Bilanci di sostenibilità, con l’algoritmo (e l’intelligenza artificiale) di Natù si compensa la CO2

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Natù è la startup che accompagna le Pmi nel percorso di decarbonizzazione, grazie a un software che calcola le emissioni

Non c’è nessun obbligo di legge, eppure sono sempre di più le Pmi che puntano sui «crediti di carbonio» per certificare l’impegno dell’azienda a compensare, almeno in parte, le proprie emissioni di CO2. E la creazione di nuove zone verdi è uno dei modi più utilizzati per «riparare» alle emissioni in eccesso causate dal business. Per ottenere questi risultati spesso le aziende si appoggiano a società di consulenza come Natù Esg, che si muove nel mercato dei crediti di carbonio volontari e dal 2021 ha già piantato oltre ventimila alberi in duecento comuni d’Italia. In programma ci sono altre ventimila piantumazioni nei dintorni di Roma e la startup arriverà, nei prossimi quattro anni, a piantare un totale di centomila nuovi alberi. Alcune grandi aziende che operano in specifici settori alto-inquinanti sono obbligate per legge ad acquistare crediti di carbonio, ma questi ultimi figurano anche nei bilanci sociali di molte Pmi. Per assisterle nel redigere questi documenti Natù ha creato Suityou! un software munito di intelligenza artificiale che, attraverso avanzati algoritmi, elabora i bilanci di sostenibilità e i report Ghg, cioè documenti che raccolgono dati sulle emissioni di gas serra delle imprese. Prima di tutto si seleziona il layout grafico, la lingua, e si risponde a delle domande a risposta multipla. Con queste informazioni il software elabora una prima bozza del documento in linea con la direttiva europea Csrd, infine azienda e consulente revisionano e riscrivono i testi, fino ad arrivare al prodotto finale.

L’importanza dei bilanci Esg

Con questo software Natù potrà offrire soluzioni avanzate a tutte le imprese, anche le Pmi, che si troveranno nei prossimi anni a dover adempiere agli obblighi della già citata Corporate Sustainability Reporting Directive. «Al momento le aziende redigono il bilancio sociale come un documento statico, noi lo rendiamo invece interattivo, con video del management aziendale e la possibilità di ricevere feedback da parte degli stakeholder — spiega Vincenzo Fusco, general manager che ha dato vita alla startup, dopo trent’anni nell’Arma dei Carabinieri, e che punta a un giro d’affari di 5 milioni di euro l’anno prossimo —. In questo modo il bilancio non serve solo per comunicare le buone pratiche, ma diventa uno strumento per migliorare tout court l’impresa». Secondo il fondatore di Natù, redigere il bilancio di sostenibilità non è un mero esercizio di rendicontazione ma vuol dire mettere in campo una strategia di sostenibilità anche economica, che permette all’azienda di sfruttare incentivi, diventare autonoma dal punto di vista energetico e migliorare la propria reputazione. «Spesso compilando questi report ci accorgiamo che alcune aree potrebbero essere gestite meglio in termini di emissioni di CO2, ad esempio. È vero che c’è sempre bisogno di un investimento iniziale, ma nel giro di qualche anno nella maggior parte dei casi le strategie per la decarbonizzazione rendono l’azienda effettivamente più efficiente — spiega l’imprenditore —. Se anche l’impresa non ne trae un vantaggio economico ma va in pari, guadagna in visibilità: il consumatore è sempre più attento ed è disponibile a pagare di più per la sostenibilità».




















































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L’aspetto più sottovalutato

Dei tre criteri alla base dell’acronimo Esg, ambiente, sfera sociale e governance, è quest’ultimo quello che le aziende al momento sottovalutano di più, specialmente le piccole e medie imprese che si affacciano da poco a questo mondo fatto di normative e incentivi europei: nella percezione delle imprese la sfera dell’organizzazione strutturale è meno bisognosa di investimenti rispetto all’impatto ambientale e sociale sui territori. L’aspetto legato alla «s» dell’acronimo è invece centrale per la stessa Natù, che porta avanti progetti di educazione ambientale per le scuole primarie. «Il lavoro nei piccoli comuni è quello più significativo. I bambini sono capaci di mettere i nostri esperti in difficoltà e ci lasciano a bocca aperta con domande come: “quante specie di alberi esistono al mondo?” oppure “che senso ha usare un termovalorizzatore se questo emette CO2 e quindi inquina di nuovo?”. Coinvolgiamo gli studenti nella creazione di piccoli boschi cittadini e collaboriamo con delle cooperative che si prendano cura degli alberi una volta finito il progetto», conclude Fusco.

16 dicembre 2024



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