Nuova crisi nell’azienda di Pontecchio Marconi considerata «un malato cronico» che oggi conta 278 addetti: produce condensatori e componenti elettronici per l’automotive. Ha come cliente principale la Marelli
C’è di nuovo aria di crisi alla Kemet di Pontecchio Marconi, dove la direzione aziendale ha appena annunciato quattro settimane di cassa integrazione ordinaria. Si comincia il 7 gennaio, subito dopo la pausa natalizia, e poi si vedrà. Un tempo la Kemet si chiamava Arcotronics ed era uno dei fiori all’occhiello dell’Appennino bolognese. Leader nella produzione di condensatori e di altri componenti elettronici per il mercato dell’auto, negli anni d’oro arrivò a contare ben 1200 dipendenti, molti dei quali residenti sul territorio montano.
La lunga crisi della Kemet di Pontecchio Marconi
A causa delle difficoltà aziendali e delle relative riorganizzazioni che si sono susseguite negli ultimi quindici anni, il personale è sceso a quota 278 addetti. Acquisita dall’omonima multinazionale statunitense nell’ottobre del 2007, la Kemet ha come cliente principale la Marelli che, complice l’imponderabile crisi del gruppo Stellantis e del settore automotive a livello mondiale, ha calato prima progressivamente poi drasticamente gli ordini.
«La Kemet è purtroppo un malato cronico — denuncia il funzionario Fiom-Cgil, Antonio Felice —e l’ennesima crisi che la investe era purtroppo nell’aria e largamente attesa. Le criticità che l’azienda vive da anni confermano, però, che la crisi del comparto non dipende affatto dalla transizione ecologica in atto, ma da un’evidente assenza di investimenti, politiche industriali private e pubbliche e piani industriali all’altezza dei cambiamenti del mercato».
Motivo per cui il mese di gennaio non basterà a tamponare criticità che sono oramai divenute strutturali e che hanno come effetto, per usare il tecnicismo utilizzato dalla proprietà e dai rappresentanti di Confindustria Area Centro all’ultimo incontro con le rappresentanze sindacali, una «insaturazione» pari a 120 dipendenti.
«Non solo la crisi dell’automotive, un malato cronico»
Tradotto: stanti gli attuali numeri, il 43% del personale sarebbe in esubero; un esubero per la maggior parte concentrato nei reparti produttivi. «Quello che i dipendenti Kemet stanno vivendo è un film che abbiamo già visto», aggiunge l’operatore Fim-Cisl Ugo Bassi, che poi informa: «Apprese le intenzioni aziendali, insieme alle rsu abbiamo convocato immediatamente le assemblee per informare i lavoratori e condividere con loro le prossime azioni da intraprendere, prima fra tutte la richiesta alla Regione Emilia-Romagna di riaprire un tavolo istituzionale finalizzato alla tutela dell’occupazione e, in prospettiva, di un sito produttivo storico».
Terminato il periodo di quattro settimane di cassa integrazione, sarà infatti necessario il ricorso ad un ammortizzatore sociale diverso da quello ordinario, di cui peraltro — ricordano i due sindacalisti — l’azienda si avvale a periodi alterni già dall’epoca post Covid.
I sindacati. «Ridurre i danni per i lavoratori»
Per ridurre al massimo i danni ai lavoratori ed evitare che si dichiari anche un solo licenziamento — suggeriscono Felice e Bassi in attesa di una convocazione da parte dell’assessore regionale allo Sviluppo economico Vincenzo Colla — l’ipotesi più percorribile potrebbe essere la firma di un accordo per il ricorso a contratti di solidarietà da spalmare sull’intero organico. Dunque, anche sugli impiegati e non solo sugli operai occupati nelle linee produttive.
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