Andrea Galli e Gianni Santucci per il “Corriere della Sera”
«Praticabilità campo: tutti i giorni e tutto l’anno». «Avvertire per atterrare: no». «Personale campo: soltanto su richiesta» oppure «dalle 9 al tramonto» o ancora «il fine settimana». Salvo abbordabili tasse di hangaraggio e stazionamento, nei piccoli aeroporti d’Italia meglio conosciuti come aviosuperfici – una striscia d’asfalto e più spesso d’erba come pista, nascosta fra il grano, i boschi, non lontano dalle strade statali di provincia che diventano facili vie d’accesso e comode vie di fuga -, i decolli e gli atterraggi sono gratuiti e liberi.
In ogni senso. à facoltà dei piloti, che normalmente si affidano a un vecchio classico, il Cessna 172, o a un Piper, dichiarare la propria identità e la merce trasportata. In teoria dovrebbero firmare un’autodenuncia. Nei fatti i controlli sono rarissimi se non nulli. Da qualche mese, alla cloche di molti velivoli, specie in arrivo dall’Albania, ci sono personaggi scafati i quali, magari, hanno precedenti di polizia e detenzioni. Volano sotto i 1.500 piedi (450 metri) per fregare i radar. Hanno materiale da nascondere: droga.
Certamente i criminali sono mele marce e i loro viaggi rappresentano anomalie in un mondo, il volo turistico, che ha appassionati e volontari, che mobilita energie e investimenti. Ma il nuovo fronte ormai è aperto. I narco-voli nei cieli d’Europa seguono rotte delineate: dal Marocco verso la Spagna e il Portogallo (tra 2011 e 2012 sono state scoperte 132 piste o «approdi» d’atterraggio clandestini, per lo più in Andalusia); dalla Francia all’Inghilterra; dai Paesi Bassi al Baltico.
Nel 2010 l’Europol già aveva alzato il livello d’allarme. In alcune parti dell’Europa hanno provato a correre ai ripari (Francia, Belgio, Olanda e Regno Unito condividono un lavoro di intelligence ); da altre parti sono in ritardo. Eppure gli esempi non mancano: le offensive dei narcos sudamericani (che possiedono intere flotte per traffici verso Messico, Caraibi, Africa) e le controffensive degli Stati Uniti, in una contesa che dura da anni tra strategie e nuovi trucchi. In Inghilterra, la National crime agency ha appena lanciato un allarme sul traffico di droga e armi a bordo di piccoli aerei, sollecitando segnalazioni da parte di chi abita vicino agli aeroporti.
Ora dei viaggi Albania-Italia è stata informata la Questura di Milano. Forse è proprio il Nord Italia il territorio più esposto, non fosse altro per un discorso di numeri: 70 le aviosuperfici in Veneto, 30 in Friuli, 80 in Lombardia e altre 80 in Piemonte senza contare l’apertura di scali che privati ricavano sulle proprie tenute. Non serve granché. Dice un pilota: «Ho bisogno di una pista di quattrocento metri.
Ho a bordo droga? Il volo da turismo rimane sotto quota 1.500 piedi, il fine settimana i cieli sono pieni di velivoli. Stranieri che arrivano da noi dalla Germania, dall’Austria, dalla Slovenia. Siamo tanti. Mischiarsi è facile. Sì, un radar militare ti nota. Ma poi? Perché seguire me e non un altro? Sulla base di quale sospetto?».
Dall’Albania si trasportano marijuana e hashish prodotte in loco ed eroina in precedenza acquistata dalla Turchia. Gli stupefacenti riempiono valigie e sacchi imbarcati su Cessna e Piper. Da gennaio ad aprile, informano fonti della polizia albanese, in Italia sono stati sbarcati (e sequestrati) 9.730 chilogrammi di marijuana. Le organizzazioni criminali preferiscono, secondo tradizione, differenziare gli investimenti e così ecco i canali aperti anche con la Grecia (nell’identico periodo confiscati 13mila chilogrammi) e la Baviera, in Germania (5.600 chili).
Ieri in Albania è stato convalidato l’arresto di Giorgio Riformato, 58 anni, originario di Luino, in provincia di Varese, autore di un atterraggio d’emergenza in Albania con il suo Piper; vicino al luogo, una spiaggia a un’ottantina di chilometri da Tirana, erano stati scoperti 460 chilogrammi di marijuana a lui ricollegabili, quantomeno secondo l’accusa. I tecnici stanno decriptando iPad e cellulare che aveva in borsa, alla ricerca di nomi, numeri, dritte .
Ancora voci investigative, non convalidate da prove, parlano in queste ore di un atterraggio d’un pesante carico di droga in Emilia Romagna. Ma dove di preciso? Nella regione ci sono sessanta piccoli aeroporti, per lo più, come succede ovunque, privi di particolari restrizioni. Per esempio è sconsigliato il movimento in arrivo e in partenza in caso di pioggia intensa; spesso, alla voce «regole da rispettare» segue la voce «nessuna».
E allora introdurre restrizioni nei piccoli aeroporti e sollecitare ispezioni a campione delle forze dell’ordine, spiegano gli amatori del volo da turismo, soffocherebbe la filosofia stessa dello sport. Altro discorso, come le prossime indagini potrebbero scoprire, è la presenza di coperture e connivenze. Negli scali è scarsa la presenza di torri di controllo, ancorché artigianali, e di volontari alla radio che seguano l’atterraggio e invitino il pilota sbarcato a compilare il libro mastro: nome, provenienza, merce da dichiarare. Troppo, troppo poco per dichiarare guerra alla droga.
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