Avanzi primari dell’Italia, da 30 anni migliori di Germania e Francia

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Se consideriamo il periodo che va dal 1995 al 2029 (includendo le previsioni della Commissione Europea per il 2024-2026 e quelle del Fondo Monetario Internazionale per il 2027-2029), su 35 anni l’Italia è stata e risulterà in avanzo primario pubblico per ben 30 anni. Vale a dire che durante tale periodo lo Stato italiano ha chiuso in rosso il proprio bilancio prima del pagamento degli interessi soltanto in cinque anni (nel 2009 e durante gli anni della pandemia e immediatamente seguenti, dal 2020 al 2023). Nessun altro Paese dell’Unione Europea e riuscito a eguagliarci in virtuosità e tantomeno nessun altro Paese del G-7. Infatti, come appare dalla figura 1, l’Italia ha fatto meglio anche dei Paesi cosiddetti “frugali” (Danimarca 29 anni, Svezia 28 anni, Austria 20 anni, Paesi Bassi 19 anni) e della Germania (19 anni).

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Ma allora perché il debito pubblico italiano ha continuato a crescere anche dopo la sbornia di spesa pubblica della Prima Repubblica? Per un motivo molto semplice: perché l’Italia ha pagato dal 1995 al 2024 la più grande montagna di interessi sul debito pubblico mai sostenuta da un Paese europeo: 2.288 miliardi di euro a valori correnti. Interessi che all’inizio erano alti per il grande volume di debito accumulato dal nostro Paese durante gli anni ’80 e i primi anni ’90; poi, durante i primi anni della moneta unica, tali interessi sono stati in proporzione più contenuti e non molto superiori a quelli pagati dalla Germania; e, infine, essi sono tornati ad essere molto elevati dopo la crisi mondiale del 2009 e soprattutto dopo quella europea del 2011, con l’impennata del nostro spread che da allora in poi è sempre rimasto piuttosto ampio, sia pure molto inferiore ai picchi toccati durante il “contagio” del debito greco.

Uno spread ampio e costante, il nostro, per varie ragioni: l’ormai cattiva “reputazione” acquisita dall’Italia (in gran parte immeritata perché, come dimostra la nostra ineguagliata storia di avanzi primari, non siamo un Paese di “spendaccioni”), i bassi rating severamente attribuitici dalle agenzie internazionali (anche in momenti positivi come quelli di questi ultimi anni), i masochistici atteggiamenti “anti-europeisti” che hanno contraddistinto alcuni nostri governi e le loro forze di maggioranza (il picco fu toccato con il Governo Conte 1), nonché la stessa scarsa stabilità dei nostri esecutivi nel corso dei decenni.

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LO CHOC DEL DEBITO FRANCESE, DECLASSATO DA MOODY’S, STA CAMBIANDO LA PERCEZIONE DEL RISCHIO SOVRANO

Per fortuna, però, le cose ora stanno un po’ cambiando in meglio per l’Italia. A cominciare dalla precarietà delle maggioranze di governo, fattore critico che è venuto meno, specie considerando la stabilità del nostro attuale esecutivo rispetto alle drammatiche e concomitanti crisi dei governi francese e tedesca. In aggiunta, il pesante avvitamento del debito pubblico francese, per molto tempo ignorato, ha generato un improvviso e brutale choc sui mercati. Infatti, gli investitori internazionali si stanno rendendo conto che l’idea diffusa di un debito pubblico italiano alto e problematico è stato per anni una specie di comodo paravento dietro il quale si celavano i peggioramenti strutturali delle finanze pubbliche di molti altri Paesi che continuavano invece ad avere una “reputazione” migliore della nostra: segnatamente Francia, che Moody’s ha appena declassato da Aa2 a Aa3, e poi Spagna, Regno Unito e Stati Uniti. Aggiungiamoci l’autorappresentazione continua di un Paese, l’Italia, che avrebbe i conti pubblici “scassati”, immagine che gli stessi media e intellettuali italiani per anni hanno predicato ed amplificato, e il quadro è completo.

Oggi, però, una valutazione oggettiva dello stato dei debiti pubblici, della loro composizione per settori detentori e della loro sostenibilità finanziaria può finalmente mettere in luce la migliore condizione del nostro debito rispetto ai debiti degli altri, nonché favorire giudizi più positivi nei confronti dell’Italia da parte dei mercati, degli investitori, delle agenzie di rating e della stessa Commissione europea. Ciò non significa da parte nostra giustificare un debito alto ma riportare almeno un po’ di equilibrio e giustizia nei giudizi sul nostro Paese, che paga tuttora uno spread iimmeritatamente alto, sia pure in veloce discesa. Così come l’Italia paga un rating assurdo, secondo Moody’s ben sei gradini sotto quello della Francia, che pure l’agenzia ha appena degradato. I casi sono due: o il nostro rating è troppo sottovalutato o quello della Francia è troppo sopravvalutato.

IL MODELLO VINCENTE DEL DEBITO ITALIANO FINANZIATO CON RISORSE INTERNE

La crisi francese ha messo in luce un fattore cruciale nella sostenibilità di un debito pubblico. Tale debito non può essere troppo sbilanciato nella sua composizione con una quota eccessiva finanziata dall’estero. Altrimenti, in occasione di una grave crisi finanziaria, la “fuga” degli investitori stranieri dai titoli di un debito sovrano può essere catastrofica. Successe alla Grecia nel 2010-2011, per cifre in gioco assai più piccole rispetto all’enorme ammontare del debito pubblico estero transalpino, che si sta avviando nel 2024 a superare abbondantemente i 1.600 miliardi di euro. Per anni avere un alto debito pubblico sostenuto dall’estero è stato giudicato dagli analisti come un fattore positivo, come un segno di “attrattività” di un Paese. Adesso però che i mercati si stanno rendendo conto che i livelli di debito hanno ormai raggiunto in tutte le economie valori molto alti, una quota eccessiva di debito finanziata da investitori stranieri comincia ad essere più correttamente percepita come un fattore di rischio, come sta accadendo alla Francia.

Se guardiamo alla composizione dei debiti pubblici del 2023 delle tre maggiori economie dell’Eurozona, grazie a delle statistiche molto importanti ma pressoché sconosciute e poco analizzate della Banca centrale europea, che presentiamo qui per la prima volta, possiamo renderci meglio conto del fattore “estero” come elemento attuale di rischio per i debiti sovrani. Infatti, come si vede nella figura 2, l’Italia ha una quota di debito sostenuta dalle proprie banche, fondi, assicurazioni e soprattutto dalle proprie famiglie molto più alta rispetto a Francia e Germania, grazie alla nostra elevata ricchezza finanziaria privata (che è la terza d’Europa in rapporto al PIL, dopo Danimarca e Svezia). Avere un alto debito pubblico interno come l’Italia vuol dire inoltre pagare una grossa quota di interessi a se stessi e non agli stranieri.

I livelli di debito nelle mani della banca centrale di Italia, Germania e Francia sono inoltre pressoché simili, con ciò smentendo la convinzione diffusa tra i “falchi” del Nord Europa che il quantitative easing sia stato inventato da Draghi per “salvare” il debito italiano. Ma, soprattutto, l’Italia ha una quota del proprio debito pubblico finanziata da investitori esteri molto più bassa di Germania e Francia, anche se l’interesse per i nostri titoli pubblici da parte degli stranieri è assai cresciuta quest’anno, proprio per una maggiore consapevolezza della stabilità dei nostri conti. Se escludiamo la quota di debiti “parcheggiata” presso le banche centrali, il debito pubblico restante finanziato dagli stessi italiani è pari al 63% del totale, contro quote assai più basse per Germania (39%) e Francia (35%). Mentre il debito pubblico italiano finanziato da investitori stranieri è oggi addirittura la metà di quello francese, il che ci rende meno vulnerabili.

In conclusione, il modello di spesa pubblica dell’Italia, con un debito finanziato principalmente con risorse interne, senza rinunciare ad un equilibrato e non eccessivo supporto estero, si sta rivelando vincente ed antitetico rispetto a quello francese, che espone oggi Parigi al rischio di una pericolosa ritirata degli investitori stranieri. Come risulta chiaramente dalla figura 3, dal 2018 in poi, specie durante e dopo il Covid, la Francia ha finanziato pressoché esclusivamente l’esplosione della sua spesa pubblica e l’uscita dalla crisi pandemica grazie al supporto degli investimenti esteri nel proprio debito pubblico, mentre l’Italia lo ha fatto esclusivamente con risorse proprie. Quello della Francia è oggi un modello di finanza pubblica non più sostenibile se non attraverso una pesante austerità, non facile da imporre, però, senza un governo forte. Lo sarà il Governo Bayrou?
 

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