Perchè non sciopero? • Partito dei CARC

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Nel corso dei giorni successivi allo sciopero generale del 29 novembre in tutto il P. Carc si è avviato un lavoro di bilancio di come le varie sezioni e il Partito è intervenuto per costruire la massima partecipazione dei lavoratori a questo sciopero. La questione, ovviamente, ha riguardato anche l’adesione e partecipazione allo sciopero e alle manifestazioni di giornata di militanti e simpatizzanti. Da questi confronti sono emersi molti spunti rispetto alle difficoltà e gli ostacoli che oggi i lavoratori del nostro paese incontrano nello scioperare. Qui ne abbiamo riportate alcune con alcune riflessioni che a queste difficoltà e problematiche danno una prima risposta.

Una compagna toscana, ad esempio, ha raccontato di non aver potuto partecipare allo sciopero perché lavora in un circolo ARCI, non facendo tante ore al giorno, la paga è piuttosto bassa per cui anche perdere un giorno di lavoro significa non riuscire a coprire l’affitto e le altre spese fisse mensili. Nonostante questo nei giorni precedenti allo sciopero la compagna ha partecipato a volantinaggi, incontri con i lavoratori e altre attività che hanno contribuito alla costruzione dello sciopero ma con il “magone” di non aver scioperato in prima persona.

Un altro compagno lombardo ha spiegato di non aver potuto aderire allo sciopero perché lavoratore a progetto in un team di altri precari come lui per cui scioperare avrebbe messo in difficoltà i suoi colleghi. Per cui non se l’è sentita. Anche in questo caso il compagno ha contribuito alla costruzione dello sciopero con i compagni della sua sezione ma sente la contraddizione tra la teoria che ha diffuso tra altri lavoratori e la sua pratica.

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Quelle riportate sono solo due esperienze che abbiamo selezionato ma che sono utili a trattare difficoltà e problemi che i lavoratori incontrano per aderire e partecipare agli scioperi. Le contraddizioni emerse riguardino non solo anche altre compagne e compagni del P.CARC, ma più in generale, anche compagne e compagni afferenti agli organismi del movimento comunista che, come il P.CARC, hanno propagandato lo sciopero generale tra i lavoratori, compresi quelli della loro base.

Seppur lavoratori, infatti, noi comunisti possiamo cadere nella tendenza di vedere gli scioperi come rituali a cui partecipare solo perché ci sono lavoratori in lotta. Come fossero mobilitazioni che riguardano gli altri lavoratori e non noi. Non ci mettiamo nell’ottica, a volte, di vedere lo sciopero come occasione per cominciare a intervenire e fare politica sul nostro posto di lavoro. Soprattutto in aziende piccole o poco sindacalizzate organizzare e mobilitare i lavoratori può sembrare difficile, quindi anche costruire uno sciopero!

È per questa ragione che dobbiamo vedere la mancata adesione allo sciopero generale del 29 novembre non come una sconfitta personale, ma come il punto di partenza per promuovere organizzazione sul nostro posto di lavoro, cominciando a parlare di quelli che sono stati i contenuti di questo sciopero generale e dei problemi che incontriamo ogni giorno nell’azienda dove lavoriamo. Il movimento operaio nei decenni ha elaborato diverse forme di lotta e organizzazione e noi comunisti dobbiamo raccogliere da quello che gli operai e i lavoratori già fanno, da tutte le pratiche e tendenze più avanzate che mettono in campo per sintetizzarle, renderle strumenti in grado di intervenire efficacemente nella lotta di classe ed essere estesi.

Le questioni che emergono quando si tratta di aderire o meno a uno sciopero sono tante e capita più spesso di quanto si pensi che compagne e compagni non riescano e farlo per la paura di subire ripercussioni o repressione. Si tratta di un problema reale, che può presentarsi soprattutto se si lavora in ambienti con pochi dipendenti o dove si è soli a scioperare nell’azienda. Se ci pensiamo questo ragionamento cozza con il principio per cui “i diritti si difendono praticandoli” che andiamo a propagandare davanti ai cancelli delle fabbriche. Dobbiamo tener conto inoltre che più lo costruiamo lo sciopero, più creiamo le condizioni per difenderci dal padrone. Non ci scordiamo che scioperare è ancora un diritto sancito dalla Costituzione e i padroni lo sanno bene!

Altri ancora, come emerge dalla seconda esperienza citata, hanno paura che la loro astensione dal lavoro metta i colleghi in difficoltà. Anche questo è un problema concreto, ma questa crepa morale non fa che assecondare le politiche del padrone che assume meno dipendenti e li spreme come limoni per alimentare la concorrenza – e l’antagonismo – tra loro. Senza considerare il fatto che un lavoratore può astenersi da lavoro anche per altri motivi, ad esempio per malattia e il risultato per i nostri colleghi non cambierebbe affatto.

Un’altra difficoltà concreta è quella economica perché la giornata di sciopero non è retribuita e molti di noi, come del resto molti lavoratori, hanno difficoltà ad arrivare a fine mese. A questa problematica è sicuramente possibile far fronte innanzi tutto parlandone con i propri colleghi o con il proprio collettivo di riferimento per quanto riguarda noi compagni del Partito, in modo da poter organizzare, ad esempio, una raccolta per la cassa di resistenza. Costruire lo sciopero significa anche questo. Darsi i mezzi, anche economici, per affrontare il tentativo della classe dominante di distogliere i lavoratori dalla lotta di classe per mezzo del regime di controrivoluzione preventiva. In questo caso attraverso quella rete di vincoli finanziari (mutui, rate, ipoteche, bollette, tasse, affitti, ecc.) che li mette quotidianamente a rischio di perdere individualmente tutto o comunque molto del loro stato sociale se non riescono a rispettare le scadenze. Un’ulteriore soluzione può essere quella di ragionare con i colleghi di aderire allo sciopero solo l’ultima ora del turno di lavoro. In questo modo oltre a non perdere i soldi dell’intera giornata creiamo un danno maggiore al padrone che si troverà a dover sostituire i lavoratori in sciopero all’ultimo momento o a dover trovare lavoratori in sostituzione agli scioperanti per una sola ora (piuttosto complicato).

Nei luoghi di lavoro dove scioperare invece non è possibile, si può usare lo sciopero per alimentare la discussione con i colleghi, con gli utenti e i loro parenti (in caso di strutture sanitarie) o con i clienti in caso di altre attività, mettendo in risalto lo sciopero e indossando ad esempio spille o magliette con su scritto “io non posso scioperare”.

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Il caso della compagna toscana citata su è emblematico perché lavora in un circolo ARCI, eredità delle Case del popolo che sono state importanti centri di aggregazione e organizzazione per la classe operaia. Si tratta di strutture dove generalmente si condividono le istanze dei lavoratori e si persegue la tutela dei diritti delle masse popolari. Per questa ragione costruire lo sciopero per i compagni che lavorano in questi ambienti deve significare assumere un ruolo politico che porti l’ARCI a schierarsi e chiudere per sciopero e trovare soluzioni per cui lo facciano anche retribuendo il personale!

Per noi compagne e compagni che siamo anche lavoratrici e lavoratori, costruire lo sciopero e creare le condizioni per aderire con convinzione, trovando le forme per farlo, deve significare lavorare quotidianamente ad orientare i nostri colleghi di lavoro, riportare loro esperienze di altri lavoratori in lotta. Significa portarli a riflettere sul legame che esiste tra le tante problematiche che ognuno di loro incontra nella vita e sul luogo di lavoro con le misure lacrime e sangue del governo Meloni e contro il quale da mesi le mobilitazioni vanno moltiplicandosi.

Al nostro interno però costruire lo sciopero deve significare anche affidarsi al Partito. Parlare delle contraddizioni che incontriamo prima e il più apertamente possibile affinché si possano trovare soluzioni collettive a problemi apparentemente individuali, ma che in realtà riguardano tanti altri compagni che lavorano in produzione come noi, oltre che tanti lavoratori che ordinariamente incontriamo davanti alle aziende.

Farlo rafforzerà la fiducia in noi e nei nostri colleghi, nel fatto che costruire organizzazione è possibile perché sono le condizioni oggettive che ogni lavoratore vive ad imporlo.





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