Sull’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati le regioni vanno in ordine sparso

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Accertamento dell’età, tutela volontaria e accoglienza: minori stranieri non accompagnati, a che punto siamo? La risposta a questa domanda arriva dalla mappatura sullo stato di attuazione delle procedure su questi tre temi, presentata da Save the Children e Unhcr. Una raccolta di dati di tipo qualitativo che, attraverso l’ascolto dei minori non accompagnati, l’analisi di documentazione rilevante e la consultazione di diversi attori chiave – istituzioni, Terzo settore e organizzazioni internazionali – mette in luce le sfide, le opportunità e alcune buone prassi esistenti.

L’obiettivo è quello di contribuire al rafforzamento del sistema di protezione e di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, in linea con i principi fondamentali della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e con le raccomandazioni rivolte all’Italia dal Comitato Onu nel 2019 relative alla creazione di un sistema di accoglienza adeguato.

Principali riferimenti normativi

Nel nostro Paese sono tre le principali norme che regolano il sistema di accoglienza per i minori stranieri non accompagnati. Il D.Lgs. 142/2015, che attua le direttive europee in materia e contiene vari articoli che disciplinano l’iter di identificazione, accoglienza e inclusione dei minori stranieri non accompagnati. La Legge 47/2017, che pur non potendosi tecnicamente definire una legge quadro, riveste un ruolo cruciale per la tutela e l’accoglienza dei Msna in Italia. E, infine, il più recente e contestato Decreto immigrazione e sicurezza (D.L. 133/2023) che ha introdotto modifiche che hanno portato cambiamenti all’interno del sistema di accoglienza. La norma prevede, per esempio, che dopo la prima accoglienza in strutture governative i minori stranieri non accompagnati siano inseriti nel Sai. Inoltre, in caso di arrivi consistenti e ravvicinati, se l’accoglienza non può essere assicurata dal Comune, il prefetto può attivare “strutture temporanee” dedicate esclusivamente ai minori stranieri non accompagnati, ma se queste strutture non fossero disponibili il minorenne, se di età uguale o superiore ai 16 anni, può essere inserito provvisoriamente anche in sezioni dedicate di centri per adulti.

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Su questo ultimo punto, in particolare, Save the Children e Unhcr fanno notare che «se da un lato il decreto cerca di fornire una risposta temporanea alla mancanza di strutture dedicate, dall’altro solleva preoccupazioni legate alla conformità con gli standard di protezione dei minori sanciti dagli standard internazionali e dalla Costituzione italiana», in quanto la decisione di prevedere il collocamento dei minori stranieri non accompagnati ultra sedicenni in centri per adulti può esporli a rischi di violenze e abusi, in aperto contrasto con le norme italiane, europee e con gli standard internazionali.

Un altro aspetto da prendere in considerazione sono le differenze territoriali nell’applicazione del D.L. 133/2023, così come della Legge 47/2017, con una differenza significativa tra le regioni di frontiera e le altre regioni italiane. Infatti i dati raccolti da Save the Children e Unhcr fanno emergere come Friuli Venezia Giulia e Sicilia, pur essendo al centro dei flussi migratori provenienti rispettivamente dalla rotta balcanica e a quella del Mediterraneo, non registrano trasferimenti di minori ultra-sedicenni in centri per adulti. Si può ipotizzare che nelle due regioni la presenza relativamente stabile di posti in strutture per minori ha scongiurata trasferimenti in centri per adulti.

Inoltre l’autonomia regionale che caratterizza l’accoglienza del Friuli Venezia Giulia nei fatti finanzia direttamente, attraverso le casse regionali piuttosto che i fondi statali, il sistema di accoglienza utilizzando le comunità comunali per minori. «Questo può comportare vantaggi in termini di continuità finanziaria e del servizio», si legge nella mappatura, «ma anche criticità legate alla mancata integrazione con il sistema nazionale rispetto, ad esempio, a centri per minori stranieri non accompagnati finanziati direttamente dal Sai, che ad oggi non sono presenti a livello regionale».

Le procedure di identificazione e di accertamento dell’età

Emerge, anche, una certa disomogeneità nelle pratiche di accertamento dell’età in alcune regioni italiane, compreso il ricorso a tecniche come radiografie e rilievi antropometrici, che pongono rischi di errori, violazioni della dignità e mancato rispetto dei diritti dei minorenni. Il Friuli Venezia Giulia ha adottato, per esempio, un approccio multidisciplinare, coinvolgendo diverse figure professionali come medici, psicologi e assistenti sociali per garantire una valutazione accurata e rispettosa dei diritti della persona minore. Di contro a Palermo, in Sicilia, spiega Chiara Monti, etno-psicologa del centro Pench di Palermo che faceva parte di un’équipe multidisciplinare, «l’accertamento dell’età è effettuato solo in caso di dubbio fondato, una prassi che, sebbene limitata, è coerente con un approccio all’identificazione basato sulla presunzione della minore età qualora questa sia dichiarata».

A dimostrazione arrivano i dati dell’azienda sanitaria di Agrigento. Salvatore Castellano, direttore del Servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro, spiega che: «fascicolo alla mano, nel 2023 sono state richieste dalla Procura del Tribunale di Palermo, 11 richieste di accertamento dell’età all’equipe multidisciplinare dell’Asp di Agrigento. Cinque minori sono fuggiti e quindi ne sono stati valutati 6. Nel 2024, da gennaio a settembre, sono stati richiesti 9 procedimenti dalla Procura e sono stati tutti fatti».

In Piemonte, poi, il tema dell’accertamento dell’età dei minori stranieri non accompagnati mette in luce notevoli criticità perché spesso non sono applicate le normative nazionali e i protocolli stabiliti per garantire un trattamento uniforme e rispettoso dei diritti dei minori su tutto il territorio italiano. Dai dati raccolti da Save the Children e Unhcr emerge come attualmente, in Piemonte e, anche, in val d’Aosta «si continua ad applicare un protocollo locale che si fonda principalmente su esami radiologici, in contrasto con le indicazioni nazionali che privilegiano approcci meno invasivi e più articolati, integrando valutazioni sociali, psicologiche e mediche».

Tra i minori intervistati colpisce l’esperienza di Benoit che racconta: «Quando ho detto la data di nascita a Torino hanno detto che non era vero e mi hanno portato in ospedale … ho fatto due visite mediche perché hanno perso il primo risultato del test». Gli fa eco Mamadou, che ricorda: «La data di nascita era sbagliata e ho dovuto aspettare il certificato di nascita». Dal canto suo Nigel ricorda: «Non sapevo perché ero in ospedale e a cosa serviva, mi hanno fatto spogliare e non mi è piaciuto perché io sono musulmano, non va bene spogliarsi».

A Milano, le procedure per l’accertamento dell’età dei minori stranieri non accompagnati sono disciplinate da un protocollo locale, sottoscritto nel 2017 e rinnovato nel 2020. La procedura prevede che in caso di dubbi persistenti sulla minore età e a seguito dell’autorizzazione da parte del Procuratore della Repubblica presso ilm Tribunale per i minorenni di Milano, l’accertamento dell’età avvenga attraverso l’équipe del laboratorio Labanof formata da antropologi e da medici che per prima cosa si assicurano che il minorenne comprenda il motivo dell’accertamento, spiegando dettagliatamente ogni fase del processo. La visita medica completa include anche una valutazione auxologica e antropologica.

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Racconta Ndasuunye: «Sono andato all’ospedale, mi hanno controllato i denti, la pancia, hanno controllato le mie dita e mi hanno fatto altri esami. In questo momento sono in un Cas, in cui ci sono adulti… Hanno sbagliato a Lampedusa, ho parlato con il coordinatore della struttura e ha deciso di farmi fare la procedura. In ospedale non ho avuto la mediazione. Ho fatto il colloquio, ma non avevo la mediazione». E ancora ricorda Sekou: «Mi hanno fatto l’esame due volte. Ho fatto un esame in un grande ospedale a Milano […] Sì, ho parlato della mia storia. Al secondo esame mi hanno chiesto tante cose. Mi hanno fatto l’esame ai denti, i raggi al polso […] Sì, fastidio. Mi hanno mandato all’ospedale ma io non ero malato. Mi avevano detto che dovevo fare l’esame per l’età. Gli altri hanno detto la loro età ed è andata bene, ma per me no».

La tutela volontaria

Sul fronte dei tutori volontari le cose non vanno meglio. Quella del tutore volontario è una figura adulta di riferimento per un minorenne privo di genitori o altre presenze adulte responsabili, dotato della responsabilità di accompagnarlo nelle scelte di vita, di decifrarne i bisogni e garantirne accesso ed esercizio dei diritti fondamentali. Grazie al tutore volontario, il sistema di protezione dei minori stranieri non accompagnati può contare su una forma di tutela legale che è essenziale per la loro sicurezza e integrazione.

Ma la mappatura fotografa sia in Friuli Venezia Giulia sia in Sicilia una carenza rispetto al bisogno effettivo. Questa situazione causa un sovraccarico dei tutori presenti, che va «a scapito di un adeguato supporto ai minori, e una generale disomogeneità territoriale nell’accesso alla tutela». È così che nelle aree più lontane dai capoluoghi delle due regioni c’è una inferiore presenza dei tutori volontari rispetto ai centri urbani. A scoraggiano i tutori volontari sono spesso le barriere burocratiche, come la difficoltà nell’accesso ai rimborsi spese, i permessi lavorativi e il sovraccarico di lavoro».

Eppure come spiega Valentina Masotto, delegata Unicef per il Friuli Venezia Giulia, «perché il superiore interesse dei minori sia garantito, e in virtù del principio di non discriminazione, tutti i minori non accompagnati dovrebbero essere affiancati da un tutore volontario». Konstantina Mavroidakos, dell’associazione tutori volontari Friuli Venezia Giulia, ricorda che in realtà «due terzi dei minori non hanno il tutore volontario, perché non ci sono abbastanza tutori».

Anche il Garante regionale della Sicilia ha sottolineato la mancanza di tutori volontari, con difficoltà particolari nella provincia di Agrigento e di Catania, dove a causa dell’alto flusso di transito la carenza di tutori volontari è ancora più evidente. Anche in provincia di Messina la proporzione tra tutori e minori stranieri non accompagnati è estremamente sbilanciata, con un tutore volontario che può arrivare a gestire più di dieci minori contemporaneamente.

«I tutori vengono nominati e noi diamo la disponibilità ad accettare molte nomine, ovviamente solo a scopo di volontariato. E proprio per cercare di dare una mano, perché ci rendiamo conto che la situazione in certi momenti è critica», spiega Adelaide Merendino, presidente dell’associazione Tutori Volontari Messina.

In conclusione, la fotografia che la mappatura ci restituisce mostra come sia essenziale migliorare repentinamente il coordinamento tra le varie istituzioni coinvolte e garantire che tutti i minori, indipendentemente dalla loro differente presenza nelle aree geografiche di Italia, e dalla loro età, possano beneficiare di un sistema di protezione efficace, che rispetti la loro dignità e i loro diritti.

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Tutte le immagini presenti nell’articolo sono state messe a disposizione da Save the Children (crediti Gianfranco Ferraro)

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