M5S, Conte torna grillino e protesta per gli aumenti agli stipendi dei ministri – Il Tempo

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La paura di essere sorpassato, sul terreno dell’antipolitica, dal Pd di Elly Schlein, da Avs capeggiata da Ilaria Salis e dallo stesso Beppe Grillo. Il Giuseppe Conte paladino del populismo rosso ha messo in soffitta la versione «di governo» del capo dei capi grillino. Che ha sparato a zero contro la maggioranza di centrodestra. «Pensate: hanno presentato un emendamento per aumentare lo stipendio di ministri, viceministri e sottosegretari. Ma come fanno a non vergognarsi? – si è chiesto, in un post su Facebook, il leader Maximo dei Cinque Stelle -. Ma in che mondo vivono?». Il riferimento è al famigerato aumento (o forse sarebbe il caso di definirla equiparazione) degli stipendi dei ministri non parlamentari, dei sottosegretari e dei viceministri. Un emendamento inserito nella legge di bilancio, che ha sollevato un vespaio di polemiche.

 

 

Partiamo col fare chiarezza: vi sono, come previsto dalla legge, due tipologie di responsabili dei dicasteri. Una parte di questi importanti funzionari dello Stato vengono scelti tra gli esponenti politici che, prima delle elezioni, si sono presentati ai cittadini e hanno ottenuto un numero sufficiente di voti per entrare in Parlamento. Ma membri dell’esecutivo si può diventare anche senza essere deputati o senatori; l’esempio classico è rappresentato da quei tecnici che, pur avendo un orientamento politico, non hanno mai voluto affrancarsi a questo o quel partito. Eppure, proprio per le loro elevate competenze in ambito economico, medico o giuridico (solo per fare alcuni esempi) rappresentato la scelta migliore per guidare un ministero. E per assumersi responsabilità gravose. Ecco, tra le due categorie di ministri vi è una sostanziosa differenza di retribuzione. Se la norma dovesse passare ai ministri interessati spetterebbe non più solo l’indennità (già uguale per tutti) ma anche le altre voci che compongono lo stipendio dei membri di Camera e Senato, come ad esempio la diaria e i rimborsi spese per l’esercizio del mandato. Si tratta, nello specifico, di otto ministri e una decina tra viceministri e sottosegretari i membri dell’esecutivo a cui andrebbe adeguato il trattamento economico per parificarlo a quello dei colleghi eletti. Il costo complessivo della misura, secondo quanto stimato nel testo dell’emendamento, è pari a 1,3 milioni di euro l’anno. Un emendamento finito, come era prevedibile, nel tritacarne mediatico.

 

 

«Sarà il Parlamento a decidere. Nella mia vita non ho mai fatto nessuna scelta per motivi economici – ha sottolineato il ministro della Salute Orazio Schillaci, a margine della sua partecipazione ad Atreju -. Continuerò a non fare scelte per motivi economici, ma a fare ciò che mi piace fare. Non ho mai guardato al guadagno come la cosa più importante». Le opposizioni si sono gettate all’attacco su un tema oggettivamente di non immediata comprensione per il cittadino medio. «L’emendamento che aumenta stipendi a ministri e sottosegretari è indecente – ha sottolineato Marco Grimaldi, di Avs -. L’emergenza salariale è il problema più grande del Paese ma per il governo lo è solo se si parla dei ministri e sottosegretari non deputati. Non hanno senso del ridicolo». Al centro del dibattito anche la cosiddetta norma “anti Renzi”. Il divieto cioè di avere incarichi retribuiti fuori dall’Unione Europea per i componenti di governo e i parlamentari, europarlamentari e governatori. «In caso di inosservanza del divieto», si legge nella norma, «ferma ogni diversa responsabilità dei soggetti interessati, il compenso percepito deve essere versato, a cura del percettore, entro trenta giorni dall’erogazione, all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnato al fondo di ammortamento dei titoli di Stato». Se questo versamento non avviene, «si applica una sanzioneamministrativa pecuniaria di importo pari al compenso percepito». Il leader di Italia Viva, in un’intervista rilasciata ieri al Corriere della Sera, ha puntato il dito contro il governo. «Tutti sanno che questa è una norma ad personam, perché sono rientrato nel centrosinistra. E Meloni ha paura che il nostro 2-3% sia decisivo».

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