Articolo tratto dal numero di dicembre 2024 di Forbes Italia. Abbonati!
Una manager francese poliglotta arrivata in Italia con il programma universitario Erasmus per studiare la lingua. Ma con il nostro Paese è stato amore a prima vista, tanto che Erika Le Noan, presidente di Dammann Frères, leader nel settore del tè e degli infusi, controllato dal Polo del Gusto di Riccardo Illy, è entrata nel gruppo triestino da giovanissima (da stagista) e non è più uscita, salendo tutti i gradini della carriera di manager.
“Sono 30 anni che lavoro per gli italiani e devo dire che, se non fossi felicissima io per prima, non sarei rimasta”, conferma. “Adoro l’Italia, adoro la cultura italiana, ho sposato un italiano, le mie figlie Clara e Stella hanno un cognome italiano e doppia nazionalità. L’Italia per me è stata una scoperta. Ero culturalmente orientata verso la Spagna, però l’Italia è un paese straordinario con una cultura profonda. Mi piace tantissimo la capacità degli italiani di sposare il bello e il buono ed è esattamente quello che tutte le aziende del Polo del Gusto hanno nei loro prodotti, che sono buoni e belli. Riccardo Illy ha scelto di selezionare solo prodotti di grande qualità, belli da vedere grazie allo stile del packaging e, oltre alla bellezza estetica, hanno anche una bellezza etica, che è la ragione per la quale abbiamo grande attenzione alla sostenibilità”.
Bene, presidente Le Noan, cominciamo con una fotografia della Dammann Frères.
Dammann è nata in Francia e l’80% del suo fatturato è francese, mentre l’altro 20% proviene dall’export. Siamo presenti in 70 paesi e abbiamo 33 boutique. L’Italia per fatturato è seconda dopo la Francia. Abbiamo iniziato a lavorare sul mercato italiano da un paio d’anni, stiamo accelerando e riscontriamo un grandissimo interesse nonostante l’Italia sia un Paese storicamente amante del caffè. Ma ogni italiano, quando ama un prodotto, ama la sua qualità e quindi Dammann offre un’alternativa con tantissime scelte. Abbiamo più di 350 tipi di tè o infusi. Ogni anno guadagniamo una fetta di mercato, tanto che oltre alla boutique che abbiamo a Milano dal 2012, nel marzo scorso ne abbiamo aperta un’altra a Torino.
Ora parliamo un po’ di lei. Come nasce il suo rapporto personale con l’Italia e, ovviamente, anche con Dammann Frères?
Ho sempre sognato di fare una carriera internazionale. Sono nata in Spagna, però sono cresciuta in Francia da papà francese e madre spagnola. Ho una doppia cultura, una cultura piuttosto latina, e facilità a imparare le lingue straniere. A scuola ho fatto tedesco come tutti i francesi, poi latino e inglese, e ovviamente parlavo spagnolo.
In Italia come è arrivata?
A 18 anni ho deciso di prendere la valigia, di partire alla scoperta di un altro paese. Sono andata negli Stati Uniti, a Los Angeles, dove ho fatto un anno scolastico e poi quando sono tornata a Parigi ho fatto una business school durante la quale c’era la possibilità di un programma Erasmus. Volevo imparare un’altra lingua ed ero indecisa tra Grecia e Italia. La business school che frequentavo aveva un accordo con il master in international business di Trieste. Ho sempre avuto un’attrazione per i paesi latini, quindi ho detto: l’italiano è una bellissima lingua, vado lì. Così sono arrivata a Trieste.
Come è cominciata la sua carriera da manager?
Mi sono innamorata di Trieste, dove volevo rimanere più a lungo possibile. Ho cercato un’azienda per fare uno stage: quell’azienda era Illy Caffè. Durante lo stage mi hanno chiesto se volevo lavorare per loro nella filiale francese a Parigi, dove ho cominciato come responsabile amministrativo-finanziario. Quindi questo è stato il mio primo lavoro. Un lavoro importante. Praticamente mi hanno dato le chiave della filiale che poi è diventata non solo filiale della Francia, ma anche del Belgio e del Lussemburgo. A poco a poco il direttore generale dell’epoca mi ha dato anche la responsabilità della parte commerciale per la grande distribuzione. Alla fine sono diventata direttore generale aggiunto, finché il direttore generale, nel 2008, è andato in pensione e io ho preso il suo posto di direttore generale per Francia, Belgio e Lussemburgo e per un breve periodo per Algeria e Marocco. Insomma sono diventata la general manager per il caffè finché, nel 2018, il gruppo Illy mi ha chiesto se ero interessata a prendere il posto di presidente di Dammann Frères perché il presidente francese andava in pensione. Ed eccomi ancora qui.
Dal caffè al tè. Che differenza fa?
Dammann Frères è una casa che commercializza tè e piante da infusione. Si trova a Dreux, a 80 chilometri da Parigi. Adoro il settore del caffè ed ero felicissima in filiale, ma come manager ho avuto l’opportunità di allargare le mie competenze ed esperienze perché Dammann è più che una filiale, è la sede, quindi oggi supervisiono tutti i reparti, dall’acquisto delle materie prime al sito di produzione o alla commercializzazione dei prodotti in tutto il mondo.
Il tè in alcuni paesi, come la Gran Bretagna soprattutto, ma anche come la Germania, è quasi uno stile di vita. In Italia invece che cos’è secondo lei?
L’Italia non può essere paragonata all’Inghilterra che per secoli ha avuto il controllo di paesi come l’India da cui ha importato questa cultura. In Italia c’è un’antica cultura del caffè, un po’ come in Francia. Non possiamo cambiare la storia. Però gli italiani hanno una sensibilità gastronomica molto più sviluppata, molto raffinata. Perciò sono sicura che Dammann possa fare molta strada in Italia.
A proposito di strada. Dammann Frères ne ha fatta molta, è un’azienda antichissima.
Oh, sì. Ha quasi 200 anni di vita. È stata fondata nel 1825, ma sono state ritrovate tracce di un ‘Sieur Damame’ che aveva l’esclusiva delle importazioni di prodotti esotici coloniali già nel 1692. Abbiamo un documento che dimostra che il re Luigi XIV aveva dato a questo Sieur Dammann la possibilità di importare tè.
E sono 200 anni che Dammann fa sempre lo stesso lavoro?
Sì, ha essenzialmente sempre fatto questo mestiere di cercare i migliori tè, mentre le piante per infusione sono arrivate dopo.
Come va il mercato del tè e degli infusi?
Direi che un po’ come tutte le bevande calde dal tempo del Covid, quando tutti i clienti horeca erano chiusi, il tè fa un po’ fatica. Non si è ancora definitivamente ripreso, dopo anni di espansione. Anche noi abbiamo sofferto. Dopo il Covid c’è stata l’inflazione, difficoltà ad approvvigionarsi per i problemi nel Canale di Suez. Insomma non sono stati anni facili per il settore. Per fortuna Dammann Frères sta andando controcorrente: già dal 2021 cresciamo ogni anno di circa l’8%.
I vostri possono essere considerati prodotti di lusso?
Sì, i nostri prodotti possono essere considerati di lusso se facciamo un paragone con altre marche: siamo più cari perché abbiamo una qualità superiore. Nel settore del tè siamo un lusso, ma un lusso accessibile, perché alla fine non possiamo dire che una tazza di tè che costa tra 12 e 40 centesimi possa essere considerata come un grande lusso. Non è un Rolex, però diciamo che si trovano prodotti più accessibili del nostro. D’altra parte abbiamo fatto la scelta di puntare sulla qualità. E poi facciamo tutto da noi. Da molti anni ormai abbiamo fatto la scelta di comprare direttamente nei paesi produttori e di importare e analizzare tutti i lotti e di fare noi stessi tutti i blend, tutte le miscele. Abbiamo anche la particolarità di avere dei gran cru. E soprattutto abbiamo un know-how che abbiamo coltivato durante anni e anni e che passa da una generazione a un’altra e questo fa la differenza.
All’inizio parlava di 350 prodotti diversi tra tè e infusi.
Nel catalogo ufficiale ci sono 350 articoli: tè classico, gran cru, tè aromatizzato, tè naturale, infusione come la camomilla. È una quantità assolutamente enorme. Penso che sia una delle scelte più ampie che si possano trovare sul mercato. Dammann produce ogni anno più di 1.000 tonnellate di tè, che corrispondono più o meno a 140 milioni di bustine e tè sfuso.
Visto il settore dove operate, la sostenibilità deve essere un impegno importante.
Da parte dei nostri azionisti c’è una grande sensibilità a tutto ciò che riguarda la sostenibilità e quindi da quando sono arrivata in Dammann una delle missioni che Riccardo Illy mi ha dato è quella di accompagnare la trasformazione di Dammann Frères in una società benefit. A partire dal 2022 abbiamo costruito il programma per diventare una benefit corporation. Nel 2023 abbiamo cambiato gli statuti, siamo diventati una entreprise à mission (l’equivalente della società benefit in Italia, ndr) e quindi adesso abbiamo un programma sul quale avremo un audit dal governo francese. Abbiamo un obiettivo: coltivare il legame tra la natura e gli esseri umani per una qualità di vita superiore. Tutti i nostri impegni per la sostenibilità sono chiaramente espressi in un rapporto annuale chiamato Leaf & Life.
Avete anche un progetto verso la natura?
Abbiamo un secondo impegno che è quello della trasmissione del nostro know-how: credo che trasmettere la nostra sensibilità verso le piante può far capire all’essere umano l’importanza di proteggere la natura e quindi questo ruolo di intermediario che Dammann svolge deve essere assolutamente coltivato. Per questo abbiamo creato l’Accademia del Tè, dove spieghiamo sia ai produttori che ai consumatori come essere attenti alla natura. Il terzo impegno che abbiamo in questo programma Leaf & Life per la sostenibilità è quello di essere un’azienda che dà l’esempio e quindi impegnata, che fa il suo bilancio sociale – ad esempio il bilancio di carbonio – e che lavora per ridurre gli imballaggi e renderli riciclabili.
Il prossimo step?
Il prossimo step è quello di diventare un’azienda B-corp. Per fare questo bisogna prima trasformare il sito di produzione in un sito più virtuoso. Stiamo costruendo un nuovo sito certificato con l’energia, cioè i pannelli fotovoltaici, con la pompa a calore, quindi tutta l’energia rinnovabile che non abbiamo oggi l’avremo l’anno prossimo. Il nuovo sito sarà certificato Breeam (certificazione internazionale per la sostenibilità, ambientale e sociale).
Avete avuto un supporto importante da Idia Capital Investissement – attraverso il suo nuovo fondo Ambition Agri Agro Investissement – e Crédit Agricole Régions Investissement (Carvest). Cosa avete fatto, come lo avete utilizzato?
È un supporto importante: investiremo 36 milioni di euro nella realizzazione del nuovo stabilimento e della sede di Dammann Frères. Ambition è un fondo verde e quindi ha richieste stringenti per la sostenibilità. Trasferiremo la produzione nel nuovo stabilimento l’anno prossimo, a 200 anni esatti dalla nascita della società.
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