(Teleborsa) – In Italia, nel 2023 lo stock di pensioni è rimasto sostanzialmente invariato. Sebbene una quota crescente delle pensioni venga liquidata in regime contributivo, ed è quindi legata ai contributi versati nell’arco della vita lavorativa dai beneficiari, permane la questione della sostenibilità in quanto il sistema di finanziamento delle prestazioni è a ripartizione, ovvero i contributi ricevuti in un determinato anno sono utilizzati per erogare i trattamenti pensionistici dello stesso anno. Il sistema di finanziamento a ripartizione è quello utilizzato attualmente nella stragrande maggioranza dei regimi previdenziali pubblici obbligatori. Se l’importo delle prestazioni erogate supera i contributi versati da lavoratori e imprese si determina uno squilibrio strutturale del sistema che deve essere compensato e ciò generalmente avviene con trasferimenti dello Stato a carico della fiscalità generale.
Il Rapporto “La natura delle entrate e delle uscite dell’Inps in rapporto alla dimensione previdenziale e assistenziale delle prestazioni” presentato ieri dal Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Istituto evidenzia che lo squilibrio può derivare dalla generosità delle prestazioni, frequente nel caso di prestazioni determinate con il metodo retributivo e quindi slegate dall’entità dei contributi versati dal lavoratore, ma anche dall’invecchiamento demografico per cui si registra un aumento delle prestazioni pensionistiche da pagare non controbilanciato da un aumento della contribuzione. L’invecchiamento della popolazione, che si associa ad un aumento dell’età mediana, un calo della fecondità e una riduzione della popolazione in età lavorativa, è attualmente il principale fattore di rischio per la sostenibilità dei sistemi pensionistici di tutta l’Unione europea.
Il 1° gennaio 2023 l’età mediana della popolazione dell’Unione europea ha raggiunto i 44,5 anni, per cui metà della popolazione europea aveva oltre 44,5 anni e l’altra metà meno di 44,5. In 20 anni, la mediana è aumentata di 5,2 anni (di 3 mesi l’anno, in media) da 39,3 anni nel 2004. I paesi con età mediana più bassa, sotto i 40 anni, sono Cipro, l’Irlanda e il Lussemburgo; quelli con mediana più elevata sono l’Italia (48,4 anni), il Portogallo (47 anni) e la Grecia (46,5 anni). Negli ultimi 5 anni, la mediana è cresciuta in tutti i paesi europei tranne che in Germania e Svezia, dove è rimasta invariata, e a Malta, dove è diminuita di un anno. In Italia, Grecia e Spagna l’aumento è stato di circa 4 anni.
All’aumento dell’età mediana hanno contribuito da una parte un calo della fecondità, dall’altro un aumento della speranza di vita. Nel 2022, l’ultimo anno per cui vi sono dati confrontabili, nell’Unione Europea, il tasso di fecondità è stato di 1,46 figli per donna, il valore più basso dal 2004. La Francia ha registrato la fecondità più elevata (1,79), seguita da Romania (1,71) e Bulgaria (1,65). La fecondità più bassa è stata riscontrata a Malta (1,08), in Spagna (1,16) e in Italia (1,24). Nel complesso, in Italia i nati nel 2022 sono stati 388 mila rispetto ai 409 mila del 2021, continuando la flessione cominciata nel 2008, quando i nati furono 468 mila. Per quanto riguarda la seconda determinante dell’invecchiamento della popolazione, ovvero la speranza di vita a 65 anni, nel 2023 la media europea è stata pari a 20,2 anni (21,9 per le donne e 18,5 per gli uomini). Il valore più elevato è stato registrato in Spagna e Francia (22 anni) e Italia (21,5 anni) e quello più basso in Bulgaria (16,7 anni).
In base alle previsioni Eurostat, il tasso di fecondità europeo aumenterà leggermente, anche se molto lentamente, e si stima che raggiungerà il valore di 1,62 figli per donna nel 2070, un livello comunque ben al di sotto della soglia di sostituzione di 2,1 figli per donna. Aumenterà anche la speranza di vita, a 86,1 anni per gli uomini e 90,4 anni per le donne, con una lieve riduzione del divario di genere. A compensare l’effetto di questi due fattori sulla struttura demografica della popolazione non saranno sufficienti i flussi migratori. È infatti previsto un tasso netto di migrazione positivo per tutti i paesi dell’UE, ma la stima è che da qui al 2070 esso si attesti ad un valore medio annuo dello 0,3% della popolazione.
Alla luce di queste ipotesi, la previsione è di un forte aumento del tasso di dipendenza, ovvero del rapporto tra soggetti con più di 64 anni e soggetti con un’età compresa tra i 20 e i 64 anni. Nel 2022, il tasso di dipendenza medio dell’Unione europea è stato pari al 36%, corrispondente a circa 3 giovani per 1 anziano. I valori più elevati sono stati registrati in Italia (41,0%) e Portogallo (41,2%), quello più basso in Irlanda (25,8%). Le stime relative all’andamento di fecondità, speranza di vita e flussi migratori fanno presagire un aumento di questo rapporto e, quindi, un peggioramento del rapporto tra pensionati e contribuenti, con rischi evidenti per l’equilibrio del sistema previdenziale, soprattutto in presenza di livelli di spesa previdenziale di per sé elevati.
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