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ANCONA Gli ultimi a lanciare l’allarme, giusto l’altro ieri, sono stati i presidenti regionali di Cna e Confartigianato Marche. «Troppi giovani faticano a inserirsi nel mercato del lavoro perché i loro profili professionali non rispondono a quelli richiesti dalle imprese e su questo serve un grande impegno del mondo della scuola e della formazione regionale», avevano detto insieme Paolo Silenzi e Moira Amaranti. A voce unica commentavano gli ultimi dati Istat sull’occupazione regionale, aggiornati al terzo trimestre dell’anno: 659.701 lavoratori, un +0,1% rispetto al settembre 2023, con un crollo nell’agricoltura (-55,2%), compensato da un incremento nei servizi, specie alberghi e ristoranti (+10.1%). In particolare, i due rappresentanti delle associazioni di artigianato, commercio e piccola impresa dedicavano una riflessione sui numeri dei disoccupati senza precedente esperienza lavorativa che, rispetto allo stesso periodo del 2023, erano saliti da 5.636 a 12.511 (+6.875).
Il trend
L’amara sintesi: anche quando di lavoro ce ne sarebbe, spesso mancano le figure professionali ricercate dalle aziende, che fanno sempre più fatica a trovare i profili adatti alle necessità del momento. Un trend che viene evidenziato dalle rilevazioni del Sistema Informativo Excelsior di Unioncamere-Anpal che, monitorando le intenzioni delle imprese associate di procedere a nuove assunzioni, misurano nei loro sondaggi la difficoltà di reperimento. Un reclutamento arduo: a novembre ha rappresentato, nelle Marche, un ostacolo per il 55,1% delle entrate che le aziende avevano in programma. Con la comparazione non va meglio: la quota di assunzioni difficili è più elevata rispetto alla media nazionale, che il mese scorso era del 47,9%. I motivi principali della complicazione a individuare la figura giusta&necessaria non cambiano: mancanza di candidati nel 34,3% dei casi, mentre la preparazione inadeguata viene individuata nel 17,3% delle 9,8mila entrate previste.
La media
Nella nostra regione in tutte le undici rilevazioni mensili del 2024 quella difficoltà di reperimento ha sempre superato la metà del totale delle assunzioni, tranne ad aprile (45,7%) e a giugno (46,5%). Ci avviamo a chiudere il 2024 con una media annua superiore alla metà degli ingaggi totali, in un crescendo che va avanti, pur con qualche oscillazione, dall’inizio del 2023, quando la quota di reclutamenti problematici era già del 47,6%. All’inizio del 2022 era del 39,9%, a gennaio 2020 e ‘21 tra il 34 e il 36% e nell’ultima rilevazione pre Covid, relativa all’intero 2019, addirittura al 28,1%. Se cinque anni fa le entrate con difficoltà di reperimento da parte delle imprese erano meno di 3 su 10, ora sono oltre la metà.
L’incrocio
Disallineamento, o misalignment, tra domanda e offerta. Il paradosso genera un limbo occupazionale, ma soprattutto sociale. Salta il tanto invocato incrocio tra impresa e formazione e nel mezzo di un sistema in default rimangono schiacciate le prospettive dei giovani. Un depotenziare il futuro. Il particolare locale che, oltre la congiuntura del dato, apre preoccupanti scenari strutturali, s’inserisce nel macroinsieme nazionale: in Italia, a differenza di altri paesi europei, il problema sulla formazione è consolidato. Si propaga nello spazio che intercorre tra post-diploma e università, ovvero nell’interregno degli Its. L’acronimo si materializza in un istituto tecnico superiore o tecnologico, si traduce, almeno nelle intenzioni, in una scuola ad alta specializzazione, nata nel 2010, a cui possono accedere coloro i quali sono in possesso di un diploma superiore di secondo grado. In Germania l’ingranaggio gira a dovere, e forma milioni di competenze. Da noi s’è inceppato. Sul fronte interno è necessario fare le dovute differenze: in Emilia Romagna il meccanismo è rodato, nelle Marche no. Sposta la prospettiva, Stefano Staffolani. Il docente di Politica economica della Politecnica procede per logica: «Scuola e università non sono cambiate negli ultimi anni, dunque non possono aver contribuito ad alimentare il recente fenomeno del disallineamento». Avanza per esclusione: «Le imprese devono fare formazione, non possono pensare di trovare figure adatte alle loro specifiche necessità legate alle produzioni». Devono, è categorico. Al capitolo “lavoro povero”, da leggere in filigrana nell’incremento dei servizi, con al top alberghi e ristoranti (+10.1%), enuncia la sua tesi: «È una criticità dell’Italia tutta, poiché sono scarsi i centri di produzione ad alta tecnologia, il che genera occupazione a scarsa remunerazione». Disallineato e modesto.
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