di Gianni Beretta da Buenos Aires
Dopo aver partecipato al G7 in Puglia del giugno scorso, Javier Milei è tornato a sorpresa a Roma (è il suo terzo viaggio in Italia) per partecipare da ospite d’onore alla chiusura della festa di Atreju di Fratelli d’Italia. Giorgia Meloni restituisce così l’invito del Presidente argentino a Buenos Aires di venti giorni fa (subito dopo il G20 di Rio de Janeiro) dove si sono fugacemente affacciati sulla Plaza de Mayo. Con lui che le ha ossequiato una statuetta nella quale imbraccia la fatidica motosega. Due incontri in meno di un mese. Senza contare che, appena arrivato a Roma, Meloni ha esteso la cittadinanza italiana a Milei (e alla sorella Karina, segretaria generale della presidenza) per aver avuto i nonni calabresi. E dire che esattamente un anno orsono la nostra Primo ministro aveva snobbato il suo insediamento senza inviare alla Casa Rosada nemmeno Antonio Tajani agli Esteri, bensì la sola incaricata all’università Anna Maria Bernini.
L’elezione di Donald Trump sta evidentemente cambiando il panorama internazionale. Ma nel caso dell’Argentina anche il fatto che il loco (pazzo) Milei sia ancora, nonostante tutto, sulla cresta dell’onda. Come ci descrive Martín Granovsky, editorialista ed ex direttore di Pagina 12, quotidiano che ebbe come collaboratori anche i “nostri” illustri Eduardo Galeano e Osvaldo Soriano (che ne fu pure il cofondatore).
Milei ha esordito con la svalutazione record del 118% del peso argentino in un solo giorno. Uno shock coerente con la sua campagna elettorale, all’insegna della motosega. Cui sono seguiti immediatamente le deregolamentazioni e tagli draconiani al bilancio dello stato per un 30% complessivo. Con la riduzione del 93% della spesa in infrastrutture e strade (in costruzione ma anche della loro manutenzione). Il licenziamento di 30mila impiegati pubblici. Il tracollo del welfare che, pur non ai livelli europei, era comunque il più consistente in America Latina: spesa sanitaria e istruzione, liquidazioni e pensioni; sussidi (luce, trasporti, politiche di genere, disabilità…); nonché delle sovvenzioni alle piccole e medie imprese, che assicurano l’80% dell’occupazione. Si sono salvati solo i settori minerario e dell’energia; e in parte la produzione cerealicola d’esportazione.
Il che ha provocato una tremenda recessione economica che Granovsky definisce “non una conseguenza ma un sacrificio espressamente pianificato per tornare ad essere, come ostenta pomposamente Milei, la più grande potenza”. Cosa che peraltro l’Argentina non è mai stata. Di qui il precipitare della produzione della manifattura, del mercato interno, del potere d’acquisto e conseguentemente dei consumi, inclusi gli alimentari. Siamo finiti col mangiare meno carne bovina; il che è il colmo per il nostro Paese. Del resto basta bere un caffè o una bottiglietta d’acqua al bar per accorgersi di quanto costino ben più che in Italia.
Il lavoro nero è inesorabilmente dilagato e, secondo l’Istat locale, gli indici di povertà sono cresciuti fino a superare la metà della popolazione; con quella assoluta al 13%. Dove invece Milei segue scrupolosamente le regole è nel pagamento del debito pubblico. Tanto che si profila un possibile accordo col Fondo Monetario Internazionale per nuovi prestiti.Chiediamo a questo punto a Martín se il consenso verso Milei tenga: La sua formazione Libertad Avanza era giunta solo terza alle elezioni col 30%, per poi imporsi al ballottaggio col 56% delle preferenze. Ebbene quel sostegno, che per il caos delle misure iniziali era diminuito, ora con la stabilizzazione del cambio del dollaro e della Banca Centrale, oltre che in parte del funzionamento dell’economia, è risalito negli ultimi due mesi intorno al 40-45%.
E alla domanda su chi stia favorendo col suo turbo/presidenzialismo, rappresentato peraltro da appena il 15% dei deputati in parlamento, risponde: “Nonostante Milei abbia messo al centro strumentalmente sin dal primo giorno un’avversione verso la casta, ovvero contro i politici corrotti, che gli è poi servita per guadagnarsi il voto dei giovani (soprattutto maschi) e comunque di coloro che non credevano più nella politica, ha praticato un pragmatismo negoziatore. Proprio lui che non si considera un politico. Innanzitutto col partito della destra di Propuesta Republicana dell’ex presidente Mauricio Macrì (e in parte con la Unión Civica Radical) piazzando diversi suoi dirigenti e un tempo ministri nel suo governo. Come Patricia Bullrich agli interni (arrivata terza alle urne), Luis Caputo all’economia e Federico Sturzenegger alla deregolamentazione. Ha pure stabilito scambi di favore con alcuni governatori (compreso qualche peronista) per indurre i loro deputati a votare per lui. Il tutto facilitato da una finanziarizzazione speculativa dell’economia con il varo di un provvedimento di emersione pressoché gratuita dei capitali occulti fino a centomila dollari”.
Viene da chiedersi a questo punto che fine abbia fatto l’opposizione politica e di piazza. Il peronismo, con la sua Unión por la Patria (in testa al primo turno, ma sconfitto col 44% ottenuto da Sergio Massa al secondo) ha subito una delle peggiori sconfitte della sua storia. Per di più non ad opera di un partito ma di un outsider. Cristina Kirchner (a sua volta inquisita dalla magistratura) si era del resto indebolita nel precedente governo di Alberto Fernandez (da lei scelto), che la crisi inflattiva (ereditata da Macri) non aveva saputo contenere. Ed ora non ha un’agenda chiara. Che poi le piazze non si riempiano come un tempo è dovuto al clima disanimato e d’intimidazione per la dura repressione delle manifestazioni, le detenzioni e il rischio di licenziamento di chi sciopera. Viene sventolato anche qui, cosa insolita per l’Argentina, il fantasma del marxismo, come ai tempi del vostro primo Berlusconi; ma almeno da voi un partito comunista c’era stato.
Chiediamo poi al nostro interlocutore sui rapporti di Milei con la stampa. Sono pessimi. Non dà interviste ed ha sospeso ogni pubblicità statale sui media. Ci tratta a suon di insulti. Ci definisce delinquenti col registratore incorporato. Il bilancio finale di questo primo anno di Milei (che si insediò il 10 dicembre 2023) ha portato dunque a una decrescita economica del 3,5% e un’inflazione che dopo lo shock iniziale è rallentata rispetto ai suoi primi mesi, fino al 2,5-3% mensile; così come gli stessi indici di povertà si stanno relativamente ammorbidendo. Con la sua mania di grandezza Milei è entrato nella pancia degli argentini; che se pure non sono più così speranzosi in lui, credono ancora che possa dare un futuro “meno peggiore” del passato. In questo contesto si sta preparando per le elezioni legislative del prossimo anno. Sempre fedele al motto: “disprezzo lo stato, che distruggerò; viva il libero mercato e il capitalismo delle libere imprese”.
In quanto poi a politica estera: Il megalomane Milei ostenta di sentirsi perlomeno alla pari di Trump, che ha voluto incontrare per primo subito dopo la sua rielezione. Così come ha accolto la sua nuora Lara Trump nell’ambito della Conferenza Politica di Azione Conservatrice (CPAC) appena svoltasi a Buenos Aires. Poi si è recato in Spagna ma solo per riunirsi col presidente di Vox, Santiago Abascal. E infine Giorgia Meloni che ha incontrato lo scorso fine settimana per la quinta volta, e con la quale condivide l’avversione a Putin per la guerra in Ucraina e un cordiale rapporto con Zelenski. A lei ha proposto “un’alleanza di nazioni libere contro la tirannia e la miseria, custode dell’occidente”; con a capo Trump per l’America del Nord, l’Argentina per il Sudamerica, Meloni in Europa e Israele. Mentre sta esercitando su Meloni pressioni affinché sciolga le perplessità che nutre (con la Francia) di ratificare lo schema di accordo fra Unione Europea e Mercosur stipulato a Montevideo una settimana fa con Ursula von der Leyen.
Granovsky sottolinea il particolare legame di Milei con Israele dove si è recato a febbraio annunciando l’apertura dell’ambasciata argentina a Gerusalemme; oltre a non esprimersi sulla questione dei “due popoli due stati”, seguita dai suoi predecessori. Mentre ha reintavolato rapporti col Regno Unito, osservando un silenzio tombale sulla altamente simbolica questione delle isole Malvinas.
Milei si attribuisce un ruolo sulla scena internazionale che l’Argentina non ha mai avuto, essendo al massimo storicamente protagonista nel subcontinente latinoamericano. Certo ora è il coordinatore del Mercosur, anche se fino a ieri lo aveva considerato una sorta di prigione; tanto da crearsi tensioni col Brasile di Lula (principale partner commerciale insieme alla Cina) e con il Cile di Bori”. Per quanto riguarda invece il confinante Uruguay, dove due settimane fa la sinistra del Frente Amplio si è imposta nel ballottaggio presidenziale: La sconfitta della destra a Montevideo non è per niente irrilevante per noi, essendo l’Uruguay da sempre il nostro principale paradiso fiscale.
Clamorosa invece la destituzione il mese scorso da parte di Milei della sua ministro degli esteri Diana Mondino, rea di aver confermato (come da sempre) il voto contrario dell’Argentina all’Assemblea dell’Onu sull’embargo degli Stati Uniti a Cuba. D’ora in avanti Milei si schiererà con gli Usa e Israele, unici a opporsi alla condanna.
Da ultimo ci rivolgiamo a Martín Granovsky con una provocazione. Verrà mai papa Francesco nella sua Argentina? Se non ci è venuto fino adesso men che meno lo farà ora. Certo, ha ricevuto come da protocollo Milei in Vaticano nel febbraio scorso. Ma voglio segnalare che l’attuale episcopato è il meno conservatore della storia dell’Argentina. Di più: si è convertito nel principale oppositore di questo governo. Con diversi dei suoi vescovi che commemorano quei loro predecessori che si schierarono decisamente contro la dittatura dei generali. Che al contrario Milei vuole in qualche modo riabilitare. Non solo; il “motoseghista” è strettamente legato all’Opus Dei, all’ultradestra evangelica e, come se non bastasse, agli ebrei ultraortodossi.
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