Solo l’anno scorso Marco De Benedetti, il partner del Gruppo Carlyle che ha tirato le fila della scommessa vincente su Moncler, aveva affermato di intravedere possibilità per ulteriori affari spettacolari nel mercato europeo dell’abbigliamento di lusso.
Ora però, secondo alcune persone a conoscenza della questione, il colosso del private equity con sede a Washington D.C. ha sospeso i propri investimenti nelle società di beni di largo consumo del Vecchio Continente. Il marchio italiano di giacche trapuntate di fascia alta Moncler è stato un successo redditizio, che ha più che quadruplicato le fortune dell’azienda. Ripetere un’impresa del genere, tuttavia, sembra sempre più difficile.
Come i suoi concorrenti – e l’intero settore europeo dei beni di largo consumo – Carlyle ha sofferto dell’inflazione e dell’impennata dei costi del credito, che hanno pesato su alcuni dei suoi investimenti. Allo stesso tempo, la società sta attraversando un difficile periodo di riassestamento, in quanto il suo nuovo Amministratore Delegato, Harvey Schwartz, sta cercando di trovare un modo per eguagliare le prestazioni dei suoi colleghi nella fascia alta del settore delle acquisizioni di società.
Poiché la raccolta di fondi in Europa è stata più lenta del previsto, la direzione del team locale di buyout è stata modificata. Massimiliano Caraffa, che guidava i settori consumer, media e retail, è sul piede di partenza. De Benedetti, l’artefice di numerose operazioni nel settore del lusso per Carlyle, ha lasciato il suo ruolo di dirigente senior e ora presiede l’attività dell’azienda in Italia. Puntare su imprese tecnologiche è invece un approccio molto quotato, almeno finché i consumatori rimangono bloccati in una certa stasi.
“Alcuni fondi di private equity hanno fatto un ottimo lavoro nel settore dei beni di largo consumo e del lusso, ma sono arrivati al momento giusto, con il marchio idoneo e hanno beneficiato del boom del comparto”, afferma Vincent Barbat, partner parigino della società di consulenza Kearney, di cui è responsabile della copertura del settore del lusso in Europa. “Sarà possibile adesso? Non ne sono sicuro. Creare e sviluppare un marchio nella situazione attuale non è assolutamente facile”.
Oltre a Moncler, Carlyle ha realizzato delle significative plusvalenze vendendo nel 2020 Golden Goose, produttore di calzature con sede Milano che ha beneficiato dell’incredibile appetito per le sneakers di lusso.
I suoi attuali investimenti in Europa non stanno andando altrettanto bene e includono diverse sottoperformance, secondo l’analisi di documenti aziendali da parte di Bloomberg News e conversazioni con persone che conoscono l’azienda, ma non sono autorizzate a parlarne pubblicamente. Anche un portavoce di Carlyle ha rifiutato di fare commenti.
L’azienda riponeva grandi speranze in Dainese, che produce abbigliamento d’alto livello per motociclisti, ciclisti e sciatori, ma i profitti dell’azienda sono crollati. Da anni tenta di sbarazzarsi di Twinset, marchio di moda femminile, e ha appena consegnato le chiavi di End Clothing, che vende prodotti di marche come Balenciaga e Carhartt, al suo creditore Apollo Global Management.
Anche la società Golden Goose, di cui Carlyle conservava una quota di minoranza, ha avuto un po’ di sfortuna negli ultimi tempi. Il suo attuale proprietario, Permira Holdings, ha rinviato la quotazione in borsa dell’azienda a giugno, temendo un calo del prezzo delle azioni.
Carlyle non è l’unico a risentire degli effetti più generali della riluttanza dei clienti a spendere, e più in particolare del rallentamento del mercato del lusso, che in tempi recenti ha fatto arricchire molti, ma che adesso è in declino a causa del rallentamento delle vendite in Cina. Anche altre società attive in acquisizioni societarie stanno riconsiderando la propria esposizione al mercato dei beni di consumo.
Per di più, pure i giganti europei della moda quotati in Borsa non sono più al riparo dal fenomeno, come dimostra il corso delle azioni di LVMH Moët Hennessy Louis Vuitton. “L’entità del rallentamento del settore si riflette nell’andamento sui mercati azionari dei titoli di alcuni grandi operatori del lusso”, spiega Vincent Barbat.
Resta il fatto che la pausa negli investimenti di Carlyle e dei suoi simili peserà su una parte importante dell’ecosistema del lusso, che ha rappresentato un raro successo industriale per l’Europa negli ultimi tempi. Mentre colossi come LVMH, Hermès International e Kering, proprietario di Gucci, dominano globalmente tale comparto, tante aziende più piccole hanno potuto attingere al private equity quando volevano entrare nei mercati internazionali.
Golden Goose nasce a Venezia nel 2000 da Alessandro Gallo e Francesca Rinaldo, una coppia sul lavoro e nella vita. Nel 2016 il fatturato del brand aveva superato i 100 milioni di euro, il suo business nel wholesale era importante e l’azienda impiegava meno di 100 persone. Nei tre anni successivi, sotto la guida di Carlyle, il marchio entrò nei mercati giapponese, cinese e americano, crebbe da 7 negozi a quasi 100 e aumentò rapidamente i profitti.
Tutti gli atelier creativi, a Parigi, a Milano o altrove, che nutrono ambizioni globali, avranno oggi molte più difficoltà a trovare sostegno. Secondo persone a conoscenza del dossier, Carlyle ha adottato misure simili per sospendere i suoi investimenti nel settore dei beni di consumo in Nord America, anche se l’Europa, spesso sede dei marchi più ricercati, tende ad essere il canale principale per le transazioni di private equity.
“I fondi di private equity stanno diventando più selettivi nel modo in cui utilizzano il proprio denaro”, afferma Jérôme Souied, un altro partner di Kearney con sede a Parigi, specializzato nella copertura proprio del private equity. “Il settore ha dovuto affrontare un rallentamento dei nuovi investimenti a causa dell’aumento dei tassi di interesse, che ha complicato l’equazione economica tra venditore e acquirente”.
Un finanziere veterano di Carlyle, che ha chiesto che le sue valutazioni su questioni commerciali rimangano anonime, sottolinea che la società sta semplicemente facendo una pausa dagli investimenti nel settore dei consumi anziché ritirarsi del tutto e che contrariamente, ad esempio, all’industria dei combustibili fossili, il mercato del lusso rimane un obiettivo strategico a lungo termine.
Tuttavia, il contesto attuale non è incoraggiante. Un rapporto pubblicato il mese scorso dalla società di consulenza Bain & Co. ha mostrato alcuni segnali di ripresa negli Stati Uniti e ha indicato che l’Europa è stata in qualche modo aiutata dai turisti. Ma nello stesso report si stima che entro il 2024 il mercato dei beni personali di lusso avrà subito il primo rallentamento dalla crisi finanziaria, esclusa la pandemia, con un calo del 2% ai cambi attuali rispetto all’anno precedente.
Una riduzione delle spese discrezionali, in particolare da parte dei giovani acquirenti della Generazione Z, ha contribuito a un calo di 50 milioni di clienti per il lusso in due anni, scrivono gli autori del rapporto.
Il problema è che il lusso è più spesso un “desiderio” che un “bisogno”, afferma Oliver Chen, Amministratore Delegato e analista di ricerca senior che si occupa di beni di lusso e vendita al dettaglio presso TD Cowen. “Ci sono marchi che si sforzano di essere senza tempo, ma nessuno ne ha necessariamente bisogno. Per molti consumatori attenti al rapporto qualità/prezzo, la parola d’ordine è: ‘Te ne serve solo uno’”.
La recente esperienza di Carlyle con i consumatori europei non è stata del tutto negativa. Codorniu Raventos, la più antica azienda vinicola spagnola, ha annunciato un utile operativo record di 39 milioni di euro per l’esercizio finanziario terminato il 30 giugno, il 15% in più rispetto allo scorso anno. Il produttore di cava, di proprietà di Carlyle, ha aumentato la sua quota di mercato in Spagna e all’estero in un periodo difficile per il suo settore.
L’azienda vicentina Dainese è stata, finora, una scommessa meno fortunata. Mentre il produttore di abbigliamento ha realizzato un profitto nel 2022, anno in cui è stato acquisito da Carlyle, ha poi registrato una perdita di 40 milioni di euro nel 2023, secondo i documenti aziendali visionati da Bloomberg. In Europa, l’azienda aveva accumulato troppe scorte durante la pandemia. Il rallentamento della crescita della Cina ne ha danneggiato le vendite. Infine, l’aumento dei tassi di interesse ha ristretto i portafogli degli acquirenti negli Stati Uniti.
Allo stesso tempo, l’aumento degli oneri finanziari – Carlyle ha in parte finanziato l’acquisizione con oltre 250 milioni di euro di obbligazioni private più onerose – ha esercitato ulteriore pressione sulle finanze di Dainese. Carlyle ha coperto le sue perdite, secondo i documenti depositati.
La situazione è ulteriormente peggiorata per il dettagliante di abbigliamento di lusso End Clothing, acquisito nel 2021 dalla società americana, che ha poi dovuto fare i conti con il ritiro di una serie di marchi, con problemi legati a un nuovo sistema di inventario e con un calo degli utili. L’operazione è stata finanziata attraverso un prestito unitario privato concesso da Apollo, oltre a una parte del debito bancario. Apollo ha preso il controllo della società in ottobre, come mostrano i documenti depositati.
Coloro che sperano in una rapida ripresa del sentiment degli acquirenti benestanti potrebbero rimanere delusi, secondo Vincent Barbat di Kearney, che sottolinea l’ulteriore minaccia che i nuovi dazi doganali e le guerre commerciali rappresentano per il mercato dei prodotti d’alta gamma.
“Penso che la recessione nel settore del lusso non sia solo questione di un anno”, afferma. “Durerà più a lungo. I nostri clienti utilizzano diversi modelli di pianificazione degli scenari e, nelle loro analisi, i più pessimisti stimano che la situazione potrebbe proseguire fino a cinque anni”.
Anche se alla fine il vento dovesse cambiare direzione e posizionarsi a favore del mercato del lusso, la stretta mortale di LVMH e degli altri colossi del settore rappresenterà un’altra sfida per i nuovi arrivati desiderosi di competere con le boutique di Londra, Parigi, Dubai e Hong Kong.
“Le società di private equity devono scegliere le loro battaglie”, afferma Oliver Chen di TD Cowen, che è anche professore associato di commercio al dettaglio presso la Columbia Business School. “Un altro ostacolo che devono affrontare nel settore del lusso è l’integrazione verticale, che è costosa. I giganti del comparto possiedono i propri negozi, le loro relazioni con i clienti e le proprie catene di approvvigionamento. Fa parte del loro heritage. Come competere con loro?”.
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