Così grandi boss e picciotti sono diventati tutti imprenditori

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L’accumulazione degli enormi profitti, tratti dalla produzione e dal commercio degli stupefacenti, dal contrabbando di tabacchi lavorati esteri, dalle estorsioni, dal cosiddetto «pizzo», dai sequestri di persona, ha trasformato le famiglie mafiose in società imprenditrici

Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo ampi stralci de “L’illegalità protetta”, il libro edito per la prima volta nel 1990 e ristampato nuovamente da Glifo Edizioni, dedicato a Rocco Chinnici e ai giudici del pool antimafia


V. L’accumulazione degli enormi profitti, tratti dalla produzione e dal commercio degli stupefacenti, dal contrabbando di tabacchi lavorati esteri, dalle estorsioni, dal cosiddetto «pizzo», dai sequestri di persona, ha trasformato le famiglie mafiose in società imprenditrici.

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È questa una realtà nuova sulla quale si è rivolta recentemente l’attenzione di noti studiosi di sociologia e di economia. Si è rilevato da costoro che le famiglie mafiose, un tempo costituite e dirette da campieri e soprastanti, padroni e servi, in Sicilia, di baroni e cavalieri, non sono più in condizione parassitaria, essendo diventate delle vere imprese che operano nell’edilizia, nell’agricoltura e nel commercio; e pertanto, oltre che forza reazionaria e criminale collegata da sempre col potere, la mafia, oggi, sarebbe diventata potenza economica che condizionerebbe financo il potere.

Pur non negando validità a siffatta tesi, non si possono tuttavia condividere le conseguenze estreme alle quali gli stessi studiosi pervengono quando affermano che le organizzazioni mafiose, oggi, non avvertirebbero più la necessità di mantenere rapporti col potere.

Chi scrive è convinto che, oggi più che ieri, la mafia inserita com’è nella vita economica dell’Isola non può fare a meno di tali rapporti; lo dimostrano avvenimenti, piuttosto recenti, che hanno visto imprese mafiose aggiudicarsi appalti di opere pubbliche per decine di miliardi estromettendo altre concorrenti, non mafiose, o comunque non legate direttamente o indirettamente alla mafia.

L’omicidio del Presidente della Regione Piersanti Mattarella, caduto nel tentativo generoso di dare un volto nuovo alle pubbliche istituzioni e nel momento in cui, predisponendo le necessarie riforme, stava per passare dalla enunciazione di linee programmatiche dirette ad estromettere mafia e sistemi mafiosi dai gangli vitali della Regione alla realizzazione delle stesse, costituisce la drammatica riprova della validità della tesi che qui si sostiene.

Si aggiunge, inoltre, che la mafia, oggi come nel passato, non può mantenere posizioni di rilievo nella vita siciliana, non può avere incidenza politica, se abbandona schemi collaudati da oltre un secolo, se, forte della potenza economico-finanziaria raggiunta, allenta i vincoli che la legano al potere. E se è vero che, per il raggiungimento di determinati obiettivi illeciti, ha mutato metodi e sistemi gangsteristici, è fatto incontestabile che il rapporto con certi settori del potere3 permane tuttora pur se, per ragioni contingenti, esso sembra meno appariscente di quanto non fosse qualche anno fa.

Onde, in Sicilia, parlare di mafia vecchia e di mafia nuova non ha senso, così come non ha senso, per ragioni che sarebbe lungo esporre, parlare di mafia come fenomeno di massa, di mafia che gode del consenso popolare, di mafia come stato mentale diffuso a tutti i livelli. Indubbiamente, le imprese mafiose che operano nell’edilizia, nell’agricoltura, nel commercio, proprio per il fatto che creano posti di lavoro e producono ricchezza, possono incidere nel tessuto socio-politico ed economico della Regione nel senso che in occasione di consultazioni elettorali possono orientare parte dell’elettorato.

È noto il caso di un mafioso il quale, finito di scontare il soggiorno obbligato, per ottenere la riassunzione presso un ente controllato dalla Regione, in occasione di una consultazione elettorale riuscì a capovolgere la situazione preesistente presso il Comune di origine, quella stessa situazione che in passato egli era riuscito a manovrare in modo diverso.

Ciò, però, non può significare adesione o consenso alla mafia; l’episodio riferito, ed altri risultati di competizioni elettorali anche in grossi centri della Sicilia occidentale, provano che, là dove esistono condizioni economico-sociali depresse, la mafia può approfittarne per accrescere la propria potenza e il proprio prestigio.

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