Cgil e Ires ER: “Anche in Emilia

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“L’emergenza dei salari e delle pensioni ci è entrata in casa anche in Emilia-Romagna”. Non ha dubbi il segretario regionale della Cgil, Massimo Bussandri, che questa mattina con il presidente di Ires, Giuliano Guidetti e il professor Valerio Vanelli, docente di Statistica all’Università di Bologna, ha illustrato i risultati dell’analisi dell’Osservatorio Ires Emilia-Romagna su benessere, redditi, spesa, diseguaglianze e retribuzioni dei lavoratori dipendenti dei settori privati non agricoli.

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 La fotografia che emerge dallo studio non è del tutto rassicurante non solo a livello regionale ma anche per Bologna. Il capoluogo felsineo è il cuore pulsante dell’Emilia-Romagna, emerge nel rapporto come una città che affronta sfide complesse.

Povertà e disuguaglianze: la sfida della sostenibilità sociale

A Bologna, la povertà relativa interessa il 6,8% delle famiglie, un dato in peggioramento rispetto agli anni precedenti e superiore alla media del Nord-Est (5,8%). Nonostante ciò, la città rimane nettamente sotto la media nazionale (10-11%), dimostrando una resilienza importante grazie a politiche locali e risorse economiche regionali. 

Per Bologna stime di crescita dell’1,6% nel 2024

Un dato incoraggiante riguarda la grave deprivazione materiale e sociale: solo lo 0,9% dei residenti bolognesi si trova in questa condizione, il valore più basso in Italia e tra i migliori in Europa. Questo risultato riflette un’efficace rete di supporto e un’economia dinamica.

Il peso crescente della condizione abitativa

Uno dei nodi principali per Bologna è il tema abitativo, soprattutto in relazione alla forte domanda legata alla presenza di studenti universitari fuori sede. L’accesso alla casa, sia in termini di affitto che di acquisto, rappresenta una pressione crescente. Nel 2022, l’aumento del costo della vita e degli affitti ha accentuato le difficoltà per le famiglie a basso reddito, rendendo prioritario l’intervento in alloggi sociali.

A pesare, soprattutto i costi legati alla casa: per il 5% delle famiglie questa voce di spesa incide per il 40% del reddito netto, contro 6,6% a livello nazionale. Le criticità e le disparità anche a livello territoriale non si fermano qui.

Bologna: il cuore pulsante della domanda abitativa

A Bologna, la richiesta di abitazioni è particolarmente elevata, soprattutto a causa della presenza di oltre 80.000 studenti universitari fuori sede, che costituiscono un segmento significativo del mercato degli affitti. Questa dinamica contribuisce a un aumento degli affitti e a una crescente competizione per le case, penalizzando non solo gli studenti ma anche le famiglie a basso e medio reddito.

Secondo i dati del rapporto, nel 2022 i costi abitativi rappresentavano il 16,1% della spesa media mensile delle famiglie bolognesi, una quota in aumento rispetto agli anni precedenti. Si tratta di una cifra superiore alla media regionale, che si attesta al 14,7%, e vicina ai livelli delle aree urbane più costose d’Italia, come Milano e Firenze.

Il confronto con le altre province

Se Bologna rappresenta l’epicentro della crisi abitativa regionale, altre province dell’Emilia-Romagna mostrano dinamiche diverse.  

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Modena e Parma registrano una domanda abitativa crescente, soprattutto grazie alla presenza di distretti industriali e universitari, ma i costi abitativi rimangono mediamente inferiori rispetto a Bologna.

Ferrara e Piacenza presentano costi abitativi più contenuti, ma una domanda meno pressante. Queste province beneficiano di un tasso di proprietà immobiliare più elevato, che riduce la competizione per gli affitti.

Rimini pur essendo una città costosa, il mercato abitativo è fortemente influenzato dal settore turistico, con picchi stagionali che incidono maggiormente su determinate fasce di popolazione.

Reggio Emilia e Forlì-Cesena mostrano una buona capacità di bilanciare domanda e offerta grazie a politiche locali più incisive e un mercato abitativo meno saturo rispetto a Bologna.

Redditi e inflazione: una regione in evoluzione

Nonostante l’inflazione in Emilia-Romagna abbia registrato un rallentamento nel 2023 (5,2% rispetto all’8,4% del 2022), il potere d’acquisto delle famiglie rimane sotto pressione. A Bologna, il livello di spesa media per consumi è tra i più alti d’Italia, ma il costo della vita segue lo stesso trend, soprattutto per abitazione e trasporti.

Dilagano anche varie forme di precarietà: solo il 50,1% dei lavoratori è impiegato a tempo indeterminato con 52 settimane di contribuzione, mentre il 26,1% ha lavori a tempo determinato o stagionali e il 28,3% ha un part time.

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Le donne su base annua guadagnano in media il 68,4% di quanto percepito dagli uomini. I lavoratori di origine straniera nel 43,1% dei casi non raggiungono i 15.000 euro annui di retribuzione. 

La situazione va meglio nelle province più “forti” come Parma, Modena, Bologna e Reggio Emilia ma non è così in quelle  più deboli come Ferrara e, soprattutto, Rimini, dove uno dei settori trainanti è il turismo e il lavoro è soprattutto precario e part-time. I settori meno retribuiti, com’è emerso dallo studio, sono proprio quelli legati all’ospitalità e alla ristorazione, dove la paga giornaliera si aggira attorno ai 78 euro e quella annuale attorno ai 10.350.

Bussandri: “Attenzione al dilagare del lavoro precario”

Per Bussandri i dati mostrano come “l’Emilia-Romagna del lavoro stabile e continuativo si stia contraendo per fare sempre più posto a tipologie di lavoro povero e precario”. E il timore è  che “la crisi della manifattura che da noi copre una vasta gamma delle produzioni industriali  ma anche larga parte dei settori manifatturieri artigiani” aggravi ulteriormente la situazione rischiando di “far uscire dalla porta ancor più posti di lavoro stabili e strutturati per fare ulteriore spazio alla povertà lavorativa”.

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