Il 2025 sarà ancora l’anno dell’Intelligenza artificiale sul lavoro? «Sì, purché generi coinvolgimento, benessere, inclusione»

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Fine anno, tempo di bilanci. Con Donatella Taurasi, esperta di AI e finanza, esploriamo le opportunità portate dall’intelligenza artificiale, sempre più presente in azienda. Ma oggi l’entusiasmo iniziale lascia il passo alla consapevolezza. «L’implementazione dell’AI nel benessere aziendale richiede una chiara definizione dei confini tra supporto tecnologico e processo decisionale umano»

Nel mondo del lavoro sempre più digitalizzato, l’Intelligenza artificiale offre soluzioni avanzate per monitorare e migliorare il benessere dei dipendenti. Dai chatbot di supporto emotivo a sistemi predittivi per il burnout, l’AI sta dimostrando di essere una risorsa chiave per promuovere un ambiente lavorativo più sano e dinamico. Ma come garantire che questi strumenti siano utilizzati in modo etico, rispettando la privacy e le esigenze individuali? Ne parliamo con Donatella Taurasi, esperta di AI e finanza e docente alla Haas School of Business della Berkeley University (California), che ci svela  il futuro dell’AI nel wellbeing aziendale e come le aziende possano utilizzarla per rispondere alle sfide contemporanee.

L’intelligenza artificiale ha trasformato molti aspetti del lavoro, ma in che modo può diventare un supporto strategico per migliorare il wellbeing aziendale? 
L’AI rappresenta oggi una delle più potenti leve di trasformazione aziendale, capace di elaborare enormi quantità di dati per migliorare la vita lavorativa delle persone, pur richiedendo un’attenta valutazione dei rischi legati alla privacy. Come supporto strategico per il wellbeing aziendale, l’AI può identificare precocemente segnali di stress e insoddisfazione attraverso l’analisi predittiva, implementando soluzioni concrete come sistemi di monitoraggio del carico di lavoro e chatbot per supporto emotivo. Dashboard integrate che combinano dati su produttività, engagement e stress permettono interventi tempestivi e mirati, creando una visione olistica del benessere aziendale.

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L’AI può quindi giocare un ruolo nella prevenzione del burnout o nella gestione dello stress sul lavoro.  Ci sono esempi concreti di aziende che hanno già implementato soluzioni di successo?
L’Intelligenza Artificiale sta emergendo come strumento chiave contro burnout e stress lavorativo, rivoluzionando gli approcci tradizionali al benessere organizzativo attraverso capacità predittive e interventi precoci. Analizzando dati da diverse fonti (email, calendari, dispositivi indossabili), l’AI può identificare schemi di sovraccarico e suggerire interventi personalizzati. Casi di successo includono Microsoft Workplace Analytics, che ha ridotto del 30% gli indicatori di stress, e il programma “Digital Wellbeing” di Google, che ha migliorato del 25% la percezione del work-life balance. È fondamentale però gestire attentamente questi strumenti per evitare che il monitoraggio stesso diventi fonte di stress.

Le soluzioni basate sull’AI stanno diventando sempre più personalizzate. Come queste tecnologie possono rispondere alle esigenze di benessere individuali dei dipendenti?
L’implementazione dell’AI sta rivoluzionando il wellbeing aziendale, passando da soluzioni standardizzate a interventi personalizzati basati sull’analisi di molteplici segnali comportamentali. Attraverso il monitoraggio di abitudini lavorative, pattern comunicativi e ritmi di attività, l’AI costruisce profili dinamici individuali per offrire suggerimenti contestuali rilevanti. Gli algoritmi identificano opportunità di crescita allineate con competenze e aspirazioni, adattandosi continuamente grazie al feedback ricevuto. L’aspetto più innovativo è la capacità di anticipare necessità e problematiche, mantenendo un equilibrio tra supporto tecnologico e autonomia individuale.

Quali sono secondo lei i rischi da considerare quando si introducono soluzioni AI per il wellbeing aziendale, e come possiamo assicurare che queste tecnologie siano utilizzate in modo etico e trasparente?
Mentre l’AI promette di rivoluzionare il wellbeing aziendale attraverso analisi avanzate e personalizzazione, la sua implementazione richiede un’attenta gestione dei rischi. La privacy emerge come preoccupazione centrale: il monitoraggio del benessere deve evitare di trasformarsi in sorveglianza invasiva, garantendo trasparenza e autodeterminazione nell’uso dei dati. L’equità rappresenta un’altra sfida cruciale, richiedendo un monitoraggio costante per prevenire bias algoritmici. È fondamentale definire precisi confini dell’automazione, mantenendo l’AI come supporto alle decisioni mentre il ruolo centrale resta alle persone, attraverso un robusto framework di governance.

Donatella Taurasi, docente alla Haas School of Business della Berkeley University of California,

In un contesto lavorativo dove si osserva spesso una scarsa partecipazione dei dipendenti, come può contribuire a creare un ambiente data-driven capace di ascoltare realmente i bisogni del personale?
L’implementazione dell’AI nel coinvolgimento dei dipendenti trasforma il tradizionale approccio al feedback in un dialogo continuo e significativo, richiedendo però un’attenta gestione per non compromettere le relazioni professionali. Attraverso sistemi di sentiment analysis, sondaggi dinamici e piattaforme di feedback anonimo, l’AI può migliorare significativamente l’ascolto dei dipendenti, raccogliendo dati più accurati e consentendo interventi tempestivi. La vera innovazione risiede nella capacità di chiudere il “loop del feedback”, mostrando ai dipendenti come i loro input generano azioni concrete attraverso dashboard interattive. Questi strumenti devono rimanere un supporto, non un sostituto delle interazioni umane.

Le diverse generazioni che oggi coesistono nelle aziende hanno aspettative e necessità molto differenti. Come può l’intelligenza artificiale aiutare le organizzazioni a rispondere in modo mirato a queste sfide, migliorando engagement e soddisfazione?
Può diventare un alleato prezioso per gestire la coesistenza di diverse generazioni in azienda, analizzando dati comportamentali per identificare pattern e preferenze specifiche di ogni gruppo generazionale. Questo permette di personalizzare l’esperienza lavorativa: dai programmi di sviluppo digitali per i Millennials, agli strumenti di work-life balance per la Generazione X, fino al supporto nella transizione digitale per i Baby Boomers. Per evitare “silos generazionali”, l’AI può facilitare programmi di cross-mentoring, matchando persone di diverse generazioni basandosi su competenze complementari. L’obiettivo è utilizzare la tecnologia come strumento di connessione intergenerazionale, non di segmentazione, monitorando attentamente eventuali bias basati sull’età.

Molti temono che l’automazione guidata dall’AI possa ridurre il ruolo umano nelle decisioni aziendali. Qual è il confine tra supporto tecnologico e delega delle decisioni strategiche quando si tratta di benessere dei dipendenti?
L’implementazione dell’AI nel benessere aziendale richiede una chiara definizione dei confini tra supporto tecnologico e processo decisionale umano. L’AI si posiziona come strumento di augmented intelligence, analizzando dati per individuare trend e automatizzare task ripetitivi, permettendo ai leader di concentrarsi su decisioni strategiche che richiedono empatia. Le decisioni che impattano direttamente sul benessere dei dipendenti devono rimanere prerogativa umana, con l’AI in funzione di supporto attraverso insights basati sui dati. È fondamentale un framework chiaro che definisca i ruoli, garantendo che ogni decisione significativa sia sottoposta a vaglio umano.

Oltre all’ascolto e alla personalizzazione dei percorsi lavorativi, pensa che l’Intelligenza artificiale possa influire anche sulla cultura aziendale, ad esempio promuovendo modelli di leadership più inclusivi o dinamiche più collaborative?
L’intelligenza artificiale può catalizzare profondi cambiamenti nella cultura aziendale, andando oltre la semplice personalizzazione del lavoro. L’AI è particolarmente efficace nell’identificare bias inconsci nelle decisioni manageriali e monitorare l’efficacia delle iniziative di diversity & inclusion attraverso metriche oggettive. Fornendo feedback in tempo reale ai manager e evidenziando pattern nascosti di esclusione, supporta una leadership più inclusiva. Questi strumenti devono potenziare, non sostituire, le capacità umane di leadership, contribuendo a creare una cultura aziendale più innovativa e collaborativa, sempre centrata sulle persone.

La raccolta di dati dei dipendenti tramite sistemi di intelligenza artificiale solleva questioni etiche e di privacy. Quali sono le migliori pratiche per garantire un equilibrio tra innovazione e rispetto dei diritti dei lavoratori?
La gestione etica dei dati emerge come sfida cruciale nell’implementazione dell’AI per il wellbeing aziendale, richiedendo un equilibrio tra innovazione e tutela dei diritti individuali. La trasparenza è fondamentale: i dipendenti devono essere chiaramente informati su raccolta e utilizzo dei dati attraverso un sistema di consenso dinamico e comprensibile. Il controllo dei dati deve rimanere nelle mani dei dipendenti, con sistemi di “privacy by design” che garantiscano protezione e anonimizzazione. Un framework di governance con audit regolari e canali di feedback assicura che l’innovazione rispetti i diritti dei lavoratori.

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Infine, guardando al futuro, quali sviluppi tecnologici legati all’AI potrebbero rivoluzionare ulteriormente il concetto di wellbeing aziendale?
L’evoluzione dell’AI promette di ridefinire radicalmente il wellbeing aziendale attraverso sviluppi come realtà aumentata e virtuale per spazi di lavoro adattivi, algoritmi di emotional intelligence per supporto emotivo contestuale e wearable devices per un monitoraggio olistico del benessere. Nel lungo termine, emergeranno “ecosistemi di wellbeing” dove l’AI orchestrerà fluidamente tutti gli aspetti del benessere organizzativo. Questa rivoluzione tecnologica dovrà però bilanciarsi con una crescente attenzione agli aspetti etici, dalla privacy dei dati alla prevenzione di bias, mantenendo sempre al centro l’elemento umano. L’obiettivo finale resta la creazione di ambienti di lavoro più sani e inclusivi.





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