Azionario Italia, outlook per il 1° trimestre 2025

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Il FTSEMib si avvia a chiudere il 2024 con una performance positiva, nonostante la correzione subita nelle ultime sedute.

Cosa aspettarsi, quindi, nella prima parte del 2025? Secondo Massimo Trabattoni – Head of Italian Equity di Kairos Partners SGR – nel 1° trimestre del 2025, l’attenzione sarà nuovamente rivolta alla velocità con cui le banche centrali ridurranno i tassi di interesse, in risposta alla tenuta dell’economia e all’andamento del mercato del lavoro.

Nell’analisi seguente l’esperto fornisce alcune indicazioni di investimento sul mercato azionario italiano.

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Nel primo trimestre del 2025, l’attenzione sarà nuovamente rivolta alla velocità con cui le banche centrali ridurranno i tassi di interesse, in risposta alla tenuta dell’economia e all’andamento del mercato del lavoro.

 

Nel settore finanziario, l’inizio di un ciclo di politica monetaria espansiva dovrebbe accelerare i possibili scenari di consolidamento. Negli ultimi trimestri i profitti record derivanti dall’espansione del margine d’interesse sono stati infatti in parte utilizzati dalle banche per migliorare la remunerazione degli azionisti, soprattutto attraverso il riacquisto di azioni proprie (buyback).

Finché la capitalizzazione di mercato dei titoli bancari era inferiore al rispettivo valore contabile (book value), l’uso più sensato della liquidità generata dalle attività operative delle banche era l’acquisto dei propri titoli, per riallineare il valore di mercato al valore contabile.

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Ora che questo obiettivo è stato raggiunto (con il rapporto price/book value del- le banche italiane mediamente tra 0,8 e 0,9), per gli operatori bancari ha più senso utilizzare la liquidità per acquistare azioni di altri istituti, poiché la migliore valorizzazione dei propri stock facilita operazioni di fusione e acquisizione finanziate anche solo in parte con azioni.

 

Inoltre, il contesto di tassi in calo previsto è molto positivo per i gestori di patrimoni: le fasi di politica monetaria espansiva tendono a essere correlate a un andamento positivo dei mercati obbligazionari e azionari, rendendo più facile la raccolta di fondi dalla clientela e l’investimento in prodotti di risparmio gestito.

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Durante i cicli di aumento dei tassi, invece, si osserva tipicamente un trend di deflussi verso l’investimento in singoli titoli obbligazionari.

 

Le utility e le telecomunicazioni dovrebbero beneficiare di tassi in calo: le prime sono attività a lungo termine con flussi di cassa altamente prevedibili, derivanti principalmente da attività regolamentate, il cui valore attuale trae vantaggio da un tasso di sconto più basso.

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Il settore delle telecomunicazioni europeo, invece, arriva da anni di feroce competizione sui prezzi, che ha messo in difficoltà la sostenibilità di un mercato così frammentato e con barriere all’ingresso molto basse, rendendo evidente la necessità di un massiccio consolidamento tra i suoi attori. Questo è più probabile in un ciclo di politica monetaria espansiva e con un maggiore supporto da parte delle autorità regolatorie europee, che sembrano ora più propense a favorire operazioni di aggregazione.

 

Per quanto riguarda i consumi discrezionali, ci aspettiamo che la propensione all’acquisto di beni non strettamente necessari, come auto, beni di lusso o alcolici, rimanga sotto pressione nel breve termine, finché l’impatto della riduzione dei tassi non diventerà tangibile nel medio periodo, incentivando così anche i consumi più legati a una ripresa del ciclo economico.

 

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Infine, con riferimento alle piccole e medie imprese, da diverse settimane si osservano segnali concreti e tangibili di ripresa di questa classe di attività, sia oltreoceano (dove l’indice americano Russell 2000 ha toccato nuovi massimi storici) sia a livello locale.

Ci aspettiamo che, man mano che le banche centrali proseguiranno con il loro percorso di riduzione dei tassi, questa asset class possa recuperare il profondo divario di performance rispetto alle grandi imprese e tornare a essere il principale motore tanto dei mercati quanto dell’economia reale del nostro Paese.



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