Il potere degli algoritmi e le nuove guerre digitali

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Guerra, media e democrazia nella società della cybersecurity: dalle esplosioni dei cercapersone degli Hezbollah alle intrusioni digitali nella campagna elettorale di Donald Trump. È il percorso del nuovo libro di Michele Mezza, “Connessi a morte” (Donzelli). Si tratta di una sorta di codice di accesso per comprendere la rivoluzione contemporanea in atto, scatenata dall’avvento del potere degli algoritmi, evoluta nella società digitale con i social come baricentro di ogni relazione, ed oggi, infine, approdata all’era dell’intelligenza artificiale.

Michele Mezza è stato giornalista per quarant’anni in Rai, dove ha ideato e sviluppato il progetto RaiNews24. Insegna all’Università Federico II di Napoli. È autore per Donzelli di numerose pubblicazioni, fra cui: Algoritmi di libertà (2018), Il contagio dell’algoritmo (2020), Caccia al virus (2021, con Andrea Crisanti) e Net-war (2022). In tutti i suoi libri, Mezza ha interpretato e narrato le mutazioni in atto con il piglio del cronista ma anche con la profondità interpretativa di un intellettuale immerso nel suo tempo, che però sa guardare oltre.

Al centro della sua analisi c’è sempre stato il potere dei dati, o meglio, di chi i nostri dati detiene ed è in grado di analizzarli attraverso le profilazioni algoritmiche. Perché chi ha i dati e sa interpretarli in chiave predittiva ottiene vantaggi enormi sia in termini commerciali che politici e anche geopolitici. In questa escalation gli Stati sovrani sono costretti nell’angolo, soverchiati dalla potenza dei padroni dei dati, i colossi digitali del nuovo “capitalismo della sorveglianza”, come l’ha definito Shoshana Zuboff.

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In uno scenario così delineato, l’intelligenza artificiale ridefinisce le regole della democrazia, dell’informazione, delle guerre. È dentro questa nuova era digitale, in attesa della ricomposizione di un inedito ordine mondiale che si fa fatica a individuare, che si dipana la narrazione di Michele Mezza. Il suo sforzo è quello di farci comprendere, di infondere conoscenza e consapevolezza. E di fornire chiavi di lettura. Come nel caso dell’esito delle recenti elezioni americane. Osserva Mezza: “Alla Casa Bianca Donald Trump ha vinto le elezioni, ma a trionfare è stato Elon Musk. Con i suoi data base, le sue piattaforme, i suoi infiniti elenchi di elettori contendibili, nelle contee e negli stati. È stata davvero un’elezione pianificata sulle pagine gialle dell’elettorato, dove la capacità di profilare intere comunità, usando l’Intelligenza Artificiale per identificare uno per uno gli incerti, ha prevalso su ogni altro messaggio. Siamo al tempo della persuasione mirata”.  

Mezza riporta anche analisi oggettive sulla profonda influenza delle strategie digitali di Musk nella vittoria di Trump: “Il Center for Countering Digital Hate ha calcolato come il supporto esplicito di Elon Musk alla campagna elettorale di Trump – scrive Mezza – ha prodotto tramite la piattaforma X (ex Twitter) non meno di due miliardi di visualizzazioni ai messaggi di migliaia di chatbot che hanno inondato le caselle degli elettori nei collegi contendibili con deepfake di ogni tipo. Inoltre, la stessa fonte ci informa che tramite YouTube almeno 47 milioni di elettori hanno potuto visionare in media per 11 volte ciascuno i filmati che usavano avatar o falsificazione di personaggi per compromettere gli avversari”.

Per la stessa sopravvivenza della democrazia, per l’informazione da sempre deputata alla formazione dell’opinione pubblica e oggi scalzata dall’agenda setting degli algoritmi, la sfida è difficile. Soprattutto se non si comprendono le opportunità che l’intelligenza artificiale offre. Scrive Mezza: “L’intelligenza artificiale, soprattutto nella fase della sua specializzazione, come stiamo vedendo nei formati anche più popolari – dalle nuove release di ChatGPT a Gemini di Google o Grok di Elon Musk – diventa un potentissimo acceleratore di questa relazione fra contenuto dell’informazione e profilo dell’utente, che il giornalista deve riprogrammare per non diventare, come ci spiega Umberto Galimberti nel suo saggio Psiche e techne «un funzionario della macchina».

Per i giornalisti, si tratta, in sostanza, di decidere se lavorare insieme ai modelli di Gen AI, usandoli e abbandonando novecenteschi imbarazzi, oppure se rimanere succubi, al servizio delle “macchine intelligenti”, vittime anche dei colossali ritardi degli editori.

Michele Mezza offre poi un approfondito reportage, come un inviato nelle nuove guerre digitali, in quella parte del libro in cui si addentra nel salto di qualità dei conflitti determinato dall’intelligenza artificiale. Già nel libro precedente, “Net war – Ucraina, come il giornalismo sta cambiando la guerra” (Donzelli, 2022) Mezza aveva analizzato i nuovi fenomeni in atto, e scriveva allora: “La guerra tra Russia e Ucraina, vista dalla prospettiva della narrazione giornalistica e comunque mediatica, ha determinato una vera e proprio “mediamorfosi”, che trasforma la guerra e il giornalismo in una contesa tecnologica”.

Due anni dopo il quadro delle connessioni digitali a fini bellici è drammaticamente evoluto: “Come l’11 settembre 2001 – scrive Mezza – anche il 17 settembre 2024 è un giorno cruciale nella storia della guerra. Quel giorno, con le migliaia di esplosioni nelle tasche degli Hezbollah, sono state archiviate visioni geopolitiche, credenze militari e culture sociali. A New York fu un uso sorprendente di abilità e sorpresa a rendere vulnerabile il sistema del trasporto aereo, che da allora è diventato un settore a massima sorveglianza. Oggi sono i saperi tecnologici con le ormai irrinunciabili abitudini connettive a permettere all’intelligence militare di trasformare il vitale sistema della comunicazione globale in un’arma propria. L’individuazione prima e poi il cecchinaggio a distanza del network di una delle organizzazioni più inafferrabili e coperte, come quella degli Hezbollah – scrive Mezza – mediante una lunga azione di depistaggio e infiltrazione nel cuore del nemico, conclusa con una micidiale gestione della tracciabilità e raggiungibilità di ognuna di quelle migliaia di combattenti grazie a quei dispositivi che sembravano sicuri, ha reso ogni apparato mobile, connesso alla rete, un bersaglio. La mobile war – conclude Mezza – trasforma così il web in un poligono di tiro permanente, dove ognuno può essere cecchino o vittima. Confondendo guerra e pace in un’unica uniforme cospirazione”.

La riflessione che su questo tema delinea nella prefazione Barbara Carfagna, giornalista del TG1, autrice e conduttrice della trasmissione di cultura digitale “Codice” di Rai 1, riguarda tutti: “Cosa comporta il fatto che una condizione di vita ormai irrinunciabile come la connettività sia diventata un mezzo di minaccia individuale per intere moltitudini? – si chiede Carfagna – Cosa succede ora che non ci nascondiamo più che i dati che rilasciamo, inevitabilmente consentono il nostro tracciamento anche ai fini di una possibile eliminazione?”.

Interrogativi da cui nessuno, al tempo delle connessioni, può sentirsi escluso”.

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