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Già esiste e fra i suoi compiti ci sono le tematiche portuali: si tratta di ampliarne i compiti. Basterebbe cambiare la governance, inserendo in consiglio oltre ai rappresentanti di Mef e Mit, anche il ministero del Mare e un rappresentante delle Adsp.
“Rafforzare e modernizzare il sistema portuale italiano”. È questo l’obiettivo della prossima riforma dei porti, emerso dalla illustrazione fatta dal viceministro delle Infrastrutture e Trasporti, Edoardo Rixi, alla riunione del Cipom, il Comitato interministeriale per le politiche del mare tenutasi mercoledì a Palazzo Chigi, sotto la presidenza del ministro Nello Musumeci. “Pianificazione, coordinamento integrato, sostenibilità ed efficienza sono i pilastri su cui erigere un nuovo modello di governance indirizzato a linee guida comuni, coordinamento delle concessioni e armonizzazione dei piani regolatori portuali”, ha spiegato Rixi.
“Una delle principali novità riguarda la creazione di una società a controllo pubblico col compito di gestire gli investimenti e di rappresentare il sistema portuale italiano a livello internazionale, con un ruolo fondamentale nel rafforzamento della sua proiezione globale. Gli obiettivi – ha concluso il viceministro- sono chiari: semplificazione, riorganizzazione, sviluppo organico e funzionale a beneficio dei nostri scali. Una nuova visione che mira a rendere i porti italiani più moderni, sostenibili e capaci di rispondere alle sfide globali del settore”.
Al di là di queste generiche affermazioni, però, non sono uscite indicazioni concrete e operative. Si fa un gran parlare della necessità di dare vita a una società nazionale che assuma su di sé compiti di coordinamento, di programmazione e scelta degli investimenti nei porti, e di forte interlocuzione con i grandi player. Un’idea che trova consenso politico anche nelle opposizioni, nelle associazioni del cluster. Meno in Assoporti. Comprensibile. Si trasferirebbero in questa società nazionale i compiti affidati alla Conferenza nazionale dei presidenti che nei fatti non ha svolto il ruolo assegnatole. Ci sarebbe inoltre il tentativo di omogeneizzare le risposte delle Adsp in materia di concessioni, piani degli organici, regole sulla sicurezza e condizioni di lavoro. C’è poi il tema della governance. Questione delicata, ma anche questa affrontata spesso a sproposito dalla politica. Qui non troviamo argomenti tali da far pensare che l’attuale assetto di “Ente pubblico non economico a natura speciale” sia superato. Le gestioni dei porti sono già completamente privatizzate e la totalità delle banchine assegnate in concessione a imprenditori. Per questa ragione occorrerebbe mantenere un ruolo di governo e di disciplina, autoritativo e di programmazione affidato al pubblico. Cedere, ad esempio, il demanio a dei privati, oltre che essere dannoso per la competitività del sistema, espone a problemi di sicurezza nazionale.
L’intento del governo, che vorrebbe favorire investimenti dei privati nel settore, sarebbe quello di avere un sistema in grado di competere ad armi pari con i porti del Nord Europa. Per questo si sta pensando a un soggetto unico nella gestione della portualità nazionale, al fine di evitare quelle che secondo Rixi sono contrapposizioni dannose tra scalo e scalo.
Sulle competenze, poi, fa difetto la chiarezza. Quale ministero deciderà sulla riforma, quello del Mare con a capo Musumeci o quello dei Trasporti di Matteo Salvini? Così si generano confusione e risultati contraddittori. Si fa cenno a un super ente nazionale, ma senza specificare quali devono essere i rapporti con le Autorità di Sistema. Non sappiamo se ci saranno eventuali interventi sulla modifica dello stato giuridico delle Adsp o se la riforma andrà a modificare l’equilibrio raggiunto nel sistema del lavoro portuale. Se si dovesse segnalare una criticità la potremmo indicare nei Comitati di gestione delle Adsp. Se si volevano allontanare i conflitti di interesse si è ottenuto l’esatto contrario. Quando si sbaglia si può anche tornare indietro. I Comitati portuali, ridotti nel numero dei componenti, offrono maggiori garanzie per il funzionamento delle Adsp. Sono una camera di compensazione e la presenza di istituzioni e associazioni garantisce che i conflitti siano affrontati in modo collaborativo.
Ora, con nove Adsp già commissariate (cinque) e in scadenza a fine anno (quattro), più qualche altra vicina al capolinea a inizio 2025, il “Cencelli” delle banchine sembra impegnare molto più le varie anime della maggioranza di governo di centrodestra rispetto all’esigenza di riordinare la portualità nazionale. Anche perché per creare la ventilata agenzia nazionale dei porti serviranno almeno due anni di adempimenti non solo burocratici. Tempi incompatibili con le esigenze del cluster marittimo-portuale e del business.
Eppure una soluzione semplice e quasi immediatamente operativa ci sarebbe: si chiama Ram, acronimo di Rete Autostrade Mediterranee. Oggi si occupa, si fa per dire, di logistica, infrastrutture e trasporti. Ha un organico di una quarantina di addetti e un fatturato di 4 milioni di euro. E’ già predisposta – lo prevede lo statuto – ad affrontare le tematiche portuali. Si tratta di ampliarne i compiti. Si eviterebbe anche la polemica di chi “urlerà” che si vuole fare un nuovo carrozzone. La società è di proprietà del Mef (ministero dell’Economia e della Finanza) in house al Mit (ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) di cui dovrebbe costituire il braccio operativo, a supporto e servizio della conferenza nazionale dei presidenti delle Adsp. Oltre agli altri compiti per cui è nata, con riferimento a Marebonus e Ferrobonus. Potrebbe diventare agevolmente la società che governerà i rapporti con i grandi player del comparto marittimo-portuale. In questi anni ogni attività onerosa del Mit è dovuta passare al vaglio del Mef, finendo spesso per essere stoppata.
Avere una società che metta insieme Mef e Mit sarebbe già di per sè una sorta di camera di compensazione fra i due ministeri. Sarebbe sufficiente cambiare la governance di Ram, inserendo nel consiglio oltre ai rappresentanti del Mef e del Mit, anche un esponente del ministero del Mare e un rappresentante delle Adsp. A quel punto occorrerebbe nominare un amministratore delegato competente per mettere in pratica le best practise necessarie a farle svolgere quel ruolo fondamentale auspicato da Rixi.
Cincischiare sulla riforma è un alibi per non fare. Come ha sostenuto giustamente nei giorni scorsi Assiterminal, “il Mit deve confermare la sua centralità e con essa l’esercizio delle funzioni di pianificazione, regolamentazione, vigilanza e controllo: se per fare questo è necessario o utile creare un Ente – Agenzia centrale, che si proceda velocemente in tal senso”.
Ram potrebbe essere la soluzione per procedere e accelerare.
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