Sistemi pensionistici a rischio con l’invecchiamento della popolazione*

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L’invecchiamento della popolazione mette a rischio la sostenibilità del sistema pensionistico. Occorre incentivare il prolungamento dell’attività lavorativa e controllare meglio le uscite anticipate. In più servono politiche di sostegno alla natalità.

Un problema comune a molti paesi europei

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In un sistema pensionistico a ripartizione (pay-as-you-go), le pensioni erogate in un determinato periodo sono finanziate principalmente dai contributi versati dai lavoratori in quel momento attivi. Anche quando vengono adottate formule di calcolo attuariali, che tengono conto della probabilità di eventi futuri e del valore del denaro nel tempo, o formule contributive, in cui l’importo della pensione dipende dai contributi effettivamente versati e capitalizzati, in un sistema di questo tipo non si può eliminare completamente il rischio legato al vincolo di risorse disponibili nell’economia corrente.

I sistemi a ripartizione, utilizzati oggi nella stragrande maggioranza dei regimi previdenziali pubblici obbligatori, si basano su un equilibrio generazionale e su una dipendenza dai contributi correnti che li rende vulnerabili ai cambiamenti demografici.

Se l’importo delle prestazioni erogate supera i contributi versati da lavoratori e imprese si determina uno squilibrio strutturale che deve essere compensato, generalmente attraverso trasferimenti a carico della fiscalità generale. Lo squilibrio può derivare dalla generosità delle prestazioni, per esempio quando sono determinate con il metodo retributivo e quindi slegate dall’entità dei contributi versati dal lavoratore. Ma lo squilibrio si genera soprattutto con l’invecchiamento demografico, quando si registra un aumento delle prestazioni pensionistiche da pagare non controbilanciato da un incremento della contribuzione. L’invecchiamento della popolazione, che si associa a un aumento dell’età mediana e a una riduzione del numero di persone in età lavorativa, è oggi il principale fattore di rischio per la sostenibilità dei sistemi pensionistici di tutta l’Unione europea.

La situazione in Italia

Come si posiziona l’Italia rispetto agli altri paesi dell’Unione in termini di invecchiamento della popolazione? Siamo uno dei paesi più “vecchi” dell’Unione europea, insieme ad altri stati – come la Germania, la Grecia e il Portogallo – che si trovano ad affrontare sfide simili.

Il 1° gennaio 2023 l’età mediana della popolazione dell’Unione europea ha raggiunto i 44,5 anni: significa che metà della popolazione europea aveva più di 44,5 anni e l’altra metà meno di questa soglia. In venti anni, la mediana è aumentata di 5,2 anni (di tre mesi l’anno, in media), da 39,3 anni nel 2004. I paesi con età mediana più bassa, sotto i 40 anni, sono Cipro, l’Irlanda e il Lussemburgo. L’Italia è effettivamente il paese con l’età mediana più elevata (48,4 anni), ma valori superiori alla media si riscontrano anche in Germania (45,4 anni), Grecia (46,5 anni) e Portogallo (47 anni). Negli ultimi cinque anni, la mediana è cresciuta in tutti i paesi europei; fanno eccezione solo Germania e Svezia, dove è rimasta invariata, e Malta, dove è diminuita di un anno. In Italia, Grecia e Spagna l’aumento è stato di circa due anni.

Calo della natalità e aumento della speranza di vita

All’aumento dell’età mediana hanno contribuito il calo della fecondità da una parte, e l’aumento della speranza di vita dall’altra (grafico 1), non compensati da una maggiore immigrazione. Nel 2022, l’ultimo anno per cui vi sono dati confrontabili, nell’Unione europea i nati sono stati 3,88 milioni rispetto ai 4,09 milioni del 2021, continuando la flessione cominciata nel 2008, quando i nati furono 4,68 milioni. Nel complesso, il tasso di fecondità, inteso come numero di figli nati in media per ogni donna durante l’età fertile, è stato di 1,46 figli per donna, il valore più basso dal 2004. La Francia ha registrato la fecondità più elevata (1,79), seguita da Romania (1,71) e Bulgaria (1,65). La più bassa è stata riscontrata a Malta (1,08), in Spagna (1,16) e in Italia (1,24).

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Per quanto riguarda la speranza di vita a 65 anni, nel 2023 la media europea è stata pari a 20,2 anni (21,9 per le donne e 18,5 per gli uomini). Il valore più elevato è stato registrato in Spagna e Francia (22 anni), segue l’Italia (21,5 anni), mentre il valore più basso è in Bulgaria (16,7 anni).

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In base alle previsioni Eurostat, il tasso di fecondità europeo aumenterà leggermente, anche se molto lentamente: secondo le stime raggiungerà il valore di 1,62 figli per donna nel 2070, un livello comunque ben al di sotto della soglia di 2,1 figli per donna, ritenuto necessario per mantenere stabile la popolazione. Aumenterà anche la speranza di vita a 65 anni, di 4,8 anni per le donne e 5,1 anni per gli uomini, con una seppur lieve riduzione del divario di genere. A compensare l’effetto di questi due fattori sulla struttura demografica della popolazione non saranno sufficienti i flussi migratori. È infatti previsto un tasso netto di migrazione positivo per tutti i paesi dell’Ue, ma la stima è che da qui al 2070 si attesti su un valore medio annuo dello 0,3 per cento della popolazione.

Perché è a rischio l’equilibrio del sistema

Alla luce di queste ipotesi, la previsione è di un forte aumento del tasso di dipendenza, ovvero del rapporto tra soggetti con più di 64 anni e soggetti con un’età compresa tra i 20 e i 64 anni (grafico 2). Nel 2022, quello medio dell’Unione europea è stato pari al 36 per cento, corrispondente a circa tre giovani per un anziano. I valori più elevati sono stati registrati in Italia (41 per cento) e Portogallo (41,2 per cento), quello più basso in Irlanda (25,8 per cento).

Le stime relative all’andamento di fecondità, speranza di vita e flussi migratori fanno presagire un aumento del rapporto e, quindi, un peggioramento di quello tra pensionati e contribuenti, con rischi evidenti per l’equilibrio del sistema previdenziale, soprattutto in presenza di livelli di spesa previdenziale di per sé elevati.

* Il tasso di dipendenza in questo grafico è pari al rapporto tra soggetti con oltre 64 anni e soggetti con un’età ricompresa tra i 20 e i 64 anni.
Fonte: Eurostat.

La spesa italiana per trattamenti previdenziali al lordo dell’imposizione fiscale è storicamente superiore alla media sia europea che dei paesi Ocse. Nel 2021, l’ultimo anno per cui vi sono dati confrontabili, si è attestata al 16,3 per cento del prodotto interno lordo, inferiore solo a quella della Grecia, contro una media europea del 12,9 per cento (grafico 3). In base alle previsioni Eurostat che tengono conto della struttura demografica della popolazione e della sua speranza di vita, si stima che la spesa pensionistica italiana in rapporto al Pil crescerà ulteriormente nel prossimo decennio, per poi scendere e avvicinarsi alla media europea intorno al 2065.

* Ultimo anno per cui sono disponibili dati comparabili tra paesi europei.
Fonte: Eurostat, Esspross dataset.

L’elevato livello di spesa per pensioni riflette due caratteristiche del sistema previdenziale italiano. La prima riguarda l’età di pensionamento: nonostante quella per l’accesso alla pensione di vecchiaia sia a 67 anni, il livello più alto nell’Unione europea, l’età effettiva di pensionamento si attesta a 64,2, a causa di numerosi canali di uscita anticipata dal mercato del lavoro (grafico 4).

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Grafico 4 – Età di pensionamento e tasso di sostituzione pensione-salario* (2023)

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Il tasso di sostituzione in Italia

Secondo, la generosità del sistema, che può essere misurata in termini di tasso di sostituzione delle pensioni, ovvero di rapporto tra pensione e ultimo stipendio percepito. Si tratta di una misura del potere d’acquisto una volta terminata la vita lavorativa che riflette l’efficacia di un sistema di previdenza nel fornire un reddito pensionistico in sostituzione di quello da lavoro. In Italia il tasso di sostituzione è stimato intorno al 59 per cento in media. Rimane tra i più elevati dell’Unione europea (quasi 14 punti percentuali sopra la media – grafico 4), nonostante la diminuzione registrata negli ultimi anni, riconducibile alle riforme adottate a partire dagli anni Novanta, che tuttavia sono state attuate gradualmente, e quindi l’effetto del passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo iniziando a farsi notare solo ora.

Come prevedibile, la spesa in rapporto al Pil è crescente nel tasso di sostituzione (grafico 5), per cui nei paesi meno generosi, dove la pensione è una frazione contenuta del salario, la spesa in rapporto al Pil è più bassa.

* I tassi di sostituzione e la spesa su Pil sono previsioni basate su scenari futuri costruiti a partire da proiezioni demografiche e macroeconomiche che hanno come riferimento le stime Europop2023 di Eurostat sull’andamento della popolazione nei paesi europei.
Fonte: European Commission, “2024 Ageing Report. Economic & Budgetary Projections for the EU Member States (2022-2070)”. Institutional Paper 279; April 2024.

Come garantire la sostenibilità del sistema

In conclusione, la sostenibilità del sistema pensionistico a ripartizione in Italia, come in molti altri paesi dell’Unione europea, è sempre più minacciata dall’invecchiamento della popolazione e dall’aumento del tasso di dipendenza. L’attuale configurazione del sistema pensionistico italiano, caratterizzato da spesa elevata rispetto al Pil, età di pensionamento effettiva bassa e tassi di sostituzione alti, rappresenta una sfida strutturale per le finanze pubbliche.

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Le riforme già attuate, con il progressivo passaggio al sistema contributivo, costituiscono un passo avanti, ma non bastano a garantire l’equilibrio a lungo termine. Sarà fondamentale un rafforzamento delle misure che incentivano la permanenza nel mercato del lavoro e promuovono una maggiore equità generazionale, unitamente a politiche che affrontino le sfide demografiche e l’adeguamento del sistema pensionistico, a partire dal graduale aumento dell’età effettiva di pensionamento e dal contenimento delle uscite anticipate, insieme a strategie per sostenere la natalità e attrarre forza lavoro qualificata.

Affrontare tempestivamente queste sfide contribuirà non solo alla stabilità finanziaria del sistema previdenziale, ma anche a una redistribuzione più sostenibile del carico fiscale e previdenziale tra le generazioni.

* L’articolo esce in contemporanea su Menabò di Etica ed Economia.

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