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Dopo i plurimi elogi di Trump e la decisione di “Politico” di indicarla persona più potente del 2025, vi è un affastellarsi pressoché generale di cronaca dei fatti – tra il faceto e l’ attonito – e di commenti su questo traguardo raggiunto da Meloni.

Tralascio quegli articoli che aggiungono anche lodi sperticate e soddisfazioni massime per questi riconoscimenti. Tutto secondo copione, la stampa non riserva ormai più sorprese. Se si escludono i giornali “vicini” al centro-destra, per i quali questi peana sono quasi ovvi, per molti altri “festeggianti” la questione ha il sapore del “che-s’adda-fa-pe’-campà”. E poi ci sono gli irriducibili.

Ma quest’aria di meraviglia, con o senza invidie o al contrario con o senza gongolamenti, dice di due buchi neri nelle analisi e nei ragionamenti.

Il primo lo sfiora Renzi. «Giorgia Meloni nella situazione internazionale è il politico più influente non per la forza di Giorgia Meloni ma per la debolezza degli altri» ed anche «Lei ha una oggettiva condizione di forza, non di consensi»: affermazioni che in verità non significano proprio nulla perché non cambiano la situazione sul tappeto. Ma sono accompagnati da: «Giorgia che ci fa con questo potere? Non lo usi solo per prendere tre like sui social» che sembrerebbe un invito a sfruttarlo sino in fondo, quel potere. O forse no. Molto confuso, ma spinge a guardare oltre.

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Come spenderà questo potere dunque Meloni? Domanda cruciale alla quale sembra quasi rispondere Prodi: “Il potere esercitato dalla coppia formata da Donald Trump, prossimo presidente degli Stati Uniti, e Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo, rappresenta una forza inarrestabile che sta ridisegnando gli equilibri globali” dice il buon Romano. Ed aggiunge: «Altro che leader più influente d’Europa…Giorgia Meloni obbedisce a Trump e Musk. Questo è il nuovo grande potere e lei si muove secondo questa logica”. E il pericolo sarebbe che la strategia di Trump e Musk, unita alle scelte della premier Meloni, potrebbe indebolire ulteriormente la capacità dell’Europa di agire come un attore unico e influente sulla scena globale.

Se è una critica, a me sembra ben nascosta, e comunque inutile. La proposta invece è inesistente. Se il potere del duo targato USA è inarrestabile, cosa bisognerebbe fare secondo Prodi? Aspettare che i vari Macron o Scholz, che già dell’Europa hanno solo una vago riferimento ma solo se non disturba i loro piani, facciano i loro passi? Fare gli schizzinosi dicendo “Con voi non tratto”? O spingere Meloni perché la sua “mediazione” tra USA ed Europa garantisca la tenuta di quest’ultima? E l’Italia dovrebbe prendere le difese di chi e di cosa? Anche qui: tutto in un limbo confuso.

Ed ecco i il secondo buco nero. L’incapacità dell’opposizione di fare autocritica – ma non a parole, che non servono – sulla miopia di una politica seguita fin qui: quella che ha indicato pericoli di tenuta democratica verificatisi inesistenti, giudizi sulla mancanza di una politica economica o, al contrario, di politiche scellerate su indirizzi programmatici che avrebbe portato lutti in economia e nell’occupazione, su progetti di bilancio che ci avrebbero riportato alla crisi finanziaria del 2011. E poi “sentenze” su un preteso isolamento internazionale, sull’aver avuto una posizione equivoca in Europa che avrebbe portato l’Italia ad essere messa fuori giochi, sull’aver mantenuto il piede in due scarpe tra Biden e Trump e perciò….

Ne avessero azzeccata una, ma solo una. Una narrazione demonizzante al solo scopo di suscitare preoccupazioni e timori che poi vengono smentiti nei fatti: questo è stato un grande assist per Meloni.

«In meno di un decennio, la leader di destra di Fratelli d’Italia è passata dall’essere liquidata come una pazza ultranazionalista all’essere eletta prima ministra d’Italia, affermandosi come una figura con cui Bruxelles, e ora Washington, possono fare affari» Questa la motivazione di “Politico”. Ed anche “Meloni ha rovesciato tutti i timori infondati della vigilia, abilmente rilanciati da una parte della stampa e ripresi da osservatori internazionali anch’essi d’orientamento liberal che oggi ne plaudono l’atteggiamento pragmatico e la schiena diritta nelle scelte internazionali. Da spauracchio a certezza il passo è stato breve”.

Il giudizio internazionale è questo. Se non ci piace, è giusto che lo diciamo. Ma questo nostro disaccordo lascia il tempo che trova.

Se le analisi, ed i relativi giudizi, fossero stati più attenti alla realtà, oggi nel constatare l’evidenza molti sarebbero meno sorpresi. Ma soprattutto saprebbero cosa fare per incalzare Meloni. Il che, non me lo nascondo, è un esercizio politico molto difficile.

Non si tratta di abiurare a visioni progressiste (che tuttavia vedo ancor oggi poche e confuse) ma prendere atto che questa è la situazione che si sta creando in Europa e nel mondo occidentale con l’avanzamento delle destre. Situazione che va combattuta preparando l’alternativa: non quella di Melechon, una ben più seria. La battaglia, quella forte e dura, deve essere, nel frattempo quella di evitare che la parte più retriva delle destre prenda il sopravvento: perché poi tutto sarebbe più difficile.

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Con tutto l’amaro in bocca, bisogna ridimensionare i temi e le forme di opposizione ed incalzare Meloni affinché lavori prendendo le distanze da programmazioni – quella sociale, quella economica, quelle delle alleanze – che pur appartenendo alla cultura conservatrice – che è la cultura di Meloni – non siano troppo di destra.

Trump e Musk rappresentano questo pericolo e Meloni no. Se non lo si capisce non c’è speranza.





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