L’ex premier al Cepr di Parigi: «Tutti i Paesi europei dovrebbero fare pieno uso del periodo di aggiustamento di sette anni per rendere disponibili ulteriori 700 miliardi per gli investimenti»
«Tutti i Paesi europei dovrebbero fare pieno uso del periodo di aggiustamento di sette anni per rendere disponibili ulteriori 700 miliardi per gli investimenti», suggerisce Mario Draghi rilanciando le nuove regole del Patto di Stabilità. Sarebbe «una quota significativa delle necessità di investimenti pubblici», per finanziare le riforme strutturali di cui l’Europa ha urgentemente bisogno, in mancanza di un debito comune europeo, spiega l’ex premier parlando in serata a Parigi al Simposio annuale del Centre for Economic Policy Research (Cepr).
Davanti a una Cina meno favorevole ai produttori europei e ai rischi di una levata protezionistica della nuova amministrazione americana guidata da Donald Trump, Mario Draghi torna ad ammonire l’Europa affinché cambi il suo modello economico, oggi basato soprattutto sull’export. «Le politiche europee hanno tollerato una bassa crescita salariale come mezzo per aumentare la competitività esterna, aggravando il debole ciclo reddito-consumo, con la rinuncia a usare lo spazio fiscale per contrastare la debole domanda interna», ricorda Draghi. Ma oggi questo modello economico basato sulla domanda esterna e su livelli salariali bassi «non è più sostenibile».
Serve un approccio combinato di riforme strutturali e politiche macroeconomiche per rilanciare la crescita, sottolinea l’ex presidente della Bce. Precisando che anche il significato di «riforma strutturale» è cambiato. «Dieci anni fa, il termine si riferiva principalmente all’aumento della flessibilità del mercato del lavoro e alla compressione dei salari. Oggi significa aumentare la crescita della produttività senza dislocare il lavoro, ma piuttosto riqualificando le persone», spiega.
Se nel suo Rapporto sull competitività, Draghi ha indicato molte misure diverse che possono aumentare la produttività, «il mercato unico europeo e il mercato dei capitali sono fondamentali, in quanto sostengono i meccanismi di base che guidano la crescita della produttività», sostiene.
Draghi sa che queste riforme richiederanno tempo per produrre risultati significativi. Perciò suggerisce di esplorare un uso più efficiente delle politiche macroeconomiche. «Se l’Ue emettesse debito congiunto, potrebbe creare uno spazio fiscale aggiuntivo per limitare i periodi di crescita sotto il potenziale». Senza debito comune, secondo Draghi è importante «migliorare la composizione della spesa fiscale, accrescendo gli investimenti pubblici e aumentando il coordinamento tra gli Stati membri».
L’Europa non ha più tempo da perdere. «Sarebbe confortante credere che questi problemi siano meno gravi di quanto sembrino e che, come continente ricco, l’Europa possa entrare in una fase di declino gestito. Ma la realtà è che non c’è nulla di confortevole in questa prospettiva», afferma. Se l’Europa continua con il suo tasso di crescita della produttività media dal 2015, in 25 anni l’economia continentale avrà le stesse dimensioni di oggi, mentre le spese per pensioni, energia, difesa e digitalizzazione aumentano.
Ecco le cifre «monstre»: passività pensionistiche non finanziate nei Paesi dell’Ue che vanno dal 150% al 500% del Pil, i 750-800 miliardi all’anno stimati dalla Commissione e dalla Bce necessari per investire in energia, difesa, digitalizzazione e R&S, senza considerare obiettivi importanti come l’adattamento climatico e la protezione ambientale.
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