La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha confermato la compatibilità di una normativa nazionale, che vieta la partecipazione di investitori puramente finanziari nelle società di avvocati, con il diritto europeo. La sentenza chiarisce i margini entro i quali gli Stati membri possono limitare le libertà fondamentali del mercato interno per tutelare valori fondamentali come l’indipendenza della professione legale e la fiducia nell’amministrazione della giustizia.
Sentenza CGUE 19 dicembre C‑295-23
Il caso in esame: normativa tedesca e vincoli alle società di avvocati
La controversia ha avuto origine in Germania, dove la normativa in vigore (successivamente modificata) prevedeva che solo avvocati o membri di specifiche professioni regolamentate potessero detenere partecipazioni in società legali. Inoltre, imponeva che i soci esercitassero attivamente la propria professione all’interno della società e che la maggioranza delle quote e dei diritti di voto fosse detenuta da avvocati. Il caso concreto riguardava una società di avvocati che aveva trasferito il controllo della maggioranza delle proprie quote a un investitore straniero, una società di capitali che non intendeva esercitare alcuna attività professionale all’interno della società. L’Ordine degli avvocati competente, applicando la normativa nazionale, aveva quindi cancellato la società dall’albo forense. Tale decisione è stata contestata sul presupposto che la normativa tedesca violasse il diritto europeo, in particolare la libertà di stabilimento (art. 49 TFUE), la libera circolazione dei capitali (art. 63 TFUE) e le disposizioni della direttiva 2006/123/CE sui servizi nel mercato interno.
Le questioni pregiudiziali sottoposte alla CGUE
Il giudice nazionale ha chiesto alla Corte di Giustizia se la normativa tedesca, nella parte in cui vieta la partecipazione di investitori puramente finanziari nelle società di avvocati, sia compatibile con le libertà fondamentali sancite dal diritto dell’Unione. La questione centrale riguarda l’equilibrio tra le esigenze del mercato interno e la possibilità per gli Stati membri di adottare restrizioni giustificate da motivi imperativi di interesse generale, quali la salvaguardia dell’indipendenza degli avvocati e la tutela della sana amministrazione della giustizia.
La decisione della CGUE
La CGUE ha ritenuto che la normativa in questione sia conforme al diritto dell’Unione, poiché le restrizioni da essa imposte risultano giustificate da obiettivi di interesse generale, proporzionate agli stessi e idonee a garantire la loro realizzazione. I giudici hanno sottolineato che l’indipendenza della professione legale è un valore fondamentale, strettamente connesso alla funzione dell’avvocato quale garante del corretto esercizio della giustizia. L’obbligo di lealtà nei confronti del cliente, la protezione del segreto professionale e l’assenza di conflitti di interesse sono requisiti essenziali per assicurare una consulenza legale imparziale e competente. Dunque, anche in presenza di statuti societari che prevedano limiti ai diritti di voto o divieti di interferenze sulle decisioni operative, rimane il rischio di pressioni indirette da parte di tali investitori.
La proporzionalità delle misure
La CGUE ha confermato che il divieto di partecipazione per investitori non professionisti è una misura proporzionata. La normativa tedesca, pur limitando l’accesso al mercato delle società di avvocati, non eccede quanto necessario per garantire l’indipendenza degli avvocati. Il rischio di influenze indebite è considerato strutturalmente insito nella partecipazione di soggetti il cui unico interesse è di natura economica, e non può essere completamente eliminato attraverso regolamenti interni. La CGUE ha inoltre riconosciuto che, in assenza di una armonizzazione a livello europeo delle norme deontologiche applicabili alla professione forense, gli Stati membri godono di un ampio margine di discrezionalità nel disciplinare l’organizzazione delle professioni legali.
Interazione con le libertà fondamentali del mercato interno
La decisione analizza anche il rapporto tra le restrizioni previste dalla normativa nazionale e le libertà fondamentali garantite dal TFUE. La Corte ha chiarito che le disposizioni nazionali che limitano l’accesso al capitale in una società di avvocati costituiscono una restrizione alla libera circolazione dei capitali. Tuttavia, una tale restrizione può essere giustificata da motivi imperativi di interesse generale, purché rispetti i criteri di non discriminazione, necessità e proporzionalità. Nel caso specifico, la normativa tedesca è risultata conforme a tali requisiti, essendo destinata a proteggere l’indipendenza della professione e non introducendo discriminazioni basate sulla cittadinanza o sull’origine geografica dei capitali.
Conclusioni
La sentenza rafforza la posizione degli Stati membri nel disciplinare l’organizzazione delle professioni regolamentate, riaffermando al contempo i principi del mercato interno. La tutela dell’indipendenza degli avvocati rimane una priorità, anche a costo di limitare l’ingresso di capitali esterni, confermando l’importanza di preservare i valori fondamentali che garantiscono l’equilibrio del sistema giuridico europeo.
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