Nordio ad Atreju: “‘La separazione delle carriere non è uno scontro con la magistratura, ma una scelta di razionalità”

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A margine del suo intervento sul palco di Atreju, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha dialogato con i cronisti affrontando i principali nodi della riforma della giustizia. Dalla separazione delle carriere alla carenza di organico nei tribunali, passando per il dibattito sui presunti “bavagli alla stampa”, Nordio ha ribadito la necessità di un confronto razionale e pacato. Il ministro ha sottolineato come la riforma punti a superare l’impostazione inquisitoria del codice Rocco per avvicinarsi a un modello più moderno e garantista.

Ministro, quello sulla separazione delle carriere è stato un confronto acceso?

“Sì, a tratti acceso, ma tenuto sotto il segno della pacatezza. Ho tenuto a premettere che il colloquio con il collega Santa Lucia è stato un colloquio non soltanto franco, vorrei dire addirittura amichevole, salvo il fatto che abbiamo delle idee molto differenti sulle riforme. Ma questo fa parte della democrazia e della dialettica normale.”

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Negli scorsi giorni il presidente La Russa ha ipotizzato di abbassare il quorum del referendum al 40%. Potrebbe essere utile anche per la sua riforma?

“Io credo che sia, in questo momento, molto difficile parlare di modificare le regole che presumono un iter parlamentare molto complesso. In ogni caso, un referendum costituzionale sulla riforma, a differenza del referendum abrogativo delle leggi ordinarie, non richiede nemmeno il quorum. Quindi è un problema che non ci riguarda.”

Sul referendum per la separazione delle carriere, lei ha detto che qualora non dovesse passare, ci sarebbero conseguenze per il governo. Può chiarire?

“Beh, chiaramente un argomento così importante farebbe riflettere se non fosse approvato dal popolo italiano, cosa che peraltro io penso sia molto improbabile visti anche i sondaggi. Però è proprio sotto questo profilo che voglio aggiungere che non deve essere un referendum contro la magistratura e nemmeno a favore del governo. Deve essere un referendum condotto con i criteri della razionalità e della pacatezza per decidere se vogliamo onorare la memoria di un eroe della Resistenza come Giuliano Vassalli, che ha voluto un processo modellato sull’ordinamento anglosassone. Il nostro codice penale è ancora firmato da Benito Mussolini e da Vittorio Emanuele III, mentre il codice Vassalli, firmato da un eroe della Resistenza, è stato snaturato da vari interventi della Corte Costituzionale, per certi aspetti giustamente, perché questa Costituzione è incompatibile con il processo voluto da Vassalli. Se non vogliamo ritornare al vecchio processo Rocco, inquisitorio e fascista, sul quale è stata modellata la Costituzione del 1948, dobbiamo cambiare la Costituzione, che peraltro è già stata modificata nell’articolo 111 quando ha definito il giudice terzo e imparziale.”

Ministro, lei ha parlato del calo di fiducia nella magistratura. Ma questa delegittimazione non deriva anche dalle mancate risposte di giustizia, dalle carenze enormi, dalla paralisi della digitalizzazione e dalle condizioni drammatiche in alcuni distretti, come ha segnalato Santa Lucia con l’esempio di Catanzaro?

“Il riferimento che ho fatto io è alla sfiducia nei confronti della magistratura, e questa sfiducia si fonda su una percezione di mancata imparzialità, in un certo senso anche di politicizzazione o ideologizzazione. La sfiducia nella giustizia, invece, esiste e si fonda sulla sedimentazione di decenni e decenni di trattamento ancillare della giustizia, cui sono sempre state destinate risorse insufficienti. Se, ad esempio, abbiamo una carenza del 15% di magistrati, questo dipende per metà dalla burocrazia del CSM e per metà dalla burocrazia del ministero. Ma per la prima volta, entro il 2026, colmeremo questa carenza di organico. Abbiamo ben cinque concorsi in piedi con 400 magistrati ciascuno. Se riusciamo a sburocratizzare l’iter del CSM e del ministero, comprimendo i tempi, riusciremo a colmare gli organici. Per quanto riguarda gli amministrativi, siamo sotto organico da decenni e le risorse sono quelle che sono. Bisogna cercare di ottimizzarle. Quanto alla paralisi del processo telematico, in realtà non è affatto in paralisi. Lo stiamo implementando. Come tutte le grandi novità, ha avuto criticità, ma quando ci sono grandi innovazioni tecnologiche, le criticità sono normali. Lo vedremo anche di più con l’introduzione dell’intelligenza artificiale. Abbiamo già istituito un Venice International Group in contatto con organismi e ordinamenti stranieri. Quando arriveremo a regime, la macchina sarà strutturata in modo tale che la velocizzazione sarà concreta e visibile.”

Ministro, la stampa vi accusa di voler introdurre i “bavagli alla stampa”. Ad esempio, “Il Fatto Quotidiano” ha annunciato “resistenza civile” e la volontà di continuare a pubblicare tutto. Come risponde?

“L’espressione ‘bavaglio alla stampa’ è un’espressione che non condivido. Naturalmente conosco il linguaggio giornalistico, avendo fatto l’editorialista per decenni, e non intendo censurarlo. Ma, come ex magistrato e attuale ministro, trovo improprio questo termine. Esiste la necessità di contemperare tre elementi: la presunzione di innocenza — per la quale siamo stati condannati dall’Europa varie volte per averla disattesa —, il diritto all’informazione e il diritto alla segretezza delle indagini. Sono tre elementi che vanno composti. Il segreto istruttorio serve sia per l’accuratezza e la complessità delle indagini, sia per la tutela della dignità del cittadino. Fermo restando che, in questo momento, nulla di deciso e definitivo è stato fatto, su questo bisogna ragionare. Poniamoci nei panni di una persona che si vede sbattuta in prima pagina, magari con affermazioni o giudizi che poi si rivelano completamente infondati. Intanto, però, quella persona è stata pregiudicata nella sua immagine, nel lavoro e persino nella carriera politica. Sono diritti primari che vanno bilanciati. Quanto alle sanzioni, siamo stati rimproverati per aver aumentato anche le sanzioni penali. Io, tendenzialmente, preferisco fare affidamento sulla deontologia piuttosto che sull’aspetto intimidatorio di una norma. Se una norma dice una cosa, il cittadino la deve seguire perché lo Stato democratico lo ha deciso. Non è un problema di sanzioni, ma di deontologia e di rispetto verso la volontà popolare. Questa può non essere condivisa, specie quando è espressa da un parlamento di cui non si condivide l’orientamento politico, ma in democrazia si rimedia con le elezioni.”

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Atreju il video con le parole di Nordio



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