Chiarastella Raimondi. Dalla crisi alla possibile rinascita.

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IL RACCONTO DI CHIARASTELLA

 

4 anni fa una mia carissima docente del Conservatorio, verde di rabbia dal fatto che io avessi cambiato classe, si permise per l’ultima volta di mortificarmi facendo la caricatura dei miei attacchi di ansia che mi facevano bloccare ogni volta che facevo un esercizio, forte del fatto che io fossi assente e forse anche convinta che nessuno sarebbe venuto a dirmelo.

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Peccato che non si sia mai chiesta se le sue “battutine” che autorizzavano le risatine dei compagni alle mie spalle fossero umilianti e mortificanti e se il fatto di aver detto che ero stata promossa per poi risultare tutt’altro e tutte le ore di lezione passate invano ad aspettarla durante la pandemia facessero di lei una frustrata decisamente non professionale.

Del resto, non credo che chiamare “Ciuccio” o “Pecora nera” una persona che parte da una posizione svantaggiata o sbuffare mentre sta ripetendo un esercizio sia una cosa gratificante per l’autostima.

Poi ti accorgi che al Conservatorio si corre, che capire ed imparare velocemente è necessario altrimenti ti attacchi al tram, e quindi ad un certo punto sei talmente sotto pressione da perdere il piacere di fare ciò che amavi e prendere la dolorosa decisione di fermarti per prenderti cura di te, anche perché sei fresca di laurea e hai giustamente un tracollo, soprattutto se tale riconoscimento è stato conseguito affrontando una serie di difficoltà legate alla pandemia, visto che la tua regione è in zona rossa e fare il tirocinio ed incontrare la tua Relatrice diventa impossibile.

Del resto, io volevo solo imparare ad accompagnarmi mentre canto, non diventare Chopin. Tra l’altro, mia madre aveva segnalato il soggetto in questione a chi di dovere, ma allora non venne fatto nulla in merito.

Finché, dopo il problema di salute degli ultimi mesi (causa avvelenamento da farmaco) e la perdita di mia nonna, decido che, una volta disintossicata e recuperate un minimo di energie fisiche e mentali, ero pronta a riprendere ciò che avevo lasciato.

La musica sarebbe stata ancora una volta la chiave per reagire, era una necessità, e così chiedo a mia madre di informarsi per trovare una scuola di musica dove iniziare a riprendere lezioni di pianoforte.

Grazie a mio zio ho avuto la fortuna di incontrare un’insegnante che ha fatto la differenza e che mi sta facendo capire che non ero io il problema, ma che non esiste un metodo di insegnamento che sia uguale per tutti, e con mia sorpresa mi sono ritrovata a diventare una delle alunne più veloci della classe, cosa che un po’ quasi mi spaventa perché non vorrei aver aumentato le aspettative, ma che in compenso mi sta aiutando non a superare, ma sicuramente ad affrontare quella paura di sbagliare che quella professoressa mi aveva fatto provare per tanti anni, impedendomi di mettermi in gioco e di cogliere delle occasioni che non riguardavano solo la musica, ma la vita in generale.

Un tempo di fronte ad un ostacolo mi sarei fermata, senza provarci neanche, adesso invece sto cercando di vivere con serenità il fatto che io possa sbagliare senza puntarmi il dito da sola e soprattutto senza pensare che questo sia la fine del mondo.

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Mentirei se dicessi di esserci riuscita, ma ci sto provando, ed è già qualcosa, e va bene così perché in fondo ho appena iniziato, quindi devo “solo” avere un po’ di pazienza, una cosa che mi costa non poco per una come me che vuole avere tutto sotto controllo e non sa ancora lasciarsi andare; intanto, ieri mi sono esibita in pubblico per la prima volta, e questa volta non come cantante ma dietro la tastiera.

Una bella rivincita con la vita e un balsamo per l’autostima per la sottoscritta, che sta finalmente ricominciando a sentirsi più intelligente.

Forse un giorno riuscirò a chiedere il massimo da me stessa invece di pretenderlo e di essere così severa, intanto ricomincio a rimettermi in gioco poco alla volta grazie a questi nuovi stimoli, spinta dalla curiosità di mettermi anche da sola nel mio garage a studiare un po’ di accordi per il semplice piacere di farlo per me stessa come una persona che ha ripreso a suonare da un paio di mesi che sa di avere ancora molto da imparare con impegno, umiltà, curiosità e voglia di mettersi in gioco.

Questo per dire che, anche se ho avuto la fortuna di avere accanto delle persone che hanno creduto in me (e non è affatto una cosa scontata), nei momenti difficili è anche necessario trovare una passione a cui aggrapparsi in modo tale da trovare un proprio rifugio in quelle situazioni in cui non si ha voglia di parlare, che la musica è molto di più che un semplice intrattenimento per chi la vive e non si limita a sentirla, ma ad ascoltarla, ed è per questo che i ragazzi andrebbero avvicinati al mondo dell’arte, in tutte le sue forme.

Perché l’arte non è una perdita di tempo, ma è ciò che dà colore al mondo con tutte le sue sfumature.

E, infine, che a volte basta un solo insegnante per fare la differenza nella tua vita, nel bene e nel male; perché tutti possono insegnare, ma pochi sanno insegnare. Le parole hanno un peso, vanno usate responsabilmente, e quando un docente riesce a tirare fuori il meglio da quella persona che si è rassegnata o che è stata sminuita, dimostrando che nessuno è stupido.

Bisogna semplicemente saper parlare il suo linguaggio, proprio come ad ogni chiave corrisponde una sua serratura.

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E capire quando è necessario fermarsi per mettere in ordine le idee, prendere le distanze da ciò che ci mette negatività e riconoscere quando si sta male e si ha bisogno di aiuto, senza alcuna vergogna.

Spesso, chi ha un momento di crisi ha paura di essere giudicato ed incompreso, e spero che qualcuno possa iniziare a drizzare di più le antenne e a capire che senza empatia verso il prossimo non si può essere in grado di cogliere certi segnali.

Perché non sempre chi sta male è quello che vedi tutti i giorni con il musone, perché questa società ci ha trasmesso questa concezione tossica dell’ottimismo a tutti i costi, ma vedere il lato positivo delle cose non significa reprimere le proprie sofferenze e fingere che vada tutto bene, bensì guardare il lato buono della situazione (se c’è) nonostante i problemi, che vanno riconosciuti.

Nessun desiderio di commiserazione, quindi, ma solo una presa di coscienza che spero possa essere di aiuto per chi tante volte si è sentito sminuito da chi avrebbe dovuto incoraggiarlo; so di essere stata fortunata nella sfortuna, ma a chi ancora non ha avuto la fortuna di incontrare quelle persone che fanno la differenza voglio dire che vi vedo e sento il vostro dolore.

Non siete soli e, soprattutto, non siete stupidi e, se qualcuno vi fa sentire così, ricordatevi che non è colpa vostra e non siete voi il problema.

Ma voi siete la soluzione, perché è da voi stessi che dovete ripartire, ricostruendo pezzo dopo pezzo ciò che siete senza lasciarvi incattivire da questo odio gratuito, ma con la consapevolezza che non sarete più quello che eravate prima, ma una versione migliore di voi stessi

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