Il punto sulla guerra in Ucraina e su quella in Medio Oriente

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Uno scoppio a Mosca. Un pugno sul tavolo battuto da Israele; ma col bastone la carota, l’accordo per la tregua con Hamas e la liberazione degli ostaggi non sarebbe mai stato così vicino come oggi. Le cronache di guerra di questa settimana sono, come sempre, convulse e tragiche e, al contempo, confuse e contraddittorie: il fronte ucraino, che pareva il più vicino a uno sviluppo negoziale. s’infiamma; da quello mediorientale, che pareva lontanissimo da un simulacro di pace, giungono segnali di ottimismo – ma non sarebbe la prima volta che le speranze vengono deluse -.

Né in Ucraina né in Medio Oriente, le preghiere di pace di Natale saranno esaudite. Alla meglio, avranno un’eco nel balsamo di una tregua. Ma il mese di qui al 20 gennaio, cioè all’insediamento alla presidenza degli Stati Uniti di Donald Trump, potrebbe essere foriero di novità anche repentine, tra chi vuole compiacerlo e chi vuole sottrarsi alla sua imprevedibilità.

Lo scoppio a Mosca è quello dell’ordigno che, installato su un monopattino elettrico ed azionato a distanza, uccide il generale russo Igor Kirillov, lo specialista della guerra chimico-batteriologica e radioattiva, il comandante delle forze di difesa nucleare. Accade all’alba di martedì: poche ore dopo, i servizi segreti ucraini rivendicano l’azione contro – dicono – “un obiettivo legittimo”; invece, il Cremlino denuncia “un atto di terrorismo internazionale” e minaccia ritorsioni inevitabili.

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L’esplosione è un vero e proprio “attacco al centro del regime” del presidente russo Vladimir Putin: “Un nuovo omicidio politico – scrive Stefano Feltri – per destabilizzare Putin ed esorcizzare i timori sull’arrivo di Trump”, che considera ineluttabile che Kiev accetti di sedersi al tavolo della trattativa con Mosca in condizioni di inferiorità sul terreno, così com’è ora.

Nelle stesse ore, il premier israeliano Benjamin Netanyahu teneva comportamenti apparentemente contrastanti: diceva che l’esercito israeliano occuperà a tempo indeterminato una zona cuscinetto lungo il confine con la Siria, in territorio siriano, e in particolare sulla sommità del Monte Hermon, “finché non saranno stati definiti nuovi accordi che garantiscano la sicurezza d’Israele”.

Appare un atto ostile nei confronti del nuovo regime siriano, di cui le intenzioni e le caratteristiche restano, del resto, fumose e incerte. Ma, contemporaneamente, Netanyahu lascia lievitare le voci sulla possibilità di raggiungere un accordo tra Israele e Hamas per una tregua nella Striscia di Gaza, in cambio della liberazione di ostaggi. I palestinesi avrebbero fornito, per la prima volta, una lista degli ostaggi ancora vivi nelle loro mani, dicendosi disponibili a liberarli ad alcune condizioni. Si diffonde persino la notizia, poi smentita, di una missione di Netanyahu al Cairo per perfezionare l’intesa.

Guerre: punto, Ucraina, l’uccisione di Kirlllov non modifica gli squilibri
Le immagini delle telecamere di sorveglianza che riprendono il momento dell’esplosione e, quindi, dell’uccisione di Kirillov e del suo assistente, appena fuori dal complesso residenziale dove abitava, fanno il giro del Mondo e mostrano che il regime di Putin è vulnerabile – ma tutti sono consapevoli che gli attacchi terroristici, nella loro imprevedibilità, sono spesso impossibili da sventare -.

Il suo ruolo era più importante del grado perché Kirillov – spiega Gianluca De Feo su la Repubblica – “comandava una delle strutture più sensibili del sistema di potere putiniano: l’RKhBZ, acronimo che indica la difesa contro gli attacchi nucleari, batteriologici e chimici. E’ un settore che, nel resto del Mondo, è stato quasi dimenticato alla fine della Guerra Fredda mentre ha ricevuto dal Cremlino un impulso straordinario”.

Il generale Kirillov, 54 anni, ricopriva il suo incarico dall’aprile 2017. Martedì mattina, nessuno aveva fatto caso al monopattino parcheggiato nei pressi del portone da cui lui sarebbe come sempre uscito per recarsi al lavoro. Le indagini dovranno stabilire quando era stato messo lì e chi ce l’aveva portato: 24 ore dopo, c’era già un sospetto in carcere, un cittadino uzbeko che sarebbe stato reclutato dall’intelligence ucraina.

“Kirillov – dicono a Kiev – era un criminale di guerra: aveva dato l’ordine di usare armi chimiche proibite contro l’esercito ucraino”. Il giorno prima dell’agguato mortale, lunedì 16, il generale era stato incriminato in contumacia da un tribunale ucraino proprio per il ricorso ad armi chimiche: secondo i dati di Kiev, dall’inizio della guerra ci sono stati oltre 4.800 casi di uso di armi chimiche da parte russa.

A conferma delle tesi dell’Ucraina, il premier britannico Keir Starmer dichiara: “Non piangeremo l’uccisione di Kirillov, che ha imposto sofferenza e morte al popolo ucraino”. Il generale era sotto sanzioni da parte di numerosi Paesi occidentali, per il suo ruolo nell’invasione russa dell’Ucraina.

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Che la guerra iniziata ormai quasi tre anni fa, 34 mesi or sono, non si combatta solo nel Donbass o nell’area di Kursk era già evidente: attacchi notturni con missili e droni sulle città ucraine, lanci di droni verso obiettivi in territorio russo, sabotaggi in Crimea e sporadiche azioni terroristiche riferibili all’Ucraina, anche se non sempre rivendicate: l’uccisione di Daria Dugina, saltata in aria nell’agosto del ’22 al posto del padre, un ideologo nazionalista, che era l’obiettivo dell’azione; oppure, la strage alla Crocus City Hall del marzo scorso; e varie altre meno eclatanti.

Forse, un episodio di guerra ibrida è anche l’odissea nel Mar Nero di due petroliere russe, raggiunte da una tempesta nello stretto di Kerch. Una, la Volgoneft-212, s’è incagliata, con vittime a bordo e rischi d’inquinamento nell’area; l’altra s’è mantenuta a galla. Sembra un incidente, ma si indaga.

Sul terreno, l’inerzia del conflitto resta, però, favorevole alla Russia. Fonti ucraine e occidentali riferiscono che, nei combattimenti nell’area di Kursk, da cui i russi cercano di cacciare gli ucraini, ci sarebbero stati nei giorni scorsi i primi caduti nord-coreani.

Prima dell’avvicendamento con Trump alla Casa Bianca il 20 gennaio, il presidente Usa Joe Biden s’affretta ad inviare a Kiev tutti gli aiuti militari autorizzati dal Congresso, mentre il suo successore già ne preconizza una riduzione e dà un colpo di freno alle prospettive di adesione alla Nato dell’Ucraina. L’ultimo annuncio di aiuti statunitensi riguarda un pacchetto da 500 milioni di dollari: sono equipaggiamenti che presuppongono che il conflitto vada avanti nel 2025. Analogo segnale dà Kiev, che, come suggerito da Washington, abbassa l’età delle leva dai 25 ai 18 anni: una conferma della penuria di uomini dell’esercito ucraino.

A tutto ciò, Putin replica: “Anche se l’abbassassero a 14 anni, non cambierà la situazione sul campo di battaglia … Nella loro volontà di indebolire il nostro Paese, di infliggerci una sconfitta strategica, gli Usa continuano a pompare con armi e soldi il regime di Kiev che è illegittimo, inviano mercenari e consulenti, incoraggiano l’escalation…”. 

Il segretario generale dell’Alleanza atlantica Mark Rutte, dal canto suo, si porta avanti con i compiti e avverte che l’obiettivo del 2% di spese per la difesa non è più sufficiente: la musica di Trump già suona a Bruxelles. In missione a Varsavia, il presidente francese Emmanuel Macron riesuma l’idea di inviare truppe in Ucraina, ma in funzione di un congelamento del conflitto, mentre il premier ungherese Viktor Orban si propone a Putin come mediatore

Guerre: punto, MO, focus sulla Siria, Israele continua la guerra nella Striscia
In Medio Oriente, il focus dell’attenzione internazionale – diplomatica e mediatica – s’è spostato sulla Siria, dove Usa e Russia, ma soprattutto le potenze regionali, Turchia e Iran, ‘sgomitano’, cercando di acquisire un’influenza sul nuovo regime o di difendere le proprie posizioni. Israele, intanto, continua a mettere in mostra, nella Striscia di Gaza, “una capacità di distruzione unica”, scrive il Washington Post, mentre la tregua con gli Hezbollah, fortemente indeboliti, sostanzialmente tiene.

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Fonti sanitarie palestinesi stimano a oltre 45 mila i palestinesi uccisi nella Striscia da inizio ostilità, cioè subito dopo gli attacchi terroristici condotti da Hamas e da altre sigle palestinesi il 7 ottobre 2023 in territorio israeliano – fecero circa 1200 vittime e portarono alla cattura di oltre 250 ostaggi -. I feriti a Gaza sono stati 107.000: vuol dire che un palestinese su 12 che viveva nella Striscia, civili, anziani, donne, bambini – è stato ucciso o ferito. E il bilancio, avvertono le fonti palestinesi, potrebbe essere più grave, perché cadaveri giacciono ancora sotto le macerie di edifici bombardati, che non sono state rimosse.

Fuori dai giochi diplomatici per un’intesa Israele–Hamas, e colta come tutti di sorpresa dal collasso del regime siriano dopo 14 anni di guerra civile, l’Unione europea si riduce al piccolo cabotaggio sulla questione migranti: la presidente della Commissione di Bruxelles Ursula von der Leyen porta al presidente turco Racep Tayyip Erdogan la promessa di un aiuto per un miliardo di euro. Così, dopo avere pagato la Turchia perché tenesse sul proprio territorio due milioni di rifugiati siriani, impedendone l’esodo verso l’Europa, adesso l’Ue è pronta ad aiutarla finanziariamente a fare rientrare i rifugiati nel loro Paese, senza troppo curarsi della loro sicurezza.

Di certo, la situazione in Siria appare tutt’altro che chiara: il cambio di regime a Damasco è una sconfitta per la Russia, che mostra i limiti del suo potere globale e deve smantellare le sue basi e trasferire uomini e mezzi in Libia, il Dipartimento di Stato suggerisce agli americani di andarsene perché il Paese non è sicuro. L’ambasciatore Giuseppe Cassini nota: “Il Medio Oriente disegnato dalle potenze coloniali nel Novecento ha creato le divisioni alla base dei conflitti odierna. La Siria rischia di essere smembrata dalle forze che ne contendono i territori senza speranza di pacifica convivenza”.

L’intreccio di interessi e pericoli, in tutta l’area è inestricabile: il Dipartimento della Giustizia Usa incrimina due uomini legati all’Iran per un attacco con droni che, all’inizio dell’anno, aveva ucciso tre militari americani e ne aveva ferito decine, in una base in Giordania al confine con la Siria, nota conme Tower 22. I due avrebbero fornito informazioni che avrebbero reso l’attacco possibile.







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