“Mille e mai più mille”. Le calamità dell’XI secolo

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In questo numero di Calamitates Dutto racconta ciò che è riuscito a raccogliere sugli avvenimenti climatici accaduti nell’XI secolo

Potrei iniziare al grido di “mille e mai più mille” non fosse come sprofondare in un clamoroso falso storico. In effetti non c’è traccia di questo terrore e del resto sarebbe stato molto difficile mettersi d’accordo sulla data di fine 999. Lo scandire del tempo allora era molto differente da come lo viviamo noi: cicli quindicennali, le indizioni, e poi quando iniziava l’anno? A Natale per altri a Pasqua, insomma non esisteva una coscienza collettiva nelle comunità di allora sulla fine del secolo. Si tratta probabilmente di una falsa definizione coniata molti secoli dopo.

Ciò detto il millenarismo invece esiste eccome. Abbiamo vissuto il pasticcio del “millenium bug” legato al cambio di data tra il 31 dicembre 1999 ed il 1° gennaio 2000 che avrebbe inchiodato tutti i sistemi informatici di allora. Ovviamente i pochi problemi furono gestiti senza troppi danni ed il mondo non finì, non si fermarono le reti di distribuzione energetica né le attività industriali e finanziarie. Altro curioso e ancora più recente caso di delirio collettivo, almeno nelle Americhe ed in buona parte dell’Europa, è legato alla data del 12 dicembre 2012. Prese origine da una profezia Maya ma non accadde ancora una volta nulla a parte una massiccia ed interessantissima produzione di “instant book” molto curiosi che tengono un piano abbondante della mia libreria. Insomma i millenaristi di ogni epoca saranno sempre lì pronti a cercare un qualche Nostradamus a cui credere ma per ora direi che non succede nulla se non le orribili cose che accadono quotidianamente nel mondo che non hanno bisogno di profeti e scadenze. Così nell’anno 1000.

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Anche se non si sa di preciso se avvenne proprio nell’anno 1000 o negli anni immediatamente successivi, un fatto calamitoso si verificò in Valle d’Aosta nel paese di Chambave come narra Montandon nel 1933 (Chronologie des grands éboulements alpins du début de l’ère chrétienne à nos jours. In: Matériaux pour l’étude des calamités. Sociètè de Géographie de Genève – Com. Int. De la Croix Rouge) ripreso poi da Capello.
Forse a causa di piogge molto intense una sacca di acqua formatasi sotto la Becca d’Aver, da cui si può godere di una vista del Cervino, sfondò il materiale che la riteneva e discese irruente a valle distruggendo l’antico paese e portandosi via il campanile della chiesa e tutti gli abitanti. Per quelle povere vittime fu veramente la fine del mondo.

Il 1006 viene da molti ricordato per una tremenda carestia seguita da una epidemia di peste. La Lombardia “fu resa quasi deserta” (Affò) ed ugualmente il Friuli (Braun).

Benamati, storico Guastallese (PR) della seconda metà del ‘600, descrive con una prosa molto colorita ciò che accadde dalle sue parti nel 1009: “Apparvero in questo tempo correndo l’anno 1009, per tutte l’Italia terribili segni della giusta ira di Dio, facendosi più fiate vedere la luna di vapori sanguinei coperta, con udirsi horribili terremoti, cadendo in più luoghi dal cielo fiamme di fuoco, e dai suoi confini uscendo l’acque, che cagionarono un’arrabbiata fame, accompagnata da crudissima peste; e provando Guastalla il proprio danno, con divote orationi, procurò di placare l’adirato Iddio, da cui essendo stata esaudita, eressero in rendimento di gratie i Guastallesi, poco discosto dall’Ospitale dei Pellegrini, una Chiesa di vaga struttura a S. Rocco dedicata”.

Nel 1010 abbiamo ancora una notizia che ci giunge dalla Valle d’Aosta dove la chiesa ed il capoluogo di Arnaz vengono sepolti sotto le rovine di uno spaventoso cataclisma causato dal Torrente Machaby. Nulla sappiamo circa il numero delle povere vittime.

Nel 1014 vi fu una inondazione del Po probabilmente nel tratto lombardo.
Iniziano, come vediamo, a comparire notizie dalle remote vallate alpine in questo secolo. Nel 1030 vi fu una piena del Torrente Orco affluente piemontese del Po che distrusse i primi insediamenti di Cuorgné ed il borgo di Curte Canava.

Curiosamente, ma già visto altre volte, viene riportata la notizia di un’eruzione del Vesuvio dal Corpus Chronicorum Bononiensium avvenuta 1036: “El Monte Vesubio getoe tanto fuoco e tanto incendio che pareva uno fiume de fuoco che coreva infino al mare”. Chissà quale viaggiatore nel suo lungo itinerario, magari per nave sino a Genova, e poi per fare mercato in Emilia, raccontò ciò che aveva visto in luoghi allora così lontani.

Nel 1060 a Bergamo e nel bresciano e nel resto della Lombardia nel giorno di Pasqua fu sentito un forte terremoto “che timidi i cittadini come pecorelle smarrite, correvano alle chiese a chieder misericordia e seguitando il flagello si posero in fuga fuori della Città, trattenendosi in aperta campagna finché la rovina cessasse” secondo il racconto di Calvi e di Cavriolo, storici locali. I comportamenti nei secoli non mutano, la nostra paura non ha tempo. Cavriolo, storico bresciano della seconda metà del ‘500 così descrive: “Per questo tempo assalì quasi tutta l’Italia freddo, e gelo di tal fatta, che gl’animali e gl’huomini, non che le viti e gli arbori morivano dal freddo dell’inverno. Et fu ultimamente l’anno millesimo, e sessantesimo, il giorno della Sacratissima Resurrezione di Christo si gran terremoto in Brescia, che per timore altri paurosi uscirono dalla città, altri confidati nella divina clemenza supplichevoli n’andavano ricercando le chiese”.
Altro gran freddo viene segnalato in quel territorio nel 1076 seguito da una grave carestia che durò per più di un anno.

Il Volta nella sua Storia di Mantova ricorda il 1077: “In quest’anno il territorio mantovano andò soggetto ad una terribile inondazione, e il rigurgito dell’acqua del Po spinse le acque fin sotto le mura della città di Mantova con morte considerevole di uomini e di animali”.
Altro storico mantovano, Scipione Agnello Maffei, nella seconda metà del ‘600 scrive di una grande inondazione del Po nel 1082: “Anco il Po, fiume della Lombardia, sormontando le sue rive, molte castella e ville, anzi i vicini paesi del tutto sommerse, e rese inabitabili, e questo dopo aver narrato che i paesi degli eretici furono colpiti da sì grave carestia che gli uomini mangiarono non solamente le cose immonde, ma eziandio la carne umana, e che per la peste andarono al loco loro (all’inferno) i vescovi di Parma e di Reggio, Tedaldo non arcivescovo di Milano ma anticristo”. Terribili anatemi per il terrore lasciato da quell’evento. La datazione è dubbiosa e potrebbe riferirsi, come vedremo, al 1085.

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Il 1083 fu ricordato nel Bolognese per una fame “negra”: “Una fame che se chiamò la fame negra fo in 1083 e durò tre ani, e fo par tuto.” Dal Corpus Chronicorum Bononiensium. È rimasta fino ad oggi l’espressione ho una fame nera ma chissà perché, come pare, nacque a Bologna nel Medioevo. Anni duri in cui le sofferenze delle persone – si, perché in trasparenza a tutte queste parole in fila non bisogna scordarsi le persone e le loro sofferenze senza tempo – furono feroci. Viene segnalata una grande siccità tra il 1084 ed il 1088 in pianura e chissà dove altro ma immagino generalizzata nel nord Italia che mise a dura prova la sopravvivenza delle persone. La citano numerosi storici e cronisti locali.

Se per stabilire la presunta gravità di un evento si assume il numero di cronache coincidenti su un evento preciso certamente le piene del reticolo fluviale padano del 1085 assumono un vero carattere catastrofico. Non si ha notizia della stagione in cui avvenne ma nel mantovano, a Bologna, nel parmense e probabilmente lungo tutto il territorio attraversato dal Po e dai suoi affluenti appenninici ed alpini, furono immensi i danni, le abitazioni e le borgate distrutte con “innumerevoli morti” e animali e raccolti persi. A quest’anno molti attribuiscono la “fame negra” mettendo in dubbio l’attribuzione di questo evento al 1082. Così narra Maffei: “Quasi tutta l’Italia, in cui massimamente infuriavano gli scomunicati, da così gran fame fu oppressa, che gli huomini non solamente mangiarono le cose immonde, ma etiandio la carne humana. Alla fame successe inaudita mortalità, con tanto furore, che rimase a pena la terza parte de gli huomini, anzi mancando quelli, che coltivassero grandissima parte delle terre, fu ridotta in solitudine.”
Grandi piene e la feroce carestia anche nel 1086 e nel 1087 anche dell’Adige che inondò “quasi tutta Verona e distrusse i suoi ponti “(Tovazzi). Ciò nonostante la prolungata siccità proseguì in questi anni con gravi danni ai raccolti. Anni duri. 
Nel 1091 viene ricordata una grande inondazione dell’Adige che interessò gravemente ancora Verona. Ancora una piena nel 1092 e poi nel 1097 dell’Adige che entrò in Verona. Viene il dubbio che alcune di queste notizie si riferiscano a un solo evento. Se prendiamo per vere le incredibili ripetizioni delle piene dell’Adige in questo breve periodo di pochi anni dobbiamo veramente immaginare un territorio devastato un anno dopo l’altro. Purtroppo, a seguito di recentissimi eventi nel nostro Paese, sono situazioni che appaiono verosimili. In definitiva un periodo molto freddo, forse segnali della fine dell’optimum climatico medioevale, flagellato dalle carestie da grandi inondazioni ma all’interno di un lungo periodo siccitoso. Un mix micidiale che portò ad una crisi demografica.

Furio Dutto

Bio:
Geologo alpino, Furio Dutto ha lavorato al Consiglio Nazionale delle Ricerche presso l’Istituto per la protezione idrogeologica del bacino del Po occupandosi di eventi estremi (frane, alluvioni, piene torrentizie, rischi glaciali) e di cambiamenti climatici. Dopo un breve impegno al Dipartimento dei Servizi Tecnici presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha seguito presso l’Autorità di Bacino del fiume Po i lavori del Piano Fasce (PFF) e del Piano per l’assetto idrogeologico (PAI). Successivamente ha diretto la Protezione Civile in Provincia di Torino. Raggiunti i limiti di età per la cessazione dell’attività lavorativa, attualmente è collaboratore associato senior del CNR IRPI di Perugia. Nella sua attività ha partecipato a numerosi progetti europei legati ai rischi ed al miglioramento della resilienza delle comunità. Per ulteriori informazioni o domande inviare una mail a: furio.dutto@gmail.com





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