Nell’atto che la tv pubblica sta preparando per opporsi alla decisione del Tar potrebbero essere citati i fondi spesi per realizzare un palazzetto mai finito dove spostare il Festival. Anche il Comune vuole tutelarsi
Una storia che esiste solo nelle convenzioni rinnovate ogni 2-3 anni, ma che sulla linea Sanremo-viale Mazzini qualcuno si ricorda. Riguarda un accordo tra il comune e la Rai per la realizzazione di un palazzetto, che però ancora non esiste nemmeno come studio di fattibilità. Ma potrebbe tornare più che rilevante nelle prossime settimane, quando si discuterà della decisione del Tar della Liguria del diritto di utilizzo del marchio del Festival della canzone italiana e della sua eventuale messa a gara.
Il pronunciamento prevede che dal 2026, il marchio sia messo a gara, con il rischio che si affaccino interessati più facoltosi di Rai. O, al contrario, che la gara vada deserta e alla fine il comune finisca per ottenere meno soldi rispetto a quelli che gli vengono corrisposti ogni anno dal servizio pubblico.
«Alla fine, è bene che rimanga tutto com’è», è il ragionamento che circola a Roma, distillato anche in un comunicato spavaldo in cui l’azienda si era detta sicura del fatto che il festival rimarrà alla Rai. L’indiscrezione su un festival itinerante circolata nei giorni successivi alla sentenza sembra in questo momento più un piano B, anche in virtù dei finanziamenti extra festival che in passato sono fluiti tra Roma e la Liguria.
Ma la raccomandazione di mantenere intatto lo status quo sembra essere arrivata anche nella città dei fiori, dove si sono attrezzati nel giro di una manciata di giorni per procedere a un ricorso al Consiglio di stato, ancor prima della Rai. Lì ancora parlano per condizionali quando si discute del ricorso: della dilatazione dei tempi viene di nuovo considerato responsabile il direttore degli Affari legali Francesco Spadafora, ormai bersaglio prediletto di una parte della governance.
Legami dal passato
E così, in un comunicato il Comune annuncia di essersi attivato con la prima riunione di giunta possibile per «continuare a tutelare il Comune in tutte le sedi».
Soprattutto, fanno capire, in difesa dell’operato dell’ente nel passato. Al di là della discussione sulle capacità necessarie a un eventuale broadcaster alternativo alla Rai per mettere in piedi il festival in condizioni non esattamente agevoli come quelle dell’Ariston, l’ente pubblico non sembra aver particolare interesse a veder messo a gara il marchio. La ragione, oltre a un certo attaccamento alle tradizioni, sarebbe però molto più pragmatica.
Nello specifico, una delle argomentazioni che la Rai potrebbe tirare in ballo nel suo ricorso al Consiglio di stato, in fase di perfezionamento, è proprio l’accordo collegato alla convenzione tra il servizio pubblico e il comune, che però è un documento riservato. Dai primi anni Novanta ad alcune delle ultime convinzioni, sottoscritte alla fine degli anni Dieci, oltre ai soldi per il festival, la Rai ha infatti versato al comune di Sanremo ulteriore denaro esplicitamente destinato alla realizzazione di un nuovo palazzetto che un giorno, magari, avrebbe anche potuto ospitare la kermesse, considerato che il teatro è in condizioni tutt’altro che buone.
Un’ambizione che si fa largo tra i dirigenti Rai già nei primi anni Novanta: nel frattempo, in realtà, di palazzetto ne tirano su un altro, il Palafiori, che però non è adatto per ospitare cantanti e pubblico, tanto che oggi è utilizzato come fiera espositiva. «Figuriamoci, non è neanche a norma», sospirano a viale Mazzini.
Eppure, è proprio nel Palafiori – tra le altre cose – che sarebbero fluiti alcuni dei denari forniti dalla Rai, spiega chi conosce bene le carte. Calcolare l’importo complessivo del fiume di soldi arrivati da Roma, tra la rinegoziazione continua della convenzione e il passaggio di valuta oggi (che lo stanziamento è di circa 5 milioni alla città, ma la quota-palazzetto non è più prevista) è complicato, ma è certo che con la “destinazione aperta” di quei soldi del servizio pubblico il comune di Sanremo ha realizzato diverse strutture turistico-sportive.
Del palafestival, invece, nessuna traccia: «Il progetto riaffiora periodicamente, ma poi non si arriva mai a dama. Bisognerebbe aprire un discorso con la Regione e qualche privato, ma non si è mai andati oltre qualche progetto». Effettivamente, nell’ultimo periodo dell’amministrazione Biancheri, scaduta quest’anno, un architetto aveva presentato tre ipotesi, ma si è di nuovo arenato tutto.
Chissà che la discussione in tribunale non sblocchi la questione. In azienda, sicuramente, si ricordano bene degli assegni in bianco stanziati per progetti extra festival: «”Ricordate degli amici!”, come diceva Guzzanti quando imitava Rutelli. In comune non si saranno scordati, ne riparleremo anche in tribunale». Intanto, la Rai deve fare anno per anno i salti mortali per adattarsi all’Ariston, pregno di storia ma sempre meno gestibile. Anche se non è detto che, con i problemi organizzativi e logistici, oltre che politici, ci siano altre possibilità.
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