A Melfi, in Basilicata, la crisi dello stabilimento Stellantis coinvolge (compreso l’indotto) 9mila famiglie. In Puglia, a Foggia sono circa 2mila i posti di lavoro del settore automotive a rischio. A Bari e provincia più di 6mila i lavoratori che da tempo sono in cassa integrazione o in contratto di solidarietà , a Lecce il più grande stabilimento del settore con i suoi 900 dipendenti non vive momenti migliori. Quasi 9mila lavoratori che tremano per il loro futuro. La crisi del settore automobilistico fra Puglia e Basilicata coinvolge circa 20mila persone, non a caso il governo sta valutando se stanziare nella manovra 400 milioni di euro per venire incontro alle aziende della filiera della componentistica. Ma potrebbero non essere sufficienti sino a quando l’Europa non si farà carico dei costi sociali che la trasformazione green comporta.
A Foggia lo stabilimento Iveco Spa – Ftp Industrial produce motori diesel per veicoli commerciali leggeri per la Iveco e per macchine agricole e macchine movimento terra. I dipendenti sono 1600, da qualche mese sono in cassa integrazione. A partire da giugno, stanno facendo, in media, una settimana circa di cassa integrazione al mese, per effetto del calo di commesse che riguardano principalmente la fornitura di motori per macchine agricole, ma anche quelli legati ai veicoli commerciali leggeri. Per il 2024 è prevista una diminuzione produttiva rispetto all’anno precedente del 14% a cui si aggiunge la previsione di un ulteriore calo del 7% nel 2025. Ciò comporterà un aumento delle giornate di cassa integrazione. «Manca un piano industriale nell’ottica della transizione ecologica che dia prospettive future a lungo termine – sostiene Marco Potenza, segretario Fiom Foggia – la Iveco sta iniziando a produrre i motori per i Daily elettrici a Brescia. Nell’ottica della transizione energetica noi siamo uno stabilimento che produce motori endotermici per cui a oggi non abbiamo una prospettiva di riconversione dello stabilimento. Siamo preoccupati per il futuro prossimo e per le prospettive un po’ più lontane. E poi anche se ci venissero a dire, nelle migliori delle ipotesi, che passiamo all’elettrico ci sarebbe un taglio occupazionale del 30-40%, ma non c’è neanche questa ipotesi sul tavolo».
A Bari nello stabilimento Marelli i dipendenti non si aspettano nulla di buono sotto l’albero di Natale. Il contratto di solidarietà sarà attivo fino a gennaio 2026. I giorni di cassa integrazione sono circa 20 al mese, anche se non per tutti. Poi c’è un altro segnale. I 120 milioni di euro annunciati dall’azienda a luglio scorso, per il quadriennio 2024-2027, ad oggi non hanno prodotto alcun tipo di riscontro positivo, né in termini di produttività né di lavoro effettivo. Anzi ora gli esuberi sono più di 300. A partire dal 2019, da quando la Marelli è stata acquisita dal gruppo KKR, secondo i sindacati manca una visione chiara di strategia industriale. «Una gestione di questo tipo, però, non potrà resistere agli effetti della crisi del settore automotive – afferma Mimmo Renò, Rsu Fiom – che avrà ricadute pesanti e drammatiche anche sul nostro comparto, ovvero la componentistica, che sta già subendo un forte impatto. Gli effetti di questa crisi sono tutt’altro che finiti. Noi sindacati abbiamo l’obbligo di portare avanti la negoziazione a livello aziendale sulla riduzione dell’orario di lavoro a parità di stipendi e di far desistere le aziende dall’incentivare gli esodi e sostenere le iso-pensioni, tutte pratiche antiquate».
Segnali preoccupantiÂ
Un altro segnale preoccupante per i 998 dipendenti dello stabilimento di Modugno è ciò che è successo dopo il licenziamento a settembre del 2023, dei 230 dipendenti dello stabilimento Marelli di Crevalcore. La linea Cab è stata trasferita da Crevalcore a Bari, e questo avrebbe dovuto dare garanzie produttive e occupazionali per lo stabilimento di Modugno. Lo stabilimento di Crevalcore è stato chiuso ma di benefici a Bari neanche l’ombra. Non se la stanno passando bene neanche i 160 dipendenti della Isotta Fraschini, sede unica a Bari. Aver perso una commessa per la produzione dei gruppi per cacciamine a favore della tedesca Mtu ha messo in allarme sindacati e lavoratori. «Non ha alcun senso che questa classe di navi, equipaggiata da tempo con il prodotto Isotta Fraschini, che ha sempre performato in maniera efficace ed efficiente – affermano i rappresentanti di Fim e Fiom – debba essere appannaggio di un competitor tedesco, non in grado di garantire la medesima performance; oltretutto Mtu è di proprietà Roll’s Royce. Ribadiamo la forte preoccupazione per questa situazione, che riteniamo inaccettabile e tale da avere impatti negativi sul percorso di rilancio». Infine a Lecce, nel principale stabilimento, quello della CNHi che conta 900 dipendenti e produce macchine movimento terra per il settore edile, la cassa integrazione interessa il 25% dei lavoratori.
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