Se Bashar al Assad è caduto, la causa è stata nel “piano congiunto americano e sionista, e grazie al ruolo di un Paese vicino alla Siria”, che poi sarebbe la Turchia. In queste parole dell’ayatollah Ali Khamenei, vero leader dell’Iran, è racchiusa la realtà della Siria e del Vicino Oriente oggi: sarà ancora guerra. O comunque, saranno tensioni pericolose per tutta la regione, nella logica del Risiko planetario, dello contro fra “filomericani” e “antagonisti”.
La vittoria degli oppositori di al Assad, per Teheran è un brutto colpo. Si sta sfaldando l’asse di resistenza che la repubblica iraniana aveva creato in decenni, asse che sul filo di Hezbollah correva in Siria, Libano e Gaza. L’attacco di Israele pare aver raggiunto l’obiettivo, quindi, aiutato dai ribelli filoturchi che sono entrati a Damasco. Non a caso, il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha rivendicato che “Israele sta smantellando l’asse del male dell’Iran”. Il capo del governo israeliano, d’altro canto, da tempo spiega al Mondo che le guerre in corso hanno tutte l’obiettivo di “portare la pace nell’area” grazie alla sconfitta dei nemici di Israele. Il suo ministro della Difesa, Israel Katz, ha spiegato, invece, che Khamenei “dovrebbe piuttosto biasimare se stesso, per aver investito in gruppi armati nel tentativo di sconfiggere lo Stato di Israele”.
Parole che fanno capire come attorno alla Siria lo scontro durerà e a lungo. Questo nonostante il leader dei rivoluzionari siriani, al Jolani, continui nel tentativo di rassicurare il Mondo. Certo, ha dichiarato che non vi sarà amnistia per i torturatori del regime – e questo lo si è visto nelle esecuzioni sommarie e brutali dell’ultima settimana -, ma alla comunità internazionale ha fatto sapere che “non ha nulla da temere”. Ha garantito anche che non verranno imposte limitazioni alle libertà personali dei siriani e delle siriane.
Il governo provvisorio cerca di mettere ordine al dopoguerra. Resterà in carica fino a marzo 2025. Intanto, Mosca conferma che l’ex presidente siriano è ospite di Putin, con tutta la famiglia. Per la Russia, la sconfitta in Siria è uno smacco. Sul piano internazionale, l’immagine si è appannata ulteriormente. Cosa che Pechino, come sempre prudente, ha evitato. I rapporti tra Damasco e Pechino erano stretti durante il mandato di al-Assad, ma la Cina, a differenza di Iran e Russia, non ha avuto un coinvolgimento militare diretto. Così, dalla capitale cinese fanno sapere che “il futuro e il destino della Siria dovrebbero essere decisi dal popolo siriano e speriamo che tutte le parti interessate trovino una soluzione politica, per ripristinare la stabilità e l’ordine il prima possibile”.
Chi continua ad agire è Israele, che in nome della propria sicurezza, ha occupato una fascia di circa 14 chilometri di profondità di territorio siriano e bombarda le postazioni militari e i depositi. La Francia ha chiesto a Tel Aviv di ritirarsi immediatamente, rispettando la sovranità siriana e gli accordi di pace del 1974.
Una richiesta che cadrà nel vuoto. Israele accordi e regole, negli ultimi anni, pare ignorarli. Lo dimostra il premier Netanyahu che, in tribunale, difendendosi dalle accuse di corruzione, ha spiegato quanto sia legittimo e giusto per la democrazia che i politici influenzino la stampa. Al fronte, le Forze Armate israeliane hanno annunciato il ritiro da Khiam, nel Libano meridionale, in conformità con l’accordo di cessate il fuoco con Hezbollah. L’esercito israeliano ha avvertito di essere comunque ancora pronto ad operare contro qualsiasi minaccia. L’esercito libanese ha, invece, comunicato di aver iniziato a schierarsi a Khiam dopo il ritiro di Tsahal, in coordinamento con i Caschi Blu di Unifil. Ha anche avvertito la popolazione di non avvicinarsi del pericolo esistente per gli ordigni inesplosi
A Gaza, intanto, la guerra continua e continuano i morti. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha votato una risoluzione, in cui si chiede l’immediato cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Difficile pensare possa ottenere qualche risultato. Esattamente come è stata respinta dal presidente ucraino Zalensky una proposta di cessate il fuoco per il Natale e di uno scambio di prigionieri su larga scala. L’ha avanzata dal Presidente di turno dell’Ue, Viktor Orban. Non ci sarà alcuna tregua, mentre è confermato che sono11mila i soldati nordcoreani schierati nel Kursk, la regione russa occupata dalle truppe ucraine dallo scorso agosto. La Corea del Nord ha spedito anche altre forniture militari, tra cui numerosi lanciarazzi e artiglieria a lungo raggio. Di truppe straniere in quella guerra parlano anche altri. Negli ultimi giorni è tornato d’attualità il tema dell’invio di truppe europee in Ucraina. Assieme alla Francia, la prima a parlare dell’idea, ora c’è il Regno Unito. Altri Paesi potrebbero aggiungersi, alzando l’asticella – già molto alta – della tensione.
Sono nato a Verona nel 1960. Sono l’ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo” e sono presidente dell’Associazione 46mo Parallelo che lo amministra. Sono caposervizio e conduttore della Tgr Rai, a Trento e collaboro con la rubrica Est Ovest di RadioUno. Sono diventato giornalista a tempo pieno nel 1988. Ho lavorato per quotidiani, televisioni, settimanali, radio siti web. Sono stato inviato in zona di guerra per Trieste Oggi, Il Gazzettino, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Liberazione. Ho raccontato le guerre nella ex Jugoslavia, in America Centrale, nel Vicino Oriente. Ho investigato le trame nere che legavano il secessionismo padano al neonazismo negli anni’90. Ho narrato di Tangentopoli, di Social Forum Mondiali, di G7 e G8. Ho fondato riviste: il mensile Maiz nel 1997, il quotidiano on line Peacereporter con Gino Strada nel 2003, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, nel 2009.
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