A Rai 3 la giornalista Chiara Proietti d’Ambra intervista Paolo Aurelio Errante Parrino
Questo articolo, che riproponiamo ai nostri lettori, è stato scritto in data 10-12-2024.
Ad Ottobre del 2023 la Procura di Milano, diretta dal procuratore capo Marcello Viola, aveva scoperchiato lo ‘sposalizio’ tra Cosa nostra, ‘Ndrangheta e Camorra in Lombardia.
Era all’ombra della madonnina e fra le vie astruse dei piccoli comuni come Longate Pozzolo, Abbiategrasso e Busto Garolfo che le mafie si incontravano per dare vita a questo consorzio criminale.
Ma non erano solo i piccoli paesi: anche nelle città come Busto Arsizio e Legnano la mafia ha messo radici profonde.
A riportare tutto sul grande schermo della televisione pubblica è stato il giornalista Massimo Giletti durante la trasmissione televisiva ‘Lo Stato delle cose’ andata in onda ieri su Rai 3.
Sul campo la giornalista Chiara Proietti d’Ambra: è lei che ha intervistato in esclusiva Paolo Aurelio Errante Parrino, figura molto vicino a Matteo Messina Denaro. Secondo la procura sarebbe lui una delle figure centrali della maxi inchiesta “Hydra” su una presunta alleanza tra componenti delle tre mafie: Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Camorra, per la quale il Tribunale del Riesame di Milano ha accolto il ricorso della Dda che chiedeva la custodia cautelare in carcere.
Le sue parole saranno trasmesse nella prossima puntata: “Oggi è un anziano signore che però appunto torna come una figura importante” ha detto la giornalista commentando che “mi ha stupito molto, lo dico senza anticipare troppo, che lui ancora dopo tanti anni, da quando ha avuto la condanna nel ’97 per associazione mafiosa, faccia fatica a analizzare che cos’è la mafia oggi”.
Effettivamente il volto delle organizzazioni criminali è molto diverso rispetto al secolo scorso.
Ma andiamo per ordine.
Tra il 2020 e il 2021 gli inquirenti hanno documentato 21 incontri avvenuti tra la provincia di Milano e Varese. Durante i summit si parla di affari, si contano mazzette di soldi, si smercia droga, ma non solo. Il sistema mafioso Lombardo avrebbe pianificato un’infiltrazione capillare nell’economia della regione più ricca d’Italia, dalla sanità all’edilizia fino alla politica.
Chiara Proietti d’Ambra
Ersilio Mattioni, giornalista freelance per Il Fatto Quotidiano e Millennium, ha raccontato per diversi anni la mafia in Lombardia (ha già subito diverse minacce) ha detto alle telecamere di Rai 3 che la ‘locale’ di Legnano – Lonate Pozzolo è “delle locali più antiche della ‘Ndrangheta al Nord. Questo è dovuto a una forte immigrazione da Ciro Marina. E da Ciro Marina viene Vincenzo Rispoli (oggi è al 41 bis, ndr), per anni capo indiscusso della locale di Legnano – Lonate Pozzolo. Per capire bene chi è Rispoli basterebbe una telefonata. Quando un suo sgherro, parlando con un altro affiliato dice: ‘Enzo qui in Lombardia è una potenza, fa così con le dita, mille persone si girano e cominciano a correre, un esercito’”.
Secondo la procura vi sarebbero stati summit nelle cittadine di Dairago, Abbiategrasso, Castano Primo, Busto Garolfo, Inveruno e Cinisello Balsamo. In queste riunioni si parlava dell’organizzazione del traffico di droga, degli investimenti dell’ecobonus 110%, di società con capitali, di lucrare sul Covid, di infiltrazioni nell’Ortomercato, negli ospedali lombardi pubblici e privati e di appalti anche all’interno delle carceri.
Le indagini della Procura
L’avvio delle attività della Procura si è sostanziato inizialmente nel monitoraggio della locale di ‘Ndrangheta di Legnano – Lonate Pozzolo ed in particolare del suo uomo al momento più rappresentativo Rosi Massimo, e nel monitoraggio del circuito relazionale di Cantarella Gaetano. La Procura avrebbe individuato cinque gruppi che compongono il “Consorzio”: La prima è quella palermitana rappresentato da Giuseppe Fidanzati, detto Ninni, figlio del defunto Gaetano, già a capo del mandamento dell’Arenella, e da suo zio Stefano Fidanzati, ritenuto oggi il reggente del clan a Palermo. Giuseppe Fidanzati, si legge, avrebbe impartito “precise direttive volte alla risoluzione di controversie tra gli associati del sistema mafioso lombardo (in particolare, in relazione alla controversia Amico-Pace)”.
Ersilio Mattioni
Poi ci sarebbe stato Paolo Aurelio Errante Parrino, in qualità di referente nell’area lombarda della Provincia di Trapani, con specifico riferimento al Mandamento di Castelvetrano riconducibile all’ex latitante Matteo Messina Denaro. Aurelio è già stato condannato a dieci anni di reclusione con sentenza emessa dalla Corte di Appello di Palermo il 16 aprile 1997.
Anche per lui, però, il gip ha negato l’arresto per associazione mafiosa. Gli inquirenti riportano intercettazioni “con reiterati riferimenti” a Messina Denaro che, per i pm, sarebbe stato colui a cui “inviare o dal quale ricevere ‘ambasciate'”, anche per la risoluzione di conflitti. In un’intercettazione ambientale del febbraio 2021, tra l’altro, Filippo Crea, per i pm parte dell’alleanza tra mafie, parlando con altri diceva: “Oggi gli ho cambiato un milione e due a questa persona… che è entrato nel consorzio a luglio… ha 20 milioni interrati… il suo socio…è quello là il super latitante”. Sempre la Dda ricostruisce una serie di “summit in Sicilia” che dimostrerebbero “i collegamenti tra il sistema mafioso lombardo e l’ex latitante”. Incontri anche con un “uomo di fiducia” del boss, tanto che, sempre per la Dda, Gioacchino Amico, tra gli 11 arrestati ieri ma non per associazione mafiosa (per traffico di droga e estorsioni), si sarebbe preoccupato “nello stilare la lista degli invitati al proprio matrimonio” che fosse presente proprio questo “uomo di fiducia”.
Altro uomo d’onore di Trapani è, scrive la Procura, Bernardo Pace detto “Dino”. Sarebbe stato lui ad aver mantenuto le relazioni con esponenti della famiglia di ‘Ndrangheta dei Crea, con i fratelli Abilone Giovanni e Abilone Rosario e con la famiglia dei “Carcagnusi”.
Marcello Viola © Imagoeconomica
Per il gruppo di ‘Ndrangheta operante all’interno della ‘super – struttura’ vi era, si legge, “Vincenzo Rispoli, in qualità di capo della locale di ‘Ndrangheta di Legnano-Lonate Pozzolo e già condannato in via definitiva. Secondo gli investigatori avrebbe impartito ordini dal carcere – nonostante detenuto al 41 bis – riguardanti la “ricostituzione della locale di Legnano-Lonate Pozzolo, facendo recapitare a Massimo Rosi, tramite il figlio Alfonso Rispoli, una missiva con la quale ne autorizzava la riorganizzazione”.
Inoltre avrebbe svolto un ruolo di mediazione e trait d’union tra la locale e le altre componenti facenti parte del sistema mafioso lombardo, in particolare, con il clan camorristico Senese e la famiglia di Cosa nostra Rinzivillo e partecipando al versamento di somme di denaro nella cassa comune, la cd. “bacinella”, destinate al sostentamento dei detenuti.
Sempre per il ramo della ‘Ndrangheta vi sarebbero stati, secondo gli investigatori, Giacomo Cristello, Santo e Filippo Crea, esponenti della cosca Iamonte. E infine Romeo Antonio, “espressione in Lombardia della cosca mafiosa dei Romeo “Staccu” operante sul territorio di San Luca come attestato dalla sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria nella quale Romeo Sebastiano detto “u staccu” veniva indicato quale “capo locale di San Luca” e come uno dei vertici dell’organizzazione del traffico di sostanze stupefacenti anche con base operativa a Milano), figlio di Filippo Romeo(condannato, con medesima sentenza, alla pena di anni 10 per associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti)”.
In questo contesto, come ha riportato la procura, vi è entrata anche la Camorra romana rappresentata da Vincenzo Senese, figlio di Senese Michele e da Giancarlo Vestiti, il quale prima del suo arresto era l’uomo-cerniera per tenere assieme tutti i gruppi. Tanto che Filippo Crea gli dirà: “Guardate che voi siete al centro siete come epicentro di molti equilibri – voi siete l’epicentro di molti equilibri, per i figlioli, per noi per tutti!”.
Tribunale di Milano © Imagoeconomica
Il rigetto del Gip e la decisione del Riesame
Durante la trasmissione è stato raccontato dello stesso Giletti che inizialmente la Procura aveva chiesto 154 arresti mentre il Gip Tommaso Perna avrebbe accolto la richiesta solo per 11. Per il giudice delle indagini preliminari non esisterebbe la struttura unitaria ma piuttosto la sola presenza di “un sistema criminale più ampio” composto da “contatti tra alcuni appartenenti alle singole componenti criminali, per lo più basati su specifiche conoscenze personali”.
Il riesame dopo un anno, ad ottobre del 2024, aveva però confermato ciò che la procura aveva scoperto. Per il riesame si “può ritenere che singoli soggetti anche appartenenti alle mafie storiche” abbiano costituito una nuova “associazione di stampo mafioso” che i giudici tuttavia escludono si possa definire in diritto come una “supermafia”, avendo gli appartenenti “trasferito” nella nuova organizzazione tutti i “tratti genetici” delle “associazioni di appartenenza”. Nelle carte sono stati documentati 21 summit tenuti nel 2020-21 fra gruppi ristretti di appartenenti nei Comuni di Dairago e Assago, nel milanese, e 54 diverse società-imprese in comune (ristorazione, noleggio, logistica, edilizia, parcheggi aeroportuali, importazione di materiale ferrosi, sanità e piattaforme e-commerce), queste ultime sufficienti a disporre il sequestro di 225.205.697,62 milioni di euro per false fatture. Tra i nomi più noti citati dall’Antimafia quelli di esponenti di vertice delle locali ‘ndranghetiste di Lonate Pozzolo (famiglia Rispoli collegata alla locale crotonese di Cirò) e Desio (cosca Iamonte legata alla locale di Melito Porto Salvo in Calabria), il clan Fidanzati e i Mannino nel palermitano per cosa nostra, i trapanesi vicini a Matteo Messina Denaro, il gruppo Senese per la Camorra.
Secondo l’impianto della Procura, accolto in pieno dal Riesame, “l’operatività del sistema mafioso lombardo veniva decisa congiuntamente dalle tre componenti mafiose nel corso di diversi summit”. Non solo. Il Consorzio mafioso “avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e omertà che ne deriva nel territorio delle città di Milano, Varese e zone limitrofe, aveva lo scopo di commettere diversi gravi delitti”. Inoltre il consorzio “imponeva il versamento di somme di denaro nella cassa comune, destinate al sostentamento dei detenuti di ciascuna componente e pretese quale corrispettivo per l’assegnazione e/o agevolazione nella assegnazione di affari leciti o illeciti, in virtù della forza di intimidazione dell’intera associazione”.
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