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ESG è l’acronimo di EnvironmentalSocial Governance ovvero l’impegno a tutela dell’ambiente, il rispetto dei diritti umani e sociali e la trasparenza nell’attività di amministrazione e di governo aziendale, tre fattori centrali nella misurazione della sostenibilità di un’impresa

Cosa si intende per sostenibilità?

Una delle prime definizioni fu data nel 1987 dal Rapporto Brundtland, presentato dal presidente della Commissione mondiale su ambiente e sviluppo (World Commission on Environment and Development, WCED), secondo cui «è sostenibile uno sviluppo che soddisfa i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri».

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Quando si parla di sostenibilità, si pensa immediatamente alla sostenibilità ambientaleovvero all’impatto di un’organizzazione sull’ambiente in termini di gestione delle risorse naturali, efficienza energetica, gestione dei rifiuti e rispetto delle normative ambientali.

La sostenibilità, però, investe anche il fattore sociale ovvero il modo in cui un’impresa si impegna nei confronti di dipendenti, comunità locali, clienti e fornitori promuovendo equità, giustizia sociale e benessere per tutti e include aspetti come la diversità e l’inclusione, la parità di genere, la tutela dei diritti delle persone con disabilità, la salute e la sicurezza sul lavoro.

Un’organizzazione, inoltre, può dirsi sostenibile quando la sua governance si fonda su pratiche aziendali e meccanismi di controllo che influenzano la composizione e l’indipendenza degli organi di amministrazione e che garantiscono la trasparenza delle informazioni finanziarie, le politiche etiche, l’anticorruzione.

Sono diverse le iniziative comunitarie che stanno consolidando nuove e maggiori aspettative nei confronti delle società alle quali si richiede la massima attenzione sulle ricadute dell’attività imprenditoriale sul contesto socio-economico e ambientale. Tali iniziative si inseriscono nell’ambito dell’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile nonché del Green Deal Europeo.

Vediamo insieme di cosa si tratta.

ONU e UE. Gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile

L’Agenda ONU 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione sottoscritto nel settembre 2015 dai governi degli Stati membri dell’ONU e che individua 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile, quali – ad esempio – la lotta alla povertà, il contrasto al cambiamento climatico, la parità di genere, la riduzione delle disuguaglianze, il lavoro dignitoso e la crescita economica.

Nell’ambito dell’Agenda 2030 si colloca anche il Green Deal europeo, un pacchetto di iniziative strategiche, promosso dalla Commissione europea a partire da dicembre 2019 per contrastare il cambiamento climatico e realizzare una transizione giusta verso un futuro sostenibile.

Il pacchetto comprende iniziative riguardanti clima, ambiente, energia, trasporti, industria, agricoltura e finanza sostenibile, tutti settori fortemente interconnessi e ha l’obiettivo ultimo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, trasformando l’Unione in una società equa e prospera con un’economia moderna e competitiva.

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Tra gli interventi direttamente connessi agli obiettivi di sviluppo sostenibile sopra richiamati si collocano la Direttiva 2022/2464 sulla rendicontazione annuale di sostenibilità e la Direttiva 2024/1760 sulla due diligence che ha integrato ulteriormente gli obblighi di rendicontazione e dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 2026.

La Direttiva 2022/2464 e la sua attuazione in Italia 

La Direttiva n. 2022/2464 (c.d. CSRDCorporate Sustainability Reporting Standard Directive) impone nuovi obblighi di rendicontazione da parte delle società circa il proprio operato e i relativi impatti in materia di ambiente, diritti umani e sociali e governance. Secondo il c.d. principio della doppia materialità o doppia rilevanza le imprese interessate sono chiamate a riferire sia in merito all’impatto delle proprie attività sulla società e sull’ambiente sia in merito al modo in cui le questioni di sostenibilità incidono sullo sviluppo e sulle performance aziendali.

In Italia il recepimento della Direttiva CSRD è avvenuto con il D.lgs. 125/2024, pubblicato in Gazzetta il 10 settembre scorso, che ha sostituito la «dichiarazione individuale di carattere non finanziario» con la «rendicontazione individuale di sostenibilità».

Quali sono, dunque, i nuovi obblighi per le imprese? Eccone alcuni.

  • Obbligo di predisporre la rendicontazione di sostenibilità secondo standard comuni definiti a livello europeo (c.d. ESRS). Tra le informazioni oggetto di rendicontazione, vi sono le informazioni sul personale relative alle condizioni di lavoro (es. orario di lavoro, salario, diritti di informazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori nonché salute e sicurezza), alla parità di trattamento (es. parità di genere, disabilità) e ad altri diritti connessi al lavoro (es. lavoro minorile, lavoro forzato, riservatezza). Tali dati devono riguardare non solo la forza lavoro propria dell’impresa, ma anche quella dei rispettivi partner commerciali nella cosiddetta catena del valore
  • Obbligo di sottoporre la rendicontazione di sostenibilità al rilascio dell’attestazione di conformità agli standard europei, da parte di un revisore legale o di una società di revisione contabile.
  • Obbligo di pubblicare la rendicontazione di sostenibilità e la relativa attestazione di conformità secondo le modalità previste dal codice civile per il bilancio nonché sul sito internet dell’impresa (se non dispone di un sito internet, la società rende disponibile una copia cartacea dei medesimi documenti per chiunque ne faccia richiesta).
  • Obbligo di consultazione sindacale con i rappresentanti dei lavoratori al livello appropriato con cui discutere delle informazioni pertinenti e dei mezzi per ottenere e verificare le informazioni sulla sostenibilità. I rappresentanti dei lavoratori poi comunicano il loro parere all’organo amministrativo e di controllo della Società.

L’applicazione delle disposizioni del decreto avverrà in maniera graduale a seconda della tipologia di destinatari. In particolare, saranno obbligate, 

– a decorrere dall’esercizio finanziario che inizia il 1° gennaio 2024, le grandi imprese e le imprese madri di gruppi di grandi dimensioni, con oltre 500 dipendenti e che siano enti di interesse pubblico (ovvero società quotate, banche, imprese di assicurazione e di riassicurazione); per grandi imprese si intendono quelle che alla data di chiusura del bilancio abbiano superato due dei seguenti limiti: stato patrimoniale pari a 25 milioni di euro, ricavi netti pari a 50 milioni di euro, una media di 250 dipendenti;

– a decorrere dall’esercizio finanziario che inizia il 1° gennaio 2025, tutte le altre grandi imprese e società madri di grandi gruppi, diverse da quelle di cui al punto precedente; 

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– a decorrere dall’esercizio finanziario che inizia il 1° gennaio 2026, le piccole e medie imprese quotate, gli enti creditizi piccoli e non complessi e le imprese di assicurazione e riassicurazione captive; per piccole e medie imprese  quotate si intendono  le  società  con  valori mobiliari ammessi alla negoziazione su mercati regolamentati italiani o dell’Unione europea che alla data di  chiusura  del  bilancio rientrino in almeno  due  degli  intervalli  di  seguito indicati: stato patrimoniale compreso tra  450 mila euro e 25 milioni di euro; ricavi netti delle vendite e delle prestazioni  compresi tra 900 mila euro e 50 milioni di euro; numero medio dei dipendenti occupati  tra 11 e 250;

 a decorrere dall’esercizio finanziario che inizia il 1° gennaio 2028, le imprese di paesi terzi.

Sono, invece, escluse dal campo di applicazione del provvedimento le microimprese.

La Direttiva 2024/1760 relativa agli obblighi di due diligence 

Gli obblighi di rendicontazione imposti dalla Direttiva 2022/2464 sono stati, poi, integrati dalla Direttiva 2024/1760 (Corporate Sustainability Due Diligence Directive).

La c.d. CSDDD o CS3D mira a rafforzare il dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità, imponendo loro di garantire il rispetto degli obblighi in materia di ambiente e dei diritti umani lungo tutta la catena del valore

Ciò comporta che le società dovranno adottare misure adeguate a prevenire, attenuare, arrestare o minimizzare gli impatti negativi – sull’ambiente e sui diritti umani – derivanti dalle loro attività nonché da quelle delle controllate e dei partner commerciali, collegate alla loro catena di attività. Si pensi, ad esempio, a tutte le attività “a monte” o “a valle” di una società, quali la progettazione, l’estrazione, l’approvvigionamento, la produzione, la distribuzione, il trasporto e la fornitura di materie prime, prodotti o parti di prodotti e lo sviluppo del prodotto o del servizio. 

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Quando la direttiva parla di impatto sui “diritti umani” fa riferimento chiaramente anche ai diritti dei lavoratori tra i quali rientrano espressamente «il diritto di godere di giuste e favorevoli condizioni di lavoro» (tra cui un equo salario atto a garantire condizioni di vita dignitosa), la sicurezza e l’igiene del lavoro, «la libertà di associazione e di riunione e i diritti di organizzazione e di negoziazione collettiva», la parità di trattamento in materia di occupazione e la tutela contro lo sfruttamento del lavoro minorile.

Chi sono i destinatari dei nuovi obblighi?

  1. le imprese UE che abbiano occupato in media oltre 1000 dipendenti e abbiano realizzato un fatturato netto a livello mondiale superiore a 450 milioni di euronell’ultimo esercizio e quelle che, pur non raggiungendo tali soglie, siano capogruppo di un gruppo che, invece, le raggiunga;
  2. le imprese extra-UE con un fatturato superiore a 450 milioni di euro nel penultimo esercizio e quelle che, pur non raggiungendo la suddetta soglia, siano capogruppo di un gruppo che, invece, la raggiunga;
  • le imprese UE ed extra-UE che abbiano concluso accordi di franchising o di licenza nell’UE con società terze indipendenti in cambio di diritti di licenza di ammontare superiore a 22,5 milioni di euro nell’ultimo esercizio (penultimo per le società extra-UE) e che abbiano registrato un fatturato netto a livello mondiale superiore a 80 milioni di euro nell’ultimo esercizio (penultimo per le società extra-UE).

Le società che rientrano in una delle categorie sopra-elencate dovranno adempiere l’obbligo di due diligence mediante:

  • integrazione del dovere di diligenza nelle politiche e nei sistemi di gestione dei rischi, elaborando – previa consultazione con i dipendenti e i loro rappresentanti – anche un codice di condotta e una descrizione delle procedure predisposte;
  • individuazione e valutazione degli impatti negativi effettivi o potenziali causati dalle proprie attività o da quelle delle filiazioni e, se collegate alla propria catena di attività, da quelle dei partner commerciali;
  • prevenzione degli impatti negativi potenziali sui diritti umani e sull’ambiente;
  • arresto e riparazione degli impatti negativi effettivi;
  • dialogo efficace con i portatori di interessi, inclusi i dipendenti e i loro rappresentanti, sia nella fase di individuazione e valutazione degli impatti negativi sia durante l’elaborazione di piani d’azione in materia di prevenzione che in fase di adozione di misure adeguate a riparare gli impatti negativi;
  • instaurazione e mantenimento di una procedura di reclamo attivabile da parte di soggetti (anche sindacati) che nutrano un legittimo timore circa gli impatti negativi – effettivi o potenziali – delle attività svolte dalla società, dalle sue filiazioni e dai suoi partner;
  • monitoraggio dell’efficacia della politica e delle misure implementate, mediante valutazione periodica da effettuare al verificarsi di un cambiamento significativo e in ogni caso almeno ogni 12 mesi;
  • comunicazione delle attività di due diligence svolte, pubblicando sul sito web una dichiarazione annuale.
Qual è il termine di recepimento della direttiva?

Gli Stati membri dovranno recepire la direttiva entro il 26 luglio 2026

I relativi obblighi troveranno applicazione a decorrere:

  • dal 26 luglio 2027 per le società UE con più di 5.000 dipendenti in media e un fatturato netto a livello mondiale superiore a 1,5 miliardi di euro nell’ultimo esercizio e per le società extra-UE con un fatturato di 1,5 miliardi di euro nel penultimo esercizio;
  • dal 26 luglio 2028 per le società UE con più di 3.000 dipendenti in media e un fatturato netto a livello mondiale superiore a 900 milioni di euro nell’ultimo esercizio e per le società extra-UE con un fatturato superiore a 900 milioni di euro nel penultimo esercizio;
  • dal 26 luglio 2029 per tutte le altre società.
Conclusioni

Le nuove direttive europee sulla sostenibilità impongono alle imprese di integrare i principî ESG nelle loro strategie, rendicontando il proprio impatto ambientale, sociale e di governance. Aderire a queste misure è cruciale per la conformità normativa e per restare competitivi in un mercato orientato alla sostenibilità.

Toffoletto De Luca Tamajo è a Vostra disposizione per illustravi le azioni concrete da intraprendere per adeguarsi alle normative nazionali e comunitarie.

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Per maggiori informazioni: comunicazione@toffolettodeluca.it



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