non c’è transizione senza ascolto

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In una delle città più climaticamente traumatizzate d’Italia si è creata una rete di esperti (idrologi, meteorologi, geologi). Una specie di comitato tecnico scientifico auto-convocato: le due direttrici principali su cui si muovono sono divulgazione e ascolto dei cittadini 

La bolla sociale e culturale delle persone e delle organizzazioni che si occupano di clima è arrivata alla fine di quest’anno in una condizione di inquietudine, perché è evidente che qualcosa nella comunicazione ambientale si è rotto e va riparato. È il motivo per cui ci sono diverse iniziative di ricercatori o attivisti che nascono in modo spontaneo per provare a fare le cose in modo diverso, partendo da un dato di realtà: un certo modo di parlare di clima è arrivato al capolinea.

È così che, proprio nella Faenza post-alluvione, una delle città più climaticamente traumatizzate d’Italia, è nata una nuova rete di esperti (idrologi, meteorologi, geologi). Hanno deciso di chiamarsi AGIRE (Alleanza per la Gestione Integrata del Rischio idro-geologico Emiliano-romagnolo), sono una specie di comitato tecnico scientifico auto-convocato, immaginato e messo insieme da figure come Carlo Cacciamani, direttore dell’Agenzia ItaliaMeteo, e Andrea Nardini, ingegnere idraulico di fama internazionale.

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Polarizzazione e sfiducia

La diagnosi da cui parte AGIRE, per usare le parole del ricercatore forestale Giorgio Vacchiano, uno degli studiosi che hanno aderito, è che oggi i due problemi più grandi per la comunicazione del clima siano la polarizzazione e la sfiducia.

Come spiega Vacchiano, «La polarizzazione svuota di senso ed efficacia qualsiasi cosa si dica, crea parti avverse tra loro a priori che prenderanno sempre per parere ideologico quello che dicono gli altri».

L’altro tema, quello della sfiducia, è ancora più pericoloso: è lo scetticismo strutturale di cui si sono ammalate le nostre società, l’effetto sul piano del clima è che «la stessa gestione del rischio viene messa in discussione, perché se non credo più alle istituzioni, non crederò nemmeno più alle allerte, o alle misure di emergenza, o alle istruzioni per mettermi al sicuro».

La risposta da cui sono partiti i promotori della rete AGIRE è l’ascolto. Non si può fare transizione o adattamento senza ascolto, non si può lavorare con le comunità senza averne prima compreso bisogni e percezioni e senza essersi spiegati. Questo vale a ogni latitudine e in ogni pezzo della trasformazione ecologica, vale ancora di più in un pezzo di Italia che sta provando a fatica a ricostruirsi dopo le alluvioni del 2023.

Divulgare e ascoltare

È per questo che AGIRE ha scelto il post alluvione romagnolo come laboratorio per questo nuovo metodo, con una doppia operazione. La prima è divulgazione: leggere e analizzare le centinaia di pagine del piano speciale per la ricostruzione supervisionato dal generale Francesco Paolo Figliuolo per la ricostruzione, con l’idea di fare quello che le istituzioni per ora non stanno facendo, secondo Vacchiano: spiegarsi e farsi capire.

La seconda è ascoltare dubbi, perplessità, paure delle comunità, partendo dall’idea fondamentale che non esistono domande sbagliate, non esistono dubbi illegittimi, che riguardino pulizia dei fiumi, altezza degli argini o anche le fantomatiche nutrie di cui tanto si è discusso dopo le alluvioni.

AGIRE racchiude alcuni tra i migliori esperti di idraulica fluviale ed ecosistemi in Italia e, come anticipa Vacchiano, il giudizio sulla ricostruzione in Romagna è già piuttosto negativo. «Sembra un
po’ a corto respiro, c’è ancora tantissimo ricorso all’ingegneria, a infrastruttura grigie, fatte di cemento. Ci stiamo ancora illudendo di far funzionare i fiumi come vogliamo noi, senza tenere conto che il loro funzionamento naturale può esserci alleato, ma soprattutto che argini sempre più grandi e alti creano solo false illusioni di sicurezza, rischiando di essere controproducenti».

La valutazione finale sulla ricostruzione in Romagna arriverà all’inizio del 2025. L’idea però non è contrapporsi alle istituzioni, ma creare un ponte, aiutarle a comprendere le dinamiche scientifiche sotto i fenomeni, ma anche a spiegarsi, a comunicare meglio, a coinvolgere in modo più profondo ed efficace la popolazione. «La comunicazione è il campo messo peggio, ancora più di quello delle soluzioni tecniche. In un contesto di crisi climatica non ci possiamo permettere un rapporto rotto tra cittadini e amministrazioni».

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