Ucciso dalla malaria: «Ora verità e giustizia»

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CREMONA – Il 31 dicembre sarà un anno. «Purtroppo Lorenzo non torna più. Che almeno questa situazione riesca a fare chiarezza e giustizia anche nei confronti di tutti lavoratori che si trovano in queste condizioni e che non si ripropongano più situazioni simili. I protocolli di sicurezza e di prevenzione devono essere attuati per evitare situazioni assurde, perché non si può morire di malaria adesso». Mamma Cristina e papà Amos sono i genitori di Lorenzo Pagliari, specialista elettronico, 38 anni, per 19 dipendente dell’Ocrim spa, uno dei più importanti player del settore molitorio a livello mondiale. Un anno fa, Lorenzo è stato ucciso dalla malaria contratta durante la trasferta di lavoro in Camerun, uno degli 11 Paesi più colpiti a livello globale e dove a gennaio di quest’anno è stata avviato il primo programma di vaccinazione contro la malattia trasmessa dalle zanzare.

Lorenzo era partito il 21 novembre e rientrato il 13 dicembre. L’incubazione è stata lunga. A Natale i primi sintomi scambiati per un’influenza, il 30 dicembre il ricovero all’ospedale Maggiore, ventiquattro ore dopo il decesso per malaria cerebrale. Si è salvato il collega 51enne, lui partito l’8 dicembre e rientrato il 21, ricoverato e guarito. Il pm Davide Rocco ha chiesto il rinvio a giudizio dell’ad di Ocrim, Alberto Antolini, di Nicoletta Bussacchini, medico del lavoro dell’azienda, e della società stessa.

LE ACCUSE

Omicidio colposo, lesioni gravissime e violazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro, le accuse contestate, in cooperazione, agli imputati. Secondo il pm, nel Documento di valutazione rischi redatto e sottoscritto il 6 settembre del 2023, vi sarebbe stata «una omissione di valutazione dei rischi per i lavoratori in trasferta nei Paesi a rischio di malattie infettive endemiche», sarebbe inoltre stata omessa «la predisposizione di adeguate procedure operative allo scopo di fornire ai lavoratori precise indicazioni e presidi inerenti le misure di prevenzione e sulle misure organizzative, procedurali e igieniche da adottare al fine di evitare, prevenire e ridurre l’esposizione ai rischi correlati alla presenza di patogeni endemici, nella fase preparatoria alla trasferta, durante lo svolgimento della trasferta, nonché nei periodi successivi del ritorno nel paese di origine, con conseguente sorveglianza sanitaria dei lavoratori».

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Ed ancora, il pm contesta di «non aver provveduto affinché ciascun lavoratore ricevesse adeguate informazioni indispensabili alla messa in atto di misure igieniche e comportamentali finalizzate alla prevenzione dei rischi di malattie endemiche proprie dei paesi di destinazione». Agli stessi lavoratori non sarebbero state fornite «specifiche informazioni allo scopo di garantire che gli stessi mantenessero un adeguato comportamento, volto al monitoraggio del proprio stato di salute, anche nei periodo successivi il ritorno dal paesi di trasferta». Il medico del lavoro non avrebbe «tenuto in considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati» e avrebbe «omesso di predisporre una adeguata sorveglianza sanitaria al rientro dei lavoratori dalla trasferta in Paesi, come il Camerun, ove erano presenti agenti patogeni endemici». L’udienza preliminare si terrà il 10 febbraio prossimo.

I GENITORI

Nello studio degli avvocati Davide Barbato e Nicola Gaudenzi, la madre Cristina e il padre Amos (genitori anche di Alessandro, 32 anni), ricordano il figlio innamorato del suo lavoro e dei viaggi. «Un giramondo», Lorenzo. Dopo il diploma in elettronica all’Itis, «lo presero subito all’Ocrim, anche perché aveva dato la disponibilità alle trasferte all’estero». Nel 2005, ventenne, lo mandarono in Sardegna e in Algeria. Poi, Iran, America Centrale, Africa, Russia. Una vita su e giù dagli aerei, lontano da casa. «Prima del Covid, in un anno aveva fatto mediamente 270 giorni all’estero; dopo il Covid, 170-200. Capitava che fosse in America centrale ed anziché rientrare dopo tre settimane, lo mandavano in un paese vicino, Nicaragua, Panama, ritornava dopo tre mesi».

Un ‘giramondo’ con le radici ben salde a Cremona. «Amava la sua città». Nel cuore, la famiglia e gli amici. Ne aveva moltissimi. «Era molto amato. Era una persona splendida, solare, era impossibile non volergli bene. Faceva amicizia facilmente con tutti, era sempre disponibile ad aiutare chiunque. Trascurava se stesso per essere a disposizione. Viveva pienamente la sua vita». Una vita di viaggi anche con gli amici. «Li organizzava lui, amava anche la cultura. Li portava per musei». Non solo città d’arte. Lorenzo era «anche un festaiolo: Formentera, le isole greche, gli apericena». Quando rincasava dalle trasferte di lavoro, la sera la casa si riempiva di amici. Gli stessi che in questo anno non hanno mai abbandonato i suoi genitori.

IL DRAMMA

Non era la prima volta che l’Ocrim mandava Lorenzo in Camerun. Torniamo a quei giorni. «Il 13 dicembre è rincasato e stava bene – raccontano i genitori -. La Vigilia di Natale era fuori con gli amici, a Natale i colpi di tosse e un po’ di febbre. Il medico l’ha visitato. Anche Lorenzo pensò all’influenza, del resto il periodo era quello. Nessuno ha collegato con il Camerun». Il 30 dicembre le condizioni si sono aggravate. «Abbiamo chiamato l’ambulanza. Hanno cominciato a fare tutti gli accertamenti, ma non riuscivano a capire. Ogni venti muniti ci chiamavano e consultavano. Parlando, è uscito che nostro figlio lavorava all’Ocrim». A un medico si è accesa la lampadina. «‘C’è già un altro collega ricoverato per malaria’ e hanno collegato tutto. Né Lorenzo né noi avevamo collegato, perché l’azienda non ha mai messo l’accento sul fatto che in Camerun si potesse prendere la malaria. Anche mio figlio non lo ha sospettato. Lo stesso il suo collega: pensava di essersi preso un’intossicazione alimentare. Morire di malaria è una cosa assurda».

Mamma Cristina, maestra elementare, è andata in pensione un anno fa. «Per passare più tempo in famiglia, Lorenzo non mangiava in mensa, ma veniva a casa». Il padre Amos, un lavoro al Consorzio Agrario, è in pensione da maggio di quest’anno. «Ci penso sempre tutti i giorni, da quando mi sveglio a quando la sera vado a letto. È un pensiero fisso. Anche se sono in pensione, non mi annoio, perché ho sempre in testa mio figlio». I genitori hanno in mente di realizzare qualcosa di concreto in ricordo di Lorenzo, morto di malaria nel 2023.

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GLI AVVOCATI

«La sicurezza sul lavoro è un tema molto delicato in questo periodo storico. Non lo consideriamo un infortunio tradizionale, ma è importante, secondo noi, che l’accento si ponga anche su questo tipo di sicurezza sul lavoro ovvero del personale viaggiante, del personale in trasferta. Non è solo guidare un autobus, ma il problema è anche dove, come, quando svolgo la mia attività lavorativa. I protocolli ci sono, perché il Documento valutazioni rischi (Dvr) li prevede. Il problema, semmai, è come viene sviluppato e come viene poi indirizzato. Il Dvr può dire tante cose, perché è un documento che valuta i rischi di un’azienda che può avere dimensioni rilevanti, come l’Ocrim e la Fiat. Poi, all’interno del Dvr è necessario che le indicazioni e le valutazioni dei rischi abbiano un impatto specifico sull’attività lavorativa». I legali della famiglia Pagliari sottolineano l’importanza «degli obblighi dell’informazione e della sorveglianza attiva che dev’essere esplicata prima e soprattutto dopo. Se io ho un lavoratore che va in Camerun e rientra, mi aspetto che lo sviluppo del Dvr abbia anche un controllo successivo al suo rientro. Come si faceva con il Covid. L’esperienza del Covid avrebbe dovuto insegnare anche sulla sorveglianza».





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