggiunta di un «per ora» che rimane appeso a futura memoria.
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