Napoli, rimosso il Pulcinella di Gaetano Pesce? Se l’arte è pubblica, la provocazione non basta – Libero Quotidiano

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Luca Beatrice

Buon gusto e reale pertinenza. Sono questi i criteri indispensabili sottesi e indispensabili a ogni intervento di arte pubblica, cui non bastano la voglia di stupire, menare scandalo e far discutere sulla base dell’insopportabile e volgare “basta che se ne parli”. Sul tema butta male a Napoli, ed è strano perché se c’è una città in cui il progetto del contemporaneo in passato ha convinto è proprio questa, basti pensare alle stazioni della metropolitana progettate e decorate da artisti di fama internazionale e particolarmente ispirati. Cosa che non è accaduta né a Michelangelo Pistoletto né a Gaetano Pesce, piazzati senza successo e tra le polemiche a piazza Municipio.

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Vittima di un incendio doloso, poi ricostruita e riallestita, la Venere degli stracci del maestro poverista non è piaciuta ai cittadini accortisi che un’opera da museo, nata nel 1967, non può essere ingrandita a dismisura e monumentalizzata a oltre mezzo secolo di distanza senza apparire grottesca. Foriero di ironia, sarcasmo, inevitabili doppi sensi il megafallico Pulcinella di Gaetano Pesce, dal 9 ottobre ha contrapposto pareri e opinioni critiche alla percezione comune. Differenza netta tra chi lo ha lodato pensando alla carriera del designer scomparso ad aprile e chi ci ha visto ciò che c’era da vedere, una “cosa grande” brutta e fuori dal tempo. Da ieri, con qualche giorno in anticipo rispetto alla data prevista (il 19 dicembre) l’opera di Pesce è stata rimossa e si dice venga sostituita a breve da un altro intervento di cui non si conosce né l’autore né il tema masi spera più elegante e sobrio del Pulcinella.

 

 

 

Il sindaco Gaetano Manfredi ama dunque far discutere, convinto (sbagliando) che sia questo lo scopo primario dell’arte e non piuttosto rendere migliore un ambiente pubblico, “abbellirlo” se è ancora il caso di usare questo termine e, per usare una parola cara alla sinistra, renderlo inclusivo, ovvero accettabile per chiunque. Nei giorni scorsi la protesta contro il Pesce fallico, dopo la petizione con immancabile raccolta di firme lanciata dal gruppo femminista Terra di lei (e giustamente ignorata dall’amministrazione, ci mancherebbe che a ogni protesta si debba rimettere mano alla città), si è aggiunto l’intervento di un’artista alla ricerca di un palcoscenico, la scultrice Cristina Donati Meyer che ha voluto aggiungere il proprio “indispensabile” contributo, una vagina voluminosa intitolata La grande bellezza, in risposta al solito patriarcato che sovrintende l’arte contemporanea, secondo lei. Subito rimossa ma difesa da Manfredi in nome della libertà dell’arte, sbagliando perché in tal modo confonde un artista vero come Pesce con l’ultima manifestante. L’aggiunta non necessaria è servita solo ad aggiungere un ulteriore elemento kitsch, evidentemente confondendo le pubbliche piazze auliche con la locazione di un circo equestre. Ecco perché quando si pensa all’arte pubblica si debbono calcolare anche gli effetti collaterali: siamo davvero sicuri che la provocazione sia l’unica cifra espressiva, e non piuttosto l’eleganza, la sobrietà, la necessità?

La polemica ha anche investito i costi. 200mila euro spesi per installare, sorvegliare e inaugurare Tu si ‘na cosa grande. Non sono tantissimi ma neppure pochi e, senza voler fare i conti in tasca a nessuno, con quella cifra un museo della città può produrre una mostra di livello medio, implementare un programma didattico, pubblicare diversi libri. Niente che dia spettacolo o che faccia parlare in una visione dell’arte che assomiglia sempre di più a quella dei talent e di culturale ha ben poco. Tutto ciò non sminuisce affatto l’importanza di un designer come Gaetano Pesce, ma l’intervento di piazza Municipio resta brutto, inadatto, fuori tempo e inopportuno. Inoltre, provoca solo le reazioni più immediate, il sarcasmo, il doppio senso o le proteste vaginali, insomma non è neppure provocazione intelligente. Che fare, dunque, quando si tratta di decidere come arredare le nostre città per mezzo dell’arte contemporanea? Pensiamo innanzitutto dove ci troviamo, quali sono i caratteri dello spazio, se ne stiamo rispettando la storia oppure semplicemente apponiamo un segno qualsiasi esso sia, con la speranza almeno che sia provvisorio.

 

 

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La progettualità è indispensabile e rende i luoghi migliori di come li ha trovati – pensiamo alle Luci d’artista a Torino, all’Ago e filo in piazzale Cadorna a Milano e naturalmente alla metropolitana di Napoli- mentre il mammozzone buttato lì per far scandalo conferma solo chi del contemporaneo ha una visione prevenuta, che sia una grande cialtronata. Solo che in casi del genere è difficile dargli torto. 

 

 

 

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