TRA EVASIONE E “AGENZIE DELLE USCITE”/ Le “medaglie” discutibili di Ruffini

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Una notizia importante dei giorni scorsi è stata senza dubbio quella delle dimissioni del Direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini. Il clamore deriva dalle dichiarazioni che le hanno accompagnate: “Mi sono dimesso, non accetto di passare da estorsore di un pizzo di Stato”; “A volte sembra quasi che contrastare gli evasori sia una colpa e ci si preoccupi più di questo che degli ospedali che chiudono, delle scuole che non hanno fondi o della carenza di servizi perché le risorse sono insufficienti”.



Sono dichiarazioni dalle quali emerge amarezza legata al grande impegno che l’ex Direttore ha messo nell’assolvere l’incarico. È comprensibile, dunque, la delusione per il riconoscimento non unanime che ritiene di aver ricevuto. Le dimissioni sono state accompagnate dall’indiscrezione secondo cui seguirà la discesa in politica di Ruffini, che per la cronaca avrebbe, invece, detto che intende tornare a fare l’Avvocato. Ed è proprio in questo ruolo che sarebbe interessante vederlo in azione e non per le capacità professionali, ma per scoprire come affronterà gli ostacoli operativi che si incontrano quotidianamente nel rapporto con gli Uffici dell’Amministrazione Finanziaria (Entrate e Riscossione).

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Negli anni recenti, ma neanche troppo, l’evasione fiscale veniva misurata sempre in 100 miliardi di euro e tutte le azioni messe in campo sembravano non avere alcun effetto. Lo stesso ex Ministro Visco ebbe modo di dire che non era certo che il fisco telematico, così come disegnato, potesse incidere concretamente sull’evasione. Al di la di ciò, è indubbio che l’azione dell’Agenzia delle Entrate, in questi ultimi anni, sia stata particolarmente foriera di interventi interpretativi, talvolta postumi, che hanno reso complicato il rapporto con il fisco. La flat tax, che nasceva come strumento semplice per adempiere alla obbligazione tributaria e per il quale fu annunciato che non ci sarebbe voluto il commercialista, è stata oggetto di interpretazioni e regolamentazioni che la rendono inapplicabile senza l’ausilio di un professionista. Questo non è sicuramente negativo per le professioni ma ha certamente svilito la portata dell’intervento.

Questo è un esempio, ma ve ne sono molti altri. Si assiste, ad esempio, alla moltiplicazione degli atti atipici che l’Agenzia dell’Entrate ha a disposizione, talvolta creati ad hoc, che rendono il rapporto fisco-contribuente particolarmente complesso ai limiti della sostenibilità economica e psicologica. È questo forse l’aspetto che non ha fatto apprezzare fino in fondo l’azione dell’Agenzia delle Entrate. All’affermazione secondo cui dispiace essere considerati esattori del pizzo di Stato può essere contrapposta quella del popolo delle partite Iva che non accetta di buon grado di essere considerato sempre e comunque quale evasore.

La lezione della pandemia è stata rapidamente dimenticata. Le differenze tra le tutele del lavoro autonomo e quelle del lavoro dipendente, emerse in modo lampante nella fase acuta del lockdown, sono state dimenticate. Non si vuole far finta che l’evasione non esista, ma l’azione per combatterla si rivolge sempre verso coloro che già sono più o meno fedeli al fisco e che, dunque, subiscono una pressione fiscale e burocratica che non ha precedenti.

Tornando al fisco telematico, senza dubbio la fatturazione elettronica è stata una rivoluzione positiva. Ha migliorato i rapporti tra contribuenti e tra questi e il fisco. La stessa cosa non può dirsi per la dichiarazione dei redditi precompilata e quella Iva che annunciata non è ancora partita. Quello che manca nel rapporto Agenzia delle Entrate-contribuente-operatori è il riconoscimento da parte della prima dei costi che le altre parti sostengono per far sì che vi siano le precompilate. I dati in esse contenuti sono il risultato di decine di comunicazioni che i contribuenti devono produrre per far sì che le caselle delle precompilate stesse vengano valorizzate. Questi adempimenti spesso complicati, sovrapposti ad altri, hanno un costo che si aggiunge alla tassazione. finendo per funzionare quale imposta indiretta.

Oggi chi frequenta le Direzioni Regionali o Provinciali degli Uffici Finanziari sente parlare di budget e non sono le aziende a farlo, ma i funzionari e i dirigenti chiamati “banalmente” a fare cassa.

Ritornando al valore dell’evasione, di recente la misura della stessa ha visto registrare un decremento. Se ciò è vero lo si deve solo all’azione di un attore o il risultato è frutto di più azioni? Forse è questa considerazione che manca nelle esternazioni di Ruffini dei giorni scorsi.

Non è infrequente verificare attraverso le pronunce delle commissioni tributarie che l’azione dell’Agenzia delle Entrate va frequentemente oltre ogni ragionevole aspettativa. Spesso questo limite viene oltrepassato perché non vi è responsabilità dell’azione. Il contribuente paga i suoi errori personalmente e i consulenti anche.

L’ex Direttore ha esaltato il ruolo assolto dell’Agenzia delle Entrate durante il Covid che lo ha portato a definire la stessa come Agenzia delle uscite. Andrebbe ricordato che l’azione dell’Agenzia avveniva in esecuzione di provvedimenti voluti dal Governo o dal Parlamento. Sarebbe stato, invece, onesto ammettere la complessità degli strumenti messi in campo: uno su tutti quello sull’autodichiarazione degli aiuti di Stato (provvedimento 233822/2022).

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Tornando alle parole di Ruffini, si può senz’altro dire che è corretto rivendicare i risultati raggiunti, ma allo stesso modo andrebbe ricordato il contesto in cui si sono conseguiti e il prezzo richiesto per raggiungerli. Laddove l’ex Direttore decidesse di scendere in campo avremo, dunque, modo di verificare le proposte normative che proporrà. Ad avviso di tutti, infatti, l’azione della Pubblica amministrazione deve regolare l’attività dei cittadini e non ostacolarla. Interessante al riguardo è la motivazione contenuta in una sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di Roma che nel censurare l’azione dell’Amministrazione ha affermato: “Peraltro nella gestione del rapporto tributario l’amministrazione Finanziaria non è parte legittimata a perseguire il proprio tornaconto ma è titolare di una pubblica funzione e deve perseguire l’interesse della collettività alla percezione delle imposte nell’esatta misura nella quale sono dovute, né più né meno, e l’interesse del contribuente a pagarle nell’esatta misura nella quale sono dovute, né più né meno”. Si tratta semplicemente dell’affermazione dell’assoluta rilevanza dell’art. 53 della Costituzione e di come lo stesso verrà interpretato dalla riforma fiscale.

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