la crisi non risparmia il Veneto e mette in difficoltà l’automotive

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Eppure, il Veneto non sembrava arretrato nella ricerca e nello sviluppo nel settore automotive, cioè la filiera di industrie coinvolte nella produzione automobilistica. L’Osservatorio sulle trasformazioni dell’ecosistema automotive italiano 2023, gestito dall’Università Ca’ Foscari di Venezia, lo posizionava appena dietro l’Emilia-Romagna: il 70 per cento delle aziende la praticava nel 2022, contro il 55 per cento del Nord-Ovest. In Emilia-Romagna, le aziende che investivano in ricerca e sviluppo erano il 76 per cento. Restava la drammatica mancanza di personale qualificato, un problema che risulta più acuto rispetto ad altre regioni. D’altro canto il Nordest spiccava per previsioni negative sul piano occupazionale: le stime, per il 2027, indicavano un calo del 4,3 per cento, a fronte di una crescita del 6,3 per cento in Lombardia, e del 3,1 per cento nel Centro Italia.

Poi, tutto è precipitato: la crisi tedesca, le guerre, una politica incerta tra l’opzione “green” e i rinvii sulla eliminazione dei motori a scoppio nel 2035. Il settore automobilistico si trova nel pieno della tempesta. Si moltiplicano le richieste di cassa integrazione, e anche il Veneto è in crisi: Speedline nel Veneziano, Irca e Silca nel Trevigiano, Carraro nel Padovano.

Alla fine del 2022, secondo i dati Infocamere, la filiera dell’automotive in Veneto – che comprende la produzione di auto e componentistica, la commercializzazione e i servizi post-vendita – contava 11.283 sedi di impresa attive e 26.420 dipendenti. Solo il 3 per cento di queste aziende si occupa di produzione di autoveicoli, carrozzerie e parti di ricambio. Il Veneto è una regione di meccanici, autosaloni e noleggiatori. Il 55 per cento delle imprese si dedica alla manutenzione e riparazione, il 40 per cento alla vendita di auto e il restante 2 per cento al noleggio.

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Nonostante ciò, il colpo è stato evidente, con il crollo delle vendite e dell’occupazione. Il Veneto si posiziona al quarto posto in Italia nel settore automotive, con un fatturato di 1,4 miliardi di euro l’anno, pari all’8 per cento del fatturato nazionale. Verona guida la classifica regionale, con 45 sedi di produzione, mentre Treviso è in coda con 28 sedi di componentistica.

Una crisi fortemente legata all’export: i principali partner commerciali sono tutti in difficoltà. Rispetto al 2019, ultimo anno di massima espansione del commercio mondiale, le esportazioni hanno registrato una diminuzione del 6,4 per cento, pari a circa 102 milioni di euro di merce in meno. Il settore più colpito è stato quello della componentistica e degli accessori per autoveicoli, meno 91 milioni di euro. Le perdite più significative si sono registrate verso il Regno Unito, -64 milioni di euro e la Germania, -40 milioni di euro. L’import cresce, al momento l’invasione cinese non è alle porte.

In Veneto, quasi un terzo del parco veicoli è Euro 6, mentre solo lo 0,4 per cento è elettrico. Tre quarti delle aziende del settore sono microimprese, per lo più concentrate nella post-produzione. I segnali di crisi si sono manifestati prima tra i riparatori di auto (-2 per cento) e i ricambisti (-11 per cento), mentre il settore della componentistica ha segnato un incremento del 15 per cento.

“L’elettrico sta iniziando a prendere piede, ma siamo ancora fanalino di coda in Europa – commenta il presidente di Cna Veneto, Moreno De Col -. Il percorso va calibrato sui mezzi a disposizione, concentrandoci sull’accompagnamento delle imprese in questo delicato passaggio tecnologico. Focalizzarsi unicamente sull’elettrico può comportare costi sociali ed economici eccessivi, difficilmente sostenibili rispetto ai benefici ambientali, che restano imprescindibili”.

Anche Mario Pozza, presidente di Unioncamere del Veneto, sollecita incentivi e una maggiore neutralità tecnologica: “Oggi quasi il 60 per cento della produzione di componentistica è destinato al mercato estero, principalmente in Germania e Francia. Lo stop dell’Unione europea alla produzione di motori diesel e benzina, dal 2035, avrà un impatto negativo non solo sull’occupazione, ma anche sull’export veneto. È necessario introdurre correttivi”.



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