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Sul progetto dell’impianto eolico offshore di Energia Wind che è tornato a suscitare le critiche degli albergatori riccionesi e la reazione di Legambiente (vedi notizia), interviene anche l’associazione Basta Plastica in Mare con una nota della sua presidente Manuela Fabbri. “Sull’industrializzazione del mare tra Rimini e Cattolica, agli amici di Legambiente diciamo: Stop alla retorica “rinnovabili”” scrive. L’associazione chiede poi alla politica di indire un referendum consultivo cittadino per capire cosa pensino i riminesi del progetto.

La nota di Basta Plastica in Mare Network

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Bando al negazionismo su crisi energetica e cambiamento climatico. Noi che da sempre ci occupiamo di ambiente veramente sostenibile, pretendiamo risparmio, ricerca, riuso, riduzione dei consumi con tecnologie diffuse e cooperative energetiche. Ma al bando anche la retorica sulle finte rinnovabili e alle frasi fatte “no nel mio giardino”, perché come sostiene Gianfranco Amendola, già magistrato sui diritti dell’ambiente: “locale è globale”. Tante le ragioni paravento su energia, e non solo, per coprire con pretesti di pubblica utilità la speculazione e i profitti. Quando oramai è sempre troppo tardi ne abbiamo le prove provate: se si sfrutta male la natura mai nulla potrà essere efficace a risolvere problemi, anzi ne crea altri ben più gravi.

Allora crediamo sia utile far capire a tutte le persone, anche non particolarmente interessate all’argomento “salute dell’ambiente”, cosa ricadrà per almeno 4 anni, sulla salute di ciascuno e sulle nostre città ospitali. Chiediamo a tutti di smetterla di stracciarsi le vesti unicamente sull’aspetto estetico del paesaggio: “Pensiate per favore, signore e signori, ai veri danni ecologici e alla salute: la mobilità, l’aria che respiriamo, la Co2, alla qualità della vita di figli e nipoti che costerà a tutti costruire quell’impianto. Agli enormi cavi, se sottoterra (come per legge) che scaveranno il mare, le strade e i parchi, fino alla centrale Terna di Coriano che distribuirà in rete l’energia prodotta per tutta l’Italia”. Pensiamoci tutti, sindaci e sindache compresi/e.

Cosa succederà prima ancora della messa a terra degli aerogeneratori (58 torri di 210 metri) intorno alle quali non può esserci alcuna navigazione? I nostri decisori – amministratori e politici a Roma – a nome e per conto di noi tutti cittadini, dovranno fare uno sforzo di immaginazione e saper prevedere cosa significhi avere terra e mare sotto assedio per almeno 4 anni (i tempi minimi per costruirlo). Coloro i quali già impazziscono per il traffico e si lamentano delle fila di auto, sanno forse cosa vuol dire trasportare enormi torri, pale, turbine e cavi, per gli aereogeneratori offshore? Strade, porti e mare invasi da scavi, tir e navi cargo per il trasporto. Invitati in Sardegna dalle associazioni sarde lo abbiamo visto pochi mesi fa, basta tuttavia navigare sul web per capire cosa stia succedendo nel Sulcis e ovunque attorno e dentro quell’isola stupenda, come anche in Puglia e Sicilia. E noi. Nell’Italia che lascia sfruttare i propri beni ambientali (non la Liguria per esempio).

E’ evidente quanto le associazioni ambientaliste locali nate dal basso, non quelle più note che godono di contributi statali, ovunque si oppongano. Nel nostro Adriatico è a ridosso di Agnes, il già approvato impianto offshore di Ravenna fino a Bellaria. Il progetto davanti a Rimini, Riccione, Cattolica, al quale il Ministro di destra ha creato facili vie di accesso, è di fine ‘900. Ha il benestare dell’allora giunta Bonaccini e ora il nuovo presidente de Pascale non dà migliori garanzie di attenzione al tema. Allora la domanda è: industrializzare il mare e farne pagare il costo ambientale ed economico alle risorse umane che operano nell’ospitalità, con le evidenti ricadute per gli anni della costruzione sulla qualità della vita dei cittadini tutti, è cosa buona e giusta?

Poiché si tratta di ipotecare il nostro immediato futuro oltre a quello dei nostri discendenti per almeno 60/100 anni – sulla rimozione quando sarà obsoleto, non si sa – non è forse questo il momento di ragionare se sia il caso di ascoltare l’opinione dei cittadini/azionisti, trattandosi di bene comune (il mare è demanio pubblico, ripetiamo)… e affinché la politica se ne faccia carico, proporre un referendum consultivo cittadino, replicato nelle tre città da sud a nord (Cattolica, Riccione, Rimini)?





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