Bergamo, 16 dicembre 2024 – È provincia ma non sembra. Per chi vi è nato, Bergamo è un mondo intero. Qui si fanno soldi, da sempre, da quando c’era Venezia e anche prima, ma non solo per fare soldi. Qui ci sono anche le librerie o il teatro Donizetti e l’Accademia Carrara: due istituzioni culturali del Paese, non della Lombardia. C’è l’Istituto Mario Negri, che ha scritto alcune delle pagine più importanti della ricerca medica in Italia, un’università con otto dipartimenti, da ingegneria a Scienza umane, un ospedale, Il Papa Giovanni XXIII (già, Roncalli, bergamasco pure lui) che è un’eccellenza riconosciuta. Ma poi ci sono anche le Orobie, dove una campionessa come Sofia Goggia ha imparato a stare sugli sci, e il verde, tantissimo e bellissimo, i tramonti visti dall’alto verso la piana brumosa, le cime innevate, le valli, la pace del silenzio. In fondo Milano, la metropoli, un po’ antagonista ma sotto sotto la grande alleata: sta a un’ora di macchina dal capoluogo, altrettanto di treno. In mezzo la Città infinita di bonomiana memoria dove sorgono imprese, a migliaia, e trova posto la fatica ma anche il benessere, tanto, visibile ma non esibito.
E poi c’è l’orgoglio, forte, radicato, questo sì addirittura ostentato. Di certo custodito. E l’Atalanta, che da un po’ di stagioni fa sognare anche in Europa: qui è religione, non a caso il nome è preso in prestito da una dea e lo storico capo ultras presta il volto al Cristo nell’affresco della chiesa di San Giovanni XXIII. Basta poi scorrere i nomi delle personalità che vi abitano, o che vi lavorano, per capire che la classifica del Sole 24 Ore che ha incoronato Bergamo “regina“ per qualità della vita in Italia è addirittura in ritardo.
Il primo a non stupirsi, con quel sano orgoglio orobico che gli scorre nel sangue, è Giuseppe Remuzzi, uno dei migliori ricercatori italiani, alla guida del Mario Negri dal 2018: «Il primo posto in classifica non mi stupisce, innanzitutto perché Bergamo è bellissima: case stupende, non ce ne è una brutta, tramonti mozzafiato. E poi vi si respira un’attività culturale di prim’ordine. Poi qui ha sede un ospedale, che dagli anni Sessanta è diventato un grande ospedale grazie a un’idea semplice ma molto innovativa: attrarre i migliori primari da tutto il mondo, dal Texas a Trieste. È per questo che l’ospedale di Bergamo non è quello di Novara o di Mantova: quando lo dico si offendono, ma è così. Poi, è brutto che lo debba dire io, ma c’è il Mario Negri, che ha attirato e attira in città persone che non sapevano nemmeno dove fosse Bergamo. E poi l’Atalanta, la cultura d’impresa… La forza dei bergamaschi? Lavorare tanto e parlare poco».
«A Bergamo abbiamo tutto, per me è il top» dice la sciatrice Sofia Goggia. Anche a Nando Pagnoncelli, uno che di numeri se ne intende, quel primo posto torna eccome: «Questo è il risultato del cambiamento che ha vissuto il nostro territorio negli ultimi 10 anni. Protagonisti sono stati anche i cittadini che fino a qualche anno fa mostravano qualche resistenza ai processi di cambiamento ma ora non più. E poi una concomitanza di fattori di dati oggettivi che incrociano aspetti economico-sociali e, perché no, anche sportivi. Il Covid? Certamente la voglia di riscatto ha inciso ma anche tratti identitari forti della “bergamaschità“: il rimboccarsi le maniche, la laboriosità, che qui è tipica».
Antonio Percassi, presidente del Gruppo Percassi e dell’Atalanta, si dice «entusiasta» del risultato. «L’amministrazione Comunale ha saputo migliorare tantissimo la città, dopo il periodo buio del Covid, che ha unito ancora di più la cittadinanza. L’Atalanta è molto amata dai nostri concittadini e siamo fieri di aver raggiunto questi risultati, prima inimmaginabili, portando il team orobico in Europa», spiega. Orgoglioso anche lui. Andrea Fabris, dg dell’Atalanta, vicentino adottato dalle Orobie, la pensa allo stesso modo: «Bergamo è una città molto viva, con imprenditori aperti all’innovazione e all’avanguardia, ma anche vicini alla città. Come sono i bergamaschi? Hanno competenza, dedizione al lavoro, e umiltà».
E se parli di Comune non puoi non pensare a Giorgio Gori, sindaco per dieci anni, oggi europarlamentare Pd: «Ho ricevuto molti messaggi da tanti concittadini che mi hanno ringraziato del lavoro fatto, ma io non mi prenderei eccessivi meriti: il risultato è della comunità bergamasca, in cui la pandemia ha prodotto una reazione partendo dai propri fondamentali: etica del lavoro e forte senso della comunità. Molti risultati vengono da lì, dall’idea di rimetterci in piedi e di togliere dalla testa della gente l’idea che fossimo solo la capitale della pandemia. Il fatto poi che il podio sia condiviso con Trento e Bolzano ci dice qualcosa: forse che oggi si vive in generale meglio nelle città di medie dimensioni». Il risultato, per la sindaca Elena Carnevali, «È senza dubbio il frutto di un lungo e intenso lavoro in cui il territorio bergamasco ha saputo reagire con coraggio, guardando avanti e facendo del ‘’sistema Bergamo’’ – ovvero la capacità di collaborare tra istituzioni, associazioni, terzo settore e mondo dell’impresa – un modello virtuoso per condividere obiettivi comuni».
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