Il successo di Donald Trump alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti ha avuto come effetto diretto l’esplosione della speculazione finanziaria sulle criptovalute, ultima frontiera di un capitalismo che si presenta come innovativo, digitale e, a ben vedere, predatorio. È, infatti, una festa per i più furbi del capitale. Quotazioni record, arricchimenti da primato e, di contorno, inchieste giudiziarie con dissesti milionari. Due notizie squarciano la realtà di cosa sta succedendo. La scorsa settimana ogni singolo bitcoin ha superato il valore record di 100 mila dollari, grazie all’effetto Trump, dopo aver guadagnato oltre il 40% in un mese. E non è finita. La criptovaluta, dopo anni di successi e di crisi repentine, sta diventando l’investimento più redditizio. Il valore di tutti i bitcoin in circolazione è di duemila miliardi di dollari, un’enormità. Oggi la politica, grazie a Trump, spalanca un’autostrada per investimenti che, in altri tempi, sarebbero stati vietati e condannati. Ma ogni stagione ha le sue disgrazie.
Primo crack del sistema bitcoin in Italia
La seconda notizia ci riguarda da vicino: Andrea Madri e Davide Barbieri, ex amministratori e fondatori the Rock Trading, piattaforma per investimenti in criptovalute, sono stati arrestati per bancarotta fraudolenta, false comunicazioni sociali, formazione fittizia del capitale e infedeltà patrimoniale. L’inchiesta della Procura di Milano ha accertato un dissesto di 66 milioni di euro in cui sarebbero coinvolti 18.000 clienti iscritti alla piattaforma. Ognuno può fare le valutazioni che crede sul ritorno di Trump alla guida dell’America ma appare evidente che la mano della Casa Bianca spinge il capitalismo americano verso la follia, una dimensione dove, come ha scritto l’ex commissario Consob Salvatore Bragantini su Domani, “i furbi veri cercano sempre nuovi modi per separare il denaro da chi furbo si crede”. La corsa all’Eldorado dei bitcoin appare contagiosa e in molti probabilmente si arricchiranno ma un numero maggiore di ingenui investitori farà una brutta fine perché le criptovalute si avvicinano pericolosamente a una forma di capitalismo delinquenziale, ricalcano il vecchio “Schema Ponzi” già alla base di altre storiche truffe: chi entra nel sistema paga chi esce fino a quando non ci sarà nessuno che vuole entrare e crollerà tutto, come è già successo con altri investimenti creati sugli stessi meccanismi.
La Casa Bianca alimenta uno sviluppo senza controlli
Dall’Election day del 5 novembre il valore della moneta dei furbi è cresciuto e ha strappato un record dopo l’altro. Il colpo ad effetto più importante è stato quando Trump, anche per ringraziare il suo sostenitore miliardario Elon Musk, ha deciso di nominare una personalità favorevole alle criptovalute, Paul Atkins, alla guida della Sec, l’Autorità di controllo del mercato azionario di Wall Street. Una scelta che prepara il terreno a ulteriori sviluppi e va nella direzione di allargare e favorire la diffusione di questo strumento. La moneta virtuale viene accolta, magari con qualche perplessità, nel sistema economico globale, è accettata da alcuni colossi finanziari, mentre i governi di Bhutan e El Salvador hanno accumulato enormi quantità di bitcoin convinti di avere vere risorse finanziare da spendere. Con la nuova amministrazione repubblicana alla Casa Bianca è possibile immaginare uno sviluppo senza controlli, anche se il bitcoin non ha dietro nessuna banca centrale, nessuna garanzia, in nome di una mal interpretata idea di libertà di mercato e di impresa, di deregulation e di liberalizzazioni, che può determinare la fine di regole condivise e alimentare nuovi crack e commistioni indebite tra politica e affari.
Il pericolo di una moneta virtuale senza garanzie
In Italia abbiamo avuto il primo dissesto e i primi arresti, ma siamo all’inizio di un fenomeno inquietante, che può essere facilmente infiltrato e utilizzato dalla criminalità organizzata, di cui si stanno occupando le Autorità di controllo dei mercati e del sistema finanziario. Roberto Di Pietro, professore di Cybersecurity, intervenuto a un seminario organizzato dalla Consob e dall’ACN (Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale) dal titolo “La convergenza tra Fintech e Cybersecurity: regolamentazione, sicurezza e innovazione”, ha illustrato i limiti dei bitcoin, segnalando che si arriverà all’estremo per cui “a un certo punto nessuno lo venderà più perché tutti pensano che il giorno dopo possa valere di più”. Il problema essenziale del bitcoin è che “non ci sono investitori istituzionali che li garantiscono”, come invece avviene per le monete ufficiali. Il prefetto Bruno Frattasi, direttore generale dell’ACN, vede una minaccia alla sicurezza dei dati finanziari e per questo “al di là delle difese attraverso software specializzati, è fondamentale agire sulla formazione del personale che può avere accesso a dati e informazioni sensibili per evitare un utilizzo improprio”. L’Agenzia sta mettendo a punto una hyper soc, “struttura di supercalcolo basata sull’intelligenza artificiale” e il machine learning per monitorare la minaccia informatica, che potrà sviluppare un’analisi preventiva, in modo da evitare che i pericoli si concretizzino. La struttura dovrebbe essere pronta nel 2025. Il governo Meloni, intanto, tra le pieghe della faticosa Legge di Bilancio in discussione in questi giorni aveva proposto un aumento della tassazione delle plusvalenze sulle criptovalute dal 26 al 42%. Ma la proposta è stata ritirata, ci sarà un incremento solo del 2%.
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