EMILIA ROMAGNA ECONOMY – La storia di Andrea Pirillo

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Con Andrea Pirillo scopriamo come un giovane creator italiano è diventato una figura di spicco nel mondo dell’automotive, unendo talento, dedizione e innovazione

Chi è appassionato di motori certamente conosce e segue i profili social di Andrea Pirillo, ma meno probabilmente sa quanta passione e professionalità c’è dietro al suo successo. Lo abbiamo incontrato nel “salotto buono” di Bologna, in Galleria Cavour, dove divide l’ufficio con il padre imprenditore; ripercorriamo assieme a lui i momenti più significativi di questa avventura professionale che lo ha portato a essere nominato da Forbes

uno dei 100 talenti under 30 che stanno cambiando il mondo.

Andrea, partiamo dal riconoscimento ricevuto da Forbes Italia: te lo aspettavi e quali sono le motivazioni?

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«In realtà ho appreso di questo riconoscimento mentre ero a Dubai, e non c’è stato nessun contatto precedente. Credo che abbiano riconosciuto in me il precursore di un trend: l’automotive, soprattutto le moto, è tutt’ora molto più indietro nella comunicazione social rispetto ad altri settori. Ora la professione è più comune, ma io ho iniziato in Italia quando nessuno parlava di motori utilizzando le piattaforme digitali».

Come nasce questa tua passione per i motori?

«Il mio papà è un appassionato di moto, faceva gare. Allora non esistevano i social, quindi la domenica guardavo le gare e durante la settimana leggevo i giornali. La prima minimoto (con le ruotine!) l’ho ricevuta da papà a quattro anni, ma sfortunatamente a sette mi sono rotto una clavicola. Così mamma non ha voluto sentire ragioni e sono stato costretto a venderla. Era appena nato il portale Subito.it e, emulando gli amici, ho fatto quasi tutto da solo, iniziando ad avere dimestichezza con il modo digitale. Devo però dire che il ricavato di questa vendita mi è stato lasciato. Questa è una

peculiarità dell’educazione ricevuta in famiglia: ricevere grande fiducia

fin da bambino, un bene prezioso che ti permettere di crescere con confidenza e che al tempo stesso stimola a essere responsabile. E, per compensare la perdita, ho avuto la promessa che a quattordici anni avrei avuto la moto che volevo. La vendita non ha spento la passione: la casa di famiglia, a Budrio, è in una zona contornata dai campi verdi, e i garage dei vicini sono spesso piccole officine, in cui si può guardare e imparare.

Cosa fa un bambino pazzo per le moto se non ha una moto?

«Venduta la minimoto non so più cosa fare nel tempo libero. Nel fine settimana seguo Valentino Rossi e contemporaneamente scopro YouTube e mi innamoro di questo ragazzo italiano che fa video con la sua moto. Inizio a immaginarmi come lui e dopo qualche anno e creo i primi video. Solo che non avendo una moto li faccio con la bicicletta.

Nel 2011 apro il canale YouTube che uso ancora ora; i video hanno poche visualizzazioni, alcune centinaia, ma in realtà non mi importa, io mi diverto a farli. A quattordici anni ho la prima moto vera, una Honda HM 50 con le marce, e finalmente faccio video senza dover pedalare: immagino di far guidare virtualmente chi la moto non ce l’ha ancora e, senza rendermene conto, arrivo ad avere 7/8mila iscritti.

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Purtroppo, di me si inizia a dire che so solo parlare di moto e questa etichetta non mi piace, per cui decido di non postare nulla: resisto, soffrendo, per alcuni mesi, ma di me si continua a dire che parlo solo di moto. Quindi mi dico: e moto sia, parlo di ciò che più mi piace!».

Quando hai capito che questa passione poteva diventare una professione?

Andrea Pirillo

«A sedici anni, mentre trascorro l’estate a Riccione, vedo con estremo ritardo una mail di Redbull in cui mi invitano a un evento con Antonio Cairoli, uno dei piloti di motocross più vittoriosi di sempre. Allarmato, prima verifico che l’evento esista davvero e poi contatto Redbull, che conferma. Il viaggio in prima classe, l’autista alla stazione, l’hotel e, soprattutto, essere circondato da persone che mi chiedono autografi e si fanno foto con me mi proietta in un mondo sconosciuto, sia a me sia ai miei genitori che mi hanno accompagnato.

Visto il successo, dopo due settimane Redbull mi offre un contratto, che firma mio padre in quanto io sono minorenne.

Nasce così la società che dall’anno seguente, nel 2016, diventa mia non appena compio diciotto anni. Affronto questa avventura con una certa incredulità, domandandomi se il mio sogno si stia realizzando oppure se sono in una bolla destinata a scomparire. Nello stesso periodo inizia la scuola: ci vado con la mia moto tutta personalizzata ma dopo tre giorni me la rubano. La più grande preoccupazione è come fare i contenuti per cui ho firmato un contratto. Posto un video in cui chiedo aiuto alla community per ritrovarla, che diventa virale. La sfortuna si trasforma quasi in una fortuna: faccio circa 2.800 condivisioni con 5mila follower, cresco tantissimo, tutto organico.

La moto viene trovata in Ucraina. I rischi per riportarla in Italia sono alti, si deve andare di persona, quindi decido di non farlo, ma resto senza moto. Non per molto, però: mi contatta Ducati dicendomi che sanno che non ho più la moto e quindi me ne offrono una in comodato d’uso. In realtà non so bene cosa significhi, e mi sembra incredibile che qualcuno voglia darmi una moto solo per postare mentre la guido, comunque accetto!».

C’è un momento in cui inizi a pianificare le tue attività in ottica business?

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«In realtà non subito, anche se alla base di ogni cosa non c’è mai stata improvvisazione. Ho sempre curato ogni contenuto preparandomi con lo stesso impegno messo nella preparazione scolastica, con la differenza che la passione per le moto veste di genuinità ogni mio video, che non è fatto con uno scopo commerciale, e credo che questo sia stato alla base del mio successo.

Contemporaneamente anche il “caso” mi ha condotto nella giusta direzione: a seguito della mia accresciuta visibilità, inizio a ricevere a casa prodotti di ogni genere. Non molto dopo inizio anche e ricevere mail in cui mi si domanda come mai abbia respinto i pacchi ricevuti e scopro che mamma li rimanda tutti indietro stanca di avere la casa trasformata in un ufficio postale. Così inizio a chiedere un piccolo pagamento per ogni prodotto recensito, e faccio leva su questo per convincerla ad accettarli.

Come definisci la tua professione?

«Sono un creator: essere un creatore di contenuti è differente da essere un influencer, ovvero un personaggio noto ma che non ha un suo storytelling. Nello specifico io sono un creator che parla di lusso, in un contesto, quello italiano, in cui non sempre il lusso viene percepito positivamente. La chiave per trovare il giusto angolo di narrazione è alternare ciò che ami, nel mio caso le auto di lusso, con quelle di tutti i giorni che comunque ti piacciono e divertono, l’Abarth per esempio».

Quanto è stato importante il tuo percorso di studi e come hai perfezionato le conoscenze necessarie per questa professione?

EMILIA ROMAGNA ECONOMY - La storia di Andrea Pirillo«Ho frequentato il liceo scientifico e poi ho studiato marketing e management. La scuola è sempre stata il mio “lavoro principale”. Al secondo posto della mia personale classifica degli impegni c’è la produzione di video e al terzo la partecipazione agli eventi. Quindi, necessariamente, ho rinunciato a molti degli inviti ricevuti per mancanza di tempo, selezionando solamente quelli imperdibili, e questo ha giovato al mio posizionamento in maniera quasi inconsapevole.

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Molte delle abilità richieste per la mia professione le ho apprese sul campo: per l’aspetto pratico sono stati molto formativi i corsi di guida a cui ho partecipato invitato dalle case produttrici, mentre per l’aspetto comunicativo ho seguito molti professionisti, principalmente americani, perché all’inizio non avevo idea di come raccontare una vettura in modo coinvolgente. Sono molto competitivo, e questo atteggiamento, se vissuto in senso positivo, è di grande aiuto, perché mi stimola a migliorare se incontro chi fa meglio di me.

Con l’arrivo di TikTok il panorama è molto cambiato, la soglia di attenzione si è enormemente ridotta e YouTube è una piattaforma molto “cattiva”, che premia una durata media di visualizzazione molto alta. Per vincere la sfida occorre uno stile di narrazione molto ricercato, ed è quindi indispensabile unire alle doti personali l’attenta analisi di ogni contenuto pubblicato: mi affido a un esperto che fa analytics e poi esamino le metriche per orientare e dare i giusti tempi alla mia comunicazione».

Sarai sempre uno YouTuber o Andrea Pirillo farà altro “da grande”?

«YouTube resterà per sempre sia per le connessioni a cui mi dà accesso sia perché è quello che mi piace fare. Il mondo delle auto mi ha dato accesso a una platea di interlocutori di altissimo livello ed essere al loro stesso tavolo mi ha permesso, mentre rispondevo alle loro curiosità sul mio mondo, di avere risposte alle mie domande.

Mi sono domandato che cosa permetta di essere seduto a tavoli di questo genere: il mondo immobiliare, la finanza, il private equity, le start up? Ho deciso di studiare approfonditamente tutti questi settori, perché “da grande” non voglio fare solo video ma stare in questi tavoli come imprenditore. Studiando ho perso un po’ di mercato ma la motivazione giustifica il compromesso.

Nonostante le conoscenze acquisite, mi sono rivolto a un family office, un professionista del settore con competenze molto superiori a quelle di qualunque privato. Ho investito in due start up: una è un servizio di NCC avanzato; l’altra è una mia start up molto articolata che si rivolge al mondo del lusso, in particolare a quello dell’automotive, che è quello che conosco meglio.

È un modello di business che esiste già all’estero ma che in Italia ancora non è stato raccolto. Oggi avere una super sportiva costa tra i 20 e 30K di costi fissi annuali, e inoltre la richiesta di super sportive è molto superiore all’offerta del mercato. Se aggiungiamo a questo il fatto che per le ragioni più svariate non tutti vogliono intestarsi una super sportiva, la soluzione proposta dalla start up è vincente: è una sorta di comproprietà che dà accesso a un numero prestabilito di giornate in cui usare la vettura e alla partecipazione a eventi a cui portare anche un companion.

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Infine, mi è molto chiara l’importanza delle connessioni: credo che le pubbliche relazioni siano la chiave di svolta per il mio mondo futuro e in questa ottica ho deciso di investire in un famoso player del mondo Apres Ski, SUPER G, che ha locali a Courmayer, Cervinia, Madonna di Campiglio e altri di prossima apertura».

Senti la responsabilità di essere un personaggio pubblico?

«Purtroppo, oggi sei cool se fai qualcosa di illegale, se vuoi crescere devi osare. Ma io non posso e soprattutto non voglio seguire questo trend che non fa parte della mia scuola di vita. Grazie alle possibilità che mi sono creato posso partecipare a eventi che mi permettono di operare in contesti sicuri. L’ho capito bene la prima volta in pista con la moto: la pista e solo la pista ti permette di essere in sicurezza. E neppure questo è sufficiente: presto continua attenzione a come comunico perché la cosa che faccio può essere corretta, ma se la comunico nel modo sbagliato faccio del male a me e a chi mi segue».

Quali sono i lati belli dell’essere Andrea Pirillo?

«Non cambierei nulla del mio percorso: di fatto non lavoro, perché se la tua passione è il tuo lavoro non senti la fatica, anche se con il passare del tempo l’attenzione che devo necessariamente dedicare alla realizzazione dei contenuti rende meno intensa l’emozione di essere alla guida, perché non posso dedicarmi solo a quello. Auguro ad ogni persona di fare della propria passione il proprio lavoro, cercare il fuoco che arde dentro e seguirlo all’infinito».

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